domenica 7 marzo 2021

La Corte Costituzionale fissa le condizioni per definire chi può fare la caccia controllata alla fauna selvatica

La Corte Costituzionale con sentenza 17 febbraio 2021 n° 21 (QUI) interviene, sulla base di ordinanza di rinvio del TAR Toscana, sulla legittimità costituzionale di una norma regionale che estende l'elenco dei soggetti abilitati a effettuare le operazioni di controllo delle popolazioni del cinghiale rispetto a quelli previsti dall'art. 19, comma 2 [NOTA 1], della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

La Corte con questa sentenza, in difformità parziale con indirizzi precedenti della sua giurisprudenza, allarga il campo ai soggetti che possono dare attuazione ai piani di caccia controllata alla fauna selvatica in particolare per la carenza di personale addetto delle Province (dopo le ultime vicissitudini di questo Ente) nonché per il costante aumento della presenza della fauna selvatica (in particolare ungulati) anche in aree residenziali.

Sul tema affine a quello trattato in questa nuova sentenza si veda QUI relativamente al ruolo delle guardie venatorie volontarie in materia di attività di contenimento della presenza di ungulati. La sentenza come vedremo distingue la disciplina della caccia selettiva (competenza esclusiva dello stato nella materia ambiente) dalla tutela della sicurezza urbana dalla presenza di ungulati selvatici.

Ma torniamo ad analizzare la nuova sentenza...


COSA DICE LA LEGGE QUADRO SULLA CACCIA IN MATERIA DI SOGGETTI ADDETTI AL CONTROLLO DELLA FAUNA SELVATICA

La Corte Costituzionale nella sentenza qui esaminata prima di tutto interpreta la ratio del comma 2 articolo 19 legge 157/1992 (norma sulla quale si fonda la questione di costituzionalità della legge regionale).

Secondo la Corte in base a tale struttura normativa il controllo faunistico si qualifica come un'attività che non è svolta per fini venatori, in quanto attiene prevalentemente alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (sentenza n. 217 del 2018), ma che si intreccia funzionalmente anche con finalità riconducibili a competenze regionali concorrenti o residuali (basti pensare alla tutela del suolo e alla tutela delle produzioni zoo-agro-forestali). Per questo motivo tale attività, diretta a realizzare il controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia, da un lato viene assegnata alle Regioni, dall'altro viene procedimentalizzata, prevedendo il rispetto di un principio di gradualità. Essa, infatti, deve essere svolta «di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica» e solo in caso di verificata inefficacia di tali metodi le Regioni possono autorizzare piani di abbattimento, che, a loro volta, devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali, cui è consentito avvalersi anche di altri soggetti, però specificamente indicati. La norma, in altre parole, si sviluppa assegnando alle Regioni l'attività del controllo delle specie di fauna selvatica però coinvolgendo, con riguardo ai piani di abbattimento, soprattutto il personale delle Province.

 

L’INDIRIZZO DELLA CORTE COSTITUZIONALE FINO ALLA SENTENZA QUI ESAMINATA

Un primo indirizzo della giurisprudenza costituzionale (dalla sentenza n° 392 del 2005 - (QUI) considerava tassativo l'elenco dei soggetti autorizzati all'esecuzione dei piani di abbattimento, e ciò sull'assunto per cui “una sua integrazione da parte della legge regionale riduce il livello minimo e uniforme di tutela dell'ambiente”.

 

LE MOTIVAZIONI DELLA NUOVA SENTENZA

Sulla possibilità di estendere il controllo sulla fauna selvatica a soggetti con caratteri pubblicistici ma esterni alle guardie venatorie provinciali

Ad avviso della nuova sentenza qui esaminata il suddetto indirizzo va rivisto alla luce di alcune novità intervenute nel frattempo, in particolare:

1.negli ultimi anni il ridimensionamento del personale delle Province (la norma nazionale prevede che i piani di controllo fauna selvatica siano attuati da guardie venatorie delle Province) ha portato ad una grave difficoltà, anche nel campo di cui tratta la sentenza, a gestire le funzioni assegnate dalla legge;

2. l'aumento costante e significativo delle popolazioni di determinate specie di fauna selvatica (specialmente ungulati e, in particolare, cinghiali).

La combinazione delle suddette condizioni determina rilevanti criticità a danno degli ecosistemi: ad esempio, lo sviluppo sostenibile delle foreste, che implica un equilibrio armonioso tra le componenti forestali e faunistiche, può risultare compromesso dal brucamento selettivo degli ungulati che, nel lungo periodo, può modificare la struttura e la composizione dei popolamenti forestali, se non addirittura comprometterne l'esistenza. Criticità che si manifestano, peraltro, anche con riguardo alle attività antropiche: ormai significativi sono i danni alle attività agricole, sia in termini economici per il settore che di indennizzi a carico degli enti pubblici; inoltre, è in aumento il numero di incidenti stradali causati da ungulati.

La legge regionale oggetto della sentenza prevede quindi di estendere il potere di controllo della fauna selvatica a figure (non previste dal comma 2 articolo 19 legge 157/1992) quali: guardie venatorie volontarie, guardie ambientali volontarie (entrambe figure che individuano soggetti privati muniti anche della qualifica di guardia giurata), nonché delle guardie giurate purché adeguatamente preparate sulla normativa di riferimento.

Secondo la Corte Costituzionale si tratta quindi di soggetti ulteriori, rispetto a quelli elencati dalla norma statale, ma che non sono identificabili in meri cacciatori: presentano, infatti, elementi di qualificazione pubblicistica, essendo, in forme diverse, ricompresi tra le persone già abilitate, peraltro in seguito a una specifica formazione, allo svolgimento dell'attività di vigilanza venatoria, e ciò in forza di quanto stabilisce l'art. 27, comma 6, della stessa legge n. 157 del 1992, che prevede, per queste figure, “corsi di preparazione e di aggiornamento [...] sulla tutela dell'ambiente e della fauna e sulla salvaguardia delle produzioni agricole”.

Inoltre, la norma impugnata dispone espressamente che al «corpo di polizia provinciale» rimanga assegnato il ruolo del «coordinamento» dei piani di abbattimento, a dimostrazione che questi ulteriori soggetti risultano, in ogni caso, coinvolti in un ruolo meramente ausiliario.

La sentenza qui esaminata ricorda che lo stesso ISPRA, e già prima l'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), hanno realisticamente riconosciuto che: "Molto spesso la disponibilità di personale d'istituto [ossia le guardie provinciali e gli altri soggetti pubblici di cui all'art. 19, comma 2, della legge statale] non è sufficiente per la realizzazione dei piani di controllo" (ISPRA, Linee guida per la gestione degli ungulati, 2013), rilevando altresì che "una intensa e diffusa attività di controllo necessita un impegno in termini di personale al quale difficilmente si riesce a far fronte con l'intervento delle sole figure istituzionali" (INFS, Linee guida per la gestione del cinghiale, 2003 - QUI).

Secondo la Corte Costituzionale l'integrazione disposta dalla norma regionale censurata merita di essere considerata come un'espressione legislativa che aumenta lo standard minimo di tutela ambientale previsto dalla disposizione statale: è infatti rivolta a riportare a un livello fisiologico la consistenza del personale qualificato destinato a eseguire i piani di abbattimento, ciò che appare necessario per attuare gli obiettivi, anche di tutela dell'ecosistema, previsti dallo stesso comma 2 dell'art. 19 della legge n. 157 del 1992.

Il tutto, visto dal punto di vista costituzionale, rientra in quanto già affermato in precedenza dalla Corte Costituzionale per cui la collocazione della materia tutela dell'ambiente e dell'ecosistema tra quelle di esclusiva competenza statale non comporta che la disciplina statale vincoli in ogni caso l'autonomia delle Regioni. Il carattere trasversale della materia, e quindi la sua potenzialità di estendersi anche nell'ambito delle competenze riconosciute alle Regioni, mantiene, infatti, salva la facoltà di queste di adottare, nell'esercizio delle loro attribuzioni legislative, norme di tutela più elevata.

 

Sulla possibilità di estendere il controllo sulla fauna selvatica anche ai cacciatori sia pure formati con apposite corsi

La seconda norma regionale censurata appare rivolta a ricomprendere interventi di controllo numerico della fauna selvatica e a coinvolgere, per l'attuazione dei connessi piani di abbattimento, anche i cacciatori, sempre “che abbiano frequentato appositi corsi di preparazione organizzati dalla Regione stessa sulla base di programmi concordati con l'ISPRA”.

Anche su questa parte della norma regionale la Corte ritiene non fondata la questione della costituzionalità. Secondo la Corte Costituzionale si ripropongono infatti le medesime argomentazioni riportate nel paragrafo precedente del presente commento, con la conseguenza che l'integrazione disposta dalla norma regionale, anche in questo caso, e peraltro con evidenza ancora maggiore, assume il carattere di un intervento rivolto a incrementare lo standard di tutela ambientale fissato dalla disposizione statale.

Nell'impianto dell'art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, infatti, la possibilità di coinvolgere i cacciatori nei piani di abbattimento dipende unicamente: a) dalla loro qualità di proprietari o conduttori dei fondi interessati dai piani di abbattimento, oppure b) dalla circostanza di essere convocati dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.

Al contrario, nella norma censurata, la medesima possibilità è subordinata alla ben più pertinente condizione di aver acquisito una formazione specifica, «sulla base di programmi concordati con l'ISPRA», senza che sia sufficiente la mera titolarità di una licenza venatoria, come invece stabilito, da questo punto di vista, dalla norma statale. Non è peraltro indifferente precisare, anche in questo caso, che proprio il citato INFS ha avuto modo di soffermarsi sulla figura del coadiutore ai piani di controllo, qualifica che può essere conseguita dalle diverse tipologie di cacciatori di ungulati in seguito ad uno specifico corso di formazione con relativo esame di abilitazione» (INFS, Linee guida per la gestione del cinghiale, 2003).

Infine, va anche qui considerato che il coinvolgimento di tale categoria di cacciatori non può che avvenire sotto il coordinamento della polizia provinciale, come del resto è espressamente stabilito dal precedente comma 3 con riguardo alla disciplina generale dei piani di abbattimento.

 

Sulla possibilità di estendere il controllo sulla fauna selvatica anche a cacciatori non formati dai corsi ISPRA

Un'altra parte della norma regionale censurata stabilisce che, anche ai fini dell'attuazione dei piani di abbattimento, i cacciatori abilitati alla caccia di selezione agli ungulati e a quella al cinghiale con determinate tecniche («in braccata e girata») sono equiparati a quelli formati e selezionati con corsi Ispra.

La Corte, a differenza delle altre due questioni sollevate dal TAR e sopra descritte, considera fondata questa ultima. Secondo la Corte la norma censurata sul punto si limita a prevedere, come nota il rimettente, “la frequenza ad un corso ed il superamento di un esame finale comprendente una prova scritta e una prova di tiro con carabina”. La differenza assume un rilievo sostanziale, trattandosi di abilitazioni relative ad attività di natura diversa: l'una di carattere meramente venatorio, seppur "qualificata", l'altra realizzata per finalità di tutela ambientale.

È quindi evidente, secondo la Corte, che la norma censurata, a differenza delle altre due prima considerate, deroga all'art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, ma non realizza un incremento dello standard minimo di tutela ambientale fissato dalla disposizione statale: essa si pone quindi in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Da questo punto di vista, a differenza dell'ipotesi descritta nel paragrafo precedente, trova conferma la giurisprudenza della Corte che ha costantemente escluso che l'elenco dei soggetti abilitati a partecipare alla realizzazione dei piani di abbattimento possa essere integrato attraverso il mero coinvolgimento dei cacciatori (da ultimo, sentenze n. 44 del 2019 (QUI)  e n. 217 del 2018 (QUI), senza quindi la previsione di specifici e adeguati programmi di formazione in materia di tutela ambientale.

 

 

Sulla possibilità di aprire il controllo della fauna selvatica a soggetti diversi dalle guardie provinciali per la tutela della agricoltura

L’ultima norma regionale censurata prevede che la Regione, per prevenire o eliminare i danni alle produzioni agricole autorizza in qualsiasi periodo dell'anno i cacciatori abilitati con corsi Ispra, le guardie venatorie provinciali, le guardia parco, polizia e carabinieri nonché ufficiali di PG,  i proprietari o conduttori dei fondi interessati e le squadre di caccia al cinghiale, indicate dall'ATC, al controllo dei cinghiali.

Secondo la Corte Costituzionale la questione di costituzionalità non è fondata in quanto il termine controllo dei cinghiali, genericamente utilizzato nella stessa, è bensì riferibile esclusivamente a quello attuato con metodi ecologici, senza alcuna possibilità di estenderlo anche ai piani di abbattimento, del resto mai evocati nel testo della disposizione in oggetto.

 

 


 

 



[NOTA 1]2. Le regioni, per la migliore gestione del patrimonio  zootecnico, per la tutela del  suolo,  per  motivi  sanitari,  per  la  selezione biologica, per la tutela del  patrimonio  storico-artistico,  per  la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche  nelle  zone  vietate alla  caccia.  Tale  controllo,  esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici su  parere dell'Istituto nazionale per la fauna  selvatica. Qualora  l'Istituto verifichi l'inefficacia  dei  predetti  metodi,  le  regioni  possono autorizzare piani di abbattimento. Tali piani devono essere  attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno  altresì  avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani  medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio venatorio, nonché  delle  guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per  l'esercizio venatorio.”

 


 

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