La Corte con questa sentenza, in difformità parziale con indirizzi precedenti della sua giurisprudenza, allarga il campo ai soggetti che possono dare attuazione ai piani di caccia controllata alla fauna selvatica in particolare per la carenza di personale addetto delle Province (dopo le ultime vicissitudini di questo Ente) nonché per il costante aumento della presenza della fauna selvatica (in particolare ungulati) anche in aree residenziali.
Sul tema affine a quello trattato in questa nuova sentenza si veda QUI relativamente al ruolo delle guardie venatorie volontarie in materia di attività di contenimento della presenza di ungulati. La sentenza come vedremo distingue la disciplina della caccia selettiva (competenza esclusiva dello stato nella materia ambiente) dalla tutela della sicurezza urbana dalla presenza di ungulati selvatici.
Ma torniamo ad analizzare la nuova sentenza...
COSA DICE LA LEGGE QUADRO SULLA CACCIA IN MATERIA DI SOGGETTI ADDETTI AL CONTROLLO DELLA FAUNA SELVATICA
La Corte Costituzionale nella sentenza qui esaminata prima di tutto interpreta la ratio del comma 2 articolo 19 legge 157/1992 (norma sulla quale si fonda la questione di costituzionalità della legge regionale).
Secondo la Corte in base a tale struttura normativa il controllo faunistico si qualifica
come un'attività che non è svolta per fini venatori, in quanto attiene
prevalentemente alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (sentenza n. 217
del 2018), ma che si intreccia funzionalmente anche con finalità riconducibili
a competenze regionali concorrenti o residuali (basti pensare alla tutela del
suolo e alla tutela delle produzioni zoo-agro-forestali). Per questo motivo
tale attività, diretta a realizzare il controllo delle specie di fauna
selvatica anche nelle zone vietate alla caccia, da un lato viene assegnata
alle Regioni, dall'altro viene procedimentalizzata, prevedendo il rispetto di
un principio di gradualità. Essa, infatti, deve essere svolta «di norma
mediante l'utilizzo di metodi ecologici su parere dell'Istituto nazionale per
la fauna selvatica» e solo in caso di verificata inefficacia di tali metodi le
Regioni possono autorizzare piani di abbattimento, che, a loro volta, devono
essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni
provinciali, cui è consentito avvalersi anche di altri soggetti, però
specificamente indicati. La norma, in altre parole, si sviluppa assegnando alle
Regioni l'attività del controllo delle specie di fauna selvatica però
coinvolgendo, con riguardo ai piani di abbattimento, soprattutto il personale
delle Province.
L’INDIRIZZO DELLA CORTE
COSTITUZIONALE FINO ALLA SENTENZA QUI ESAMINATA
Un primo indirizzo della
giurisprudenza costituzionale (dalla sentenza n° 392 del 2005 - (QUI) considerava tassativo l'elenco dei soggetti autorizzati all'esecuzione dei
piani di abbattimento, e ciò sull'assunto per cui “una sua integrazione da
parte della
legge regionale riduce il livello minimo e uniforme di tutela dell'ambiente”.
LE MOTIVAZIONI DELLA NUOVA
SENTENZA
Sulla possibilità di estendere il controllo sulla fauna selvatica a soggetti con caratteri pubblicistici ma esterni alle guardie venatorie provinciali
Ad avviso della nuova sentenza qui esaminata il suddetto indirizzo va rivisto alla luce di alcune novità intervenute nel frattempo, in particolare:
1.negli ultimi anni il ridimensionamento del personale delle Province (la norma nazionale prevede che i piani di controllo fauna selvatica siano attuati da guardie venatorie delle Province) ha portato ad una grave difficoltà, anche nel campo di cui tratta la sentenza, a gestire le funzioni assegnate dalla legge;
2. l'aumento costante e significativo delle popolazioni di determinate specie di fauna selvatica (specialmente ungulati e, in particolare, cinghiali).
La combinazione delle
suddette condizioni determina rilevanti criticità a danno degli ecosistemi: ad
esempio, lo sviluppo sostenibile delle foreste, che implica un equilibrio
armonioso tra le componenti forestali e faunistiche, può risultare compromesso dal
brucamento selettivo degli ungulati che, nel lungo periodo, può modificare la
struttura e la composizione dei popolamenti forestali, se non addirittura
comprometterne l'esistenza. Criticità che si manifestano, peraltro, anche con
riguardo alle attività antropiche: ormai significativi sono i danni alle
attività agricole, sia in termini economici per il settore che di indennizzi a
carico degli enti pubblici; inoltre, è in aumento il numero di incidenti
stradali causati da ungulati.
La legge regionale oggetto della sentenza prevede quindi di estendere il potere di controllo della fauna selvatica a figure (non previste dal comma 2 articolo 19 legge 157/1992) quali: guardie venatorie volontarie, guardie ambientali volontarie (entrambe figure che individuano soggetti privati muniti anche della qualifica di guardia giurata), nonché delle guardie giurate purché adeguatamente preparate sulla normativa di riferimento.
Secondo la Corte
Costituzionale si tratta quindi di soggetti ulteriori, rispetto a quelli
elencati dalla norma statale, ma che non sono identificabili in meri
cacciatori: presentano, infatti, elementi di qualificazione pubblicistica,
essendo, in forme diverse, ricompresi tra le persone già abilitate, peraltro in
seguito a una specifica formazione, allo svolgimento dell'attività di vigilanza
venatoria, e ciò in forza di quanto stabilisce l'art. 27, comma 6, della stessa
legge n. 157 del 1992, che prevede, per queste figure, “corsi di
preparazione e di aggiornamento [...] sulla tutela dell'ambiente e della fauna
e sulla salvaguardia delle produzioni agricole”.
Inoltre, la norma
impugnata dispone espressamente che al «corpo di polizia provinciale» rimanga
assegnato il ruolo del «coordinamento» dei piani di abbattimento, a
dimostrazione che questi ulteriori soggetti risultano, in ogni caso, coinvolti
in un ruolo meramente ausiliario.
La sentenza qui esaminata
ricorda che lo stesso ISPRA, e già prima l'Istituto nazionale per la fauna
selvatica (INFS), hanno realisticamente riconosciuto che: "Molto spesso la
disponibilità di personale d'istituto [ossia le guardie provinciali e gli altri
soggetti pubblici di cui all'art. 19, comma 2, della legge statale] non è
sufficiente per la realizzazione dei piani di controllo" (ISPRA, Linee guida
per la gestione degli ungulati, 2013), rilevando altresì che "una intensa e
diffusa attività di controllo necessita un impegno in termini di personale al
quale difficilmente si riesce a far fronte con l'intervento delle sole figure
istituzionali" (INFS, Linee guida per la gestione del cinghiale, 2003 - QUI).
Secondo la Corte Costituzionale l'integrazione disposta dalla norma regionale censurata merita di essere considerata come un'espressione legislativa che aumenta lo standard minimo di tutela ambientale previsto dalla disposizione statale: è infatti rivolta a riportare a un livello fisiologico la consistenza del personale qualificato destinato a eseguire i piani di abbattimento, ciò che appare necessario per attuare gli obiettivi, anche di tutela dell'ecosistema, previsti dallo stesso comma 2 dell'art. 19 della legge n. 157 del 1992.
Il tutto, visto dal punto
di vista costituzionale, rientra in quanto già affermato in precedenza dalla
Corte Costituzionale per cui la collocazione della materia tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema tra quelle di esclusiva competenza statale
non comporta che la disciplina statale vincoli in ogni caso l'autonomia delle
Regioni. Il carattere trasversale della materia, e quindi la sua potenzialità
di estendersi anche nell'ambito
delle competenze riconosciute alle Regioni, mantiene, infatti, salva la facoltà
di queste di adottare, nell'esercizio delle loro attribuzioni legislative,
norme di tutela più elevata.
Sulla possibilità di
estendere il controllo sulla fauna selvatica anche ai cacciatori sia pure
formati con apposite corsi
La seconda norma regionale
censurata appare rivolta a ricomprendere interventi di controllo numerico della
fauna selvatica e a coinvolgere, per l'attuazione dei connessi piani di
abbattimento, anche i cacciatori, sempre “che abbiano frequentato appositi
corsi di preparazione organizzati dalla Regione stessa sulla base di programmi
concordati con l'ISPRA”.
Anche su questa parte
della norma regionale la Corte ritiene non fondata la questione della
costituzionalità. Secondo la Corte Costituzionale si ripropongono infatti le medesime argomentazioni riportate nel
paragrafo precedente del presente commento, con la conseguenza che
l'integrazione disposta dalla norma regionale, anche in questo caso, e peraltro
con evidenza ancora maggiore, assume il carattere di un intervento rivolto a
incrementare lo standard di tutela ambientale fissato dalla disposizione
statale.
Nell'impianto dell'art.
19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, infatti, la possibilità di
coinvolgere i cacciatori nei piani di abbattimento dipende unicamente: a) dalla
loro qualità di proprietari o conduttori dei fondi interessati dai piani di
abbattimento, oppure b) dalla circostanza di essere convocati dalle Province
autonome di Trento e di Bolzano.
Al contrario, nella norma
censurata, la medesima possibilità è subordinata alla ben più pertinente
condizione di aver acquisito una formazione specifica, «sulla base di programmi
concordati con l'ISPRA», senza che sia sufficiente la mera titolarità di una licenza
venatoria, come invece stabilito, da questo punto di vista, dalla norma
statale. Non è peraltro indifferente precisare, anche in questo caso, che
proprio il citato INFS ha avuto modo di soffermarsi sulla figura del coadiutore ai piani di controllo, qualifica che può essere
conseguita dalle diverse tipologie di cacciatori di ungulati in seguito ad uno
specifico corso di formazione con relativo esame di abilitazione» (INFS, Linee
guida per la gestione del cinghiale, 2003).
Infine, va anche qui
considerato che il coinvolgimento di tale categoria di cacciatori non può che
avvenire sotto il coordinamento della polizia provinciale, come del resto è
espressamente stabilito dal precedente comma 3 con riguardo alla disciplina
generale dei piani di abbattimento.
Sulla possibilità di
estendere il controllo sulla fauna selvatica anche a cacciatori non formati dai
corsi ISPRA
Un'altra parte della norma
regionale censurata stabilisce che, anche ai fini dell'attuazione dei piani di
abbattimento, i cacciatori abilitati alla caccia di selezione agli ungulati e a
quella al cinghiale con determinate tecniche («in braccata e girata») sono
equiparati a quelli formati e selezionati con corsi Ispra.
La Corte, a differenza
delle altre due questioni sollevate dal TAR e sopra descritte, considera
fondata questa ultima. Secondo la Corte la norma censurata sul punto si limita
a prevedere, come nota il rimettente, “la frequenza ad un corso ed il
superamento di un esame finale comprendente una prova scritta e una prova di
tiro con carabina”. La differenza assume un rilievo sostanziale,
trattandosi di abilitazioni relative ad attività di natura diversa: l'una di
carattere meramente venatorio, seppur "qualificata", l'altra realizzata
per finalità di tutela ambientale.
È quindi evidente, secondo
la Corte, che la norma censurata, a differenza delle altre due prima
considerate, deroga all'art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, ma non
realizza un incremento dello standard minimo di tutela ambientale fissato dalla
disposizione statale: essa si pone quindi in violazione dell'art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost. Da questo punto di vista, a differenza dell'ipotesi
descritta nel paragrafo precedente, trova conferma la giurisprudenza della
Corte che ha costantemente escluso che l'elenco dei soggetti abilitati a
partecipare alla realizzazione dei piani di abbattimento possa essere integrato
attraverso il mero coinvolgimento dei cacciatori (da ultimo, sentenze n. 44 del
2019 (QUI) e n. 217 del 2018 (QUI),
senza quindi la previsione di specifici e adeguati programmi di formazione in
materia di tutela ambientale.
Sulla possibilità di
aprire il controllo della fauna selvatica a soggetti diversi dalle guardie
provinciali per la tutela della agricoltura
L’ultima norma regionale
censurata prevede che la Regione, per prevenire o eliminare i danni alle
produzioni agricole autorizza in qualsiasi periodo dell'anno i cacciatori
abilitati con corsi Ispra, le guardie venatorie provinciali, le guardia parco,
polizia e carabinieri nonché ufficiali di PG,
i proprietari o conduttori dei fondi interessati e le squadre di caccia
al cinghiale, indicate dall'ATC, al controllo dei cinghiali.
Secondo la Corte
Costituzionale la questione di costituzionalità non è fondata in quanto il
termine “controllo dei cinghiali”, genericamente utilizzato nella
stessa, è bensì riferibile esclusivamente a quello attuato con metodi
ecologici, senza alcuna possibilità di estenderlo anche ai piani di
abbattimento, del resto mai evocati nel testo della disposizione in oggetto.
[NOTA 1] “2. Le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Qualora l'Istituto verifichi l'inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento. Tali piani devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio.”
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