lunedì 8 luglio 2013

Pini Piazza Verdi: la difesa maldestra della direttrice delle Istituzioni Culturali

La Dott.sa Ratti stamani ha cercato di rispondere quasi anticipatamente all'esposto presentato in procura questa mattina. La Dott.sa sostiene  che all'epoca in cui venne stesa la sua relazione allegata al bando (2009) era in vigore non il limite dei 70 anni ma quello di 50  anni per considerare ex lege soggetti a vincolo storico architettonico sia la piazza che i pini che ne fanno parte.
Peccato che sia l’esposto che in generale l’intera questione posta con questo atto rendano  irrilevante quanto affermata dalla Dott.sa. Vediamo perché….


Intanto a prescindere dai 50 anni o 70 anni la relazione della dott.sa  non dichiara la verità  in quanto afferma testualmente: “attuali pini marittimi che furono collocati circa dieci anni dopo la seconda guerra mondiale”. Ora come dimostrato dall’ampia documentazione allegata all’esposto i pini furono certamente installati prima degli anni 40 del secolo scorso.
Questa documentazione era alla portata della dott.sa,  in primo luogo per il ruolo che  ricopriva e ricopre tutt’ora, visto che si trova negli archivi della Biblioteca Mazzini.  Se è stata ritrovata da una insegnante volenterosa tanto più avrebbe dovuto cercarla una dirigente professionalmente rigorosa.
Già questo comportamento rileva la inadeguatezza della relazione svolta dalla dott.sa Ratti.  Ma soprattutto il falso ( o l'errore ma su questo si pronuncerà eventualmente la magistratura)  viene commesso all’interno di un atto a rilevanza giuridica amministrativa in quanto allegato al bando per il concorso sul progetto di riqualificazione di Piazza Verdi. Ciò potrebbe configurare il reato ex articolo 479 Codice Penale (falso ideologico) secondo il quale è perseguibile penalmente il pubblico ufficiale che attesti falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.


Ma c’è di più. Nella sua relazione la dott.sa sostiene :” Nel 1933 la facies della piazza può dirsi conclusa: le due cortine nord e sud sono state realizzate, il collegamento con via Veneto è stato attuato e l’unica direttrice via Chiodo-via Veneto è ben percepibile dalla piazza che non  ha alberature centrali, che saranno messe a dimora solo nel dopoguerra con incomprensione totale del senso della piazza stessa e delle prospettive che da essa si aprivano su via Chiodo da una parte e su via Veneto dall’altra. La piazza come completata negli anni Trenta si presentava come slargo delimitato dalle cortine continue dei palazzi pubblici e privati ed aveva dei larghi marciapiedi centrali, in luogo degli attuali pini marittimi”
Ecco che la visione storico architettonico del rapporto tra la presenza dei pini e la piazza risulta completamente sfalsata nella relazione in oggetto. Infatti si dichiara esplicitamente che i pini essendo stati inseriti nel dopoguerra  quindi molti anni dopo costituiscono una “incomprensione” totale del senso della piazza storica.  Invece le foto dimostrano come i pini fossero, da decenni prima, elementi fondanti la piazza definita slargo nella relazione come effettivamente è sempre stata, fino ad ora.
Quindi a prescindere dai 50 o 70 anni i pini  sono venuti a configurarsi come elementi fondanti,  insieme con i palazzi e la conformazione urbanistica della piazza, dell’interesse storico architettonico.


Aggiungo che la questione dei 50 o 70 anni riguarda non i pini presi separatamente ma l’intero immobile piazza verdi  (ad esso fa riferimento l’articolo 12 del Codice dei Beni Culturali sia nella versione del 2006 che del 2011).   E’ al rapporto storico architettonico tra i pini e l’intero immobile che la relazione  avrebbe dovuto fare riferimento, invece la relazione afferma che i pini costituiscono quasi un inserimento alieno alla storia della piazza, cosa non  vera, sia storicamente che  dal punto di vista della definizione dell’interesse storico architettonico ex Codice dei Beni Culturali.


Non solo ma la relazione, dolosamente o meno non sta a me giudicare ma alla magistratura, rimuove un ulteriore elemento  normativo che poco ha a che fare con i 50 o i 70 anni ed è la questione del vincolo indiretto.
Recita l’articolo 45 del Codice dei Beni Culturali:  “Il Ministero  ha facoltà  di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo la integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”.  Risulta chiaramente come la relazione, rimuovendo il dato della presenza storica dei pini nella piazza e considerandolo, in modo totalmente immotivato e in contrasto con la documentazione ufficiale esistente (atti amministrativi degli anni 30 e fotografie dell’epoca),  una “incomprensione del senso della piazza”, rimuova la questione del sopracitato vincolo indiretto, in quanto non si riconosce che i pini ormai caratterizzano la prospettiva della piazza.


Quindi con la sua relazione la Dott.sa oltre a configurare potenzialmente, ma ripeto sarà la magistratura a verificare ciò,  il reato di falso ideologico, potrebbe configurare anche quelli ex articoli 353 (turbata libertà degli incanti), e 353 bis turbata libertà del procedimento di scelta del contraente.  Infatti la relazione rimuovendo, artatamente  e in modo assolutamente non motivato, sotto il profilo della documentazione storica ufficiale, la valenza storico architettonica dei pini in relazione alla piazza,  ha influenzato in modo anomalo il concorso per la scelta del progetto di riqualificazione della piazza.



INFINE  il fatto che la questione dei 50 o 70 anni non abbia alcun rilievo relativamente ai limiti della relazione sopra citata è dimostrato dalla relazione stessa che non cita minimamente, nel passaggio relativo ai pini,  la norma in questione.



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