domenica 31 maggio 2020

Corte Costituzionale sui poteri delle Regioni nel disciplinare l’uso dei fanghi di depurazione utilizzabili in agricoltura


Un nuova sentenza della Corte Costituzionale (n° 88 del 15 maggio 2020 – QUI ) definisce i poteri delle Regioni nel disciplinare sia i limiti degli inquinamenti contenuti nei fanghi di depurazione  che le loro modalità di utilizzo in agricoltura.

La sentenza della Corte Costituzionale, tratta la legittimità costituzionale di una norma regionale che ha disciplinato l'impiego in agricoltura dei fanghi di depurazione di acque reflue, richiamando - solo per la concentrazione di idrocarburi e fenoli - i valori limite stabiliti dalla Tabella 1 dell'Allegato 5 al Titolo V, Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). In applicazione di questa tabella, la concentrazione soglia di contaminazione è stabilita in 50 mg/kg di "sostanza secca".


LA NORMATIVA NAZIONALE TRANSITORIA SUI LIMITI INQUINANTI PER UTILIZZO DEI FANGHI IN AGRICOLATURA
Questi criteri stabiliti dal legislatore regionale risultano, invero, più restrittivi, quanto alla concentrazione di idrocarburi e fenoli, di quelli stabiliti dall'art. 41 del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109 (Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze), convertito, con modificazioni, nella legge 16 novembre 2018, n. 130. Infatti, quest'ultima disposizione, dopo avere confermato i limiti dell'Allegato IB del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 (Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura) per gli idrocarburi (C10-C40) stabilisce il valore limite di 1.000 mg/kg "tal quale" (ossia non sulla "sostanza secca").
Sugli effetti legali e i limiti di detto articolo 41 si veda questa mia intervista QUI.



LA CORTE DI GIUSTIZIA SULLA CLASSIFICAZIONE COME RIFIUTI DEI FANGHI DI DEPURAZIONE
La Corte di Giustizia con sentenza  del 28 marzo 2019 (causa C60-18  QUI), quando viene pubblicata la sentenza in esame in cui la Corte europea di giustizia afferma testualmente che “ nel caso di specie, dagli elementi del fascicolo sottoposto alla Corte risulta che il recupero dei fanghi di depurazione comporta taluni rischi per l’ambiente e la salute umana, in particolare quelli connessi con la presenza di sostanze pericolose. Orbene, per quanto riguarda le sostanze di cui trattasi, uno Stato membro può, tenuto conto del margine di discrezionalità di cui dispone secondo le considerazioni contenute nei due punti precedenti, non accertare la cessazione della qualifica di rifiuto di un prodotto o di una sostanza o non definire alcuna norma il cui rispetto indurrebbe a far cessare la qualifica di rifiuto di tale prodotto o di tale sostanza .
Affermazione che si comprende meglio se si leggono le conclusioni dell’Avvocato Generale UE  [NOTA 1] , ove, in proposito, si sottolinea che “ per quanto concerne, nello specifico, il recupero dei fanghi di depurazione, l’Austria rileva giustamente, in particolare, che essi sono collegati a determinati rischi per l’ambiente e la salute umana, anzitutto, al rischio di contaminazione con sostanze inquinanti. Pertanto, in considerazione della discrezionalità loro riconosciuta, gli Stati membri dovrebbero essere liberi di non stabilire la cessazione della qualifica di rifiuto dei fanghi di depurazione e di non fissare alcuno standard di prodotto per i fanghi di depurazione trasformati qualora tali standard dovessero comportare la cessazione della suddetta qualifica ”.

Quindi secondo questo indirizzo della giurisprudenza comunitaria si afferma che i fanghi di depurazione possono risultare contaminati da sostanze inquinanti con conseguenti rischi per la salute e per l’ambiente per cui  uno Stato può decidere che essi restino per sempre dei rifiuti cui si applicano tutte le disposizioni cautelative relative ai rifiuti [NOTA 2] . In questo senso la sentenza costituisce indirettamente un monito per il legislatore italiano alla luce dei limiti un po troppo permissivi su alcune tipologie di inquinanti nei fanghi di depurazione utilizzabili in agricoltura.



LA NUOVA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
La Corte ricorda che la materia trattata dalla norma regionale impugnata riguarda i rifiuti  rispetto ai quali la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che la disciplina di questi  debba essere ricondotta alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di competenza esclusiva dello Stato ma ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con  quelli propriamente ambientali. Non solo ma la sentenza in esame ricorda che la Corte, nella sua  giurisprudenza,  ha affermato che la collocazione della materia tutela dell'ambiente e dell'ecosistema pur rientrando nella  esclusiva competenza statale “non comporta che la disciplina statale vincoli in ogni caso l'autonomia delle Regioni, poiché il carattere trasversale della materia, e quindi la sua potenzialità di estendersi anche nell'ambito delle competenze regionali, mantiene salva la facoltà delle Regioni di adottare, nell'esercizio delle loro competenze legislative, norme di tutela più elevate”. Senza considerare, aggiunge la Corte nella sentenza in esame, che nel disciplinare i limiti dei fanghi di depurazione la Regione lo fa ai fini del loro utilizzo in agricoltura e questa ultima risulta materia “definita dalla giurisprudenza costituzionale come ambito materiale in cui è individuabile un "nocciolo duro", assegnato alla competenza residuale regionale, che ha a che fare con la produzione di vegetali ed animali destinati all'alimentazione”.
Allo stesso tempo la Corte Costituzionale rileva come la competenza a stabilire i valori limite delle sostanze presenti nei fanghi di depurazione ai fini del loro utilizzo  agronomico non può che spettare allo Stato, per insuperabili esigenze di uniformità sul territorio nazionale, sottese all'esercizio della competenza esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma,  lettera s), Cost. Tali esigenze di uniformità non discendono soltanto dalla necessità di applicare metodiche di valutazione e standard qualitativi che siano omogenei e comparabili su tutto il  territorio nazionale, ma, non di meno, dal carattere integrato, anche a livello internazionale, del complessivo sistema di gestione e smaltimento dei rifiuti, al servizio di interessi di rilievo ultraregionale.
Inoltre i limiti più rigorosi per l’utilizzo dei fanghi in agricoltura introdotti dalla Regione chiaramente farà aumentare la quantità di rifiuti da smaltire in impianti dedicati nonché graveranno  sulla complessiva capacità degli impianti di depurazione e trattamento, sui corpi idrici ai quali afferiscono le acque reflue dopo il trattamento.
Peraltro a conferma di quanto sopra è in discussione anche con passaggi in Conferenza Stato Regione un DLgs di riforma della normativa sull’utilizzo dei fanghi in agricoltura con relativi limiti degli inquinanti più restrittivi rispetto alla vigente normativa nazionale. Quindi conclude la Corte Costituzionale nel disciplinare la destinazione agronomica dei fanghi, la disposizione regionale  impugnata viola, dunque, la competenza statale esclusiva in materia di gestione dei rifiuti. 



SUGLI SPAZI DI INTERVENTO DELLE REGIONI SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE
Non solo ma la Corte Costituzionale definisce l’ambito di competenze in cui la Regione può intervenire sulla disciplina dell’utilizzo dei fanghi in agricoltura. In particolare secondo la Corte  il punto di equilibrio fra la legittima esigenza regionale e le richiamate ragioni di uniformità non può realizzarsi attraverso l'interferenza della Regione nella competenza statale in materia di disciplina della gestione dei rifiuti. La Regione deve attenersi all'esercizio della propria competenza a tutela della qualità delle produzioni agricole. Tale competenza ben le potrebbe consentire, in primo luogo, l'adozione di limiti e condizioni nell'utilizzazione in agricoltura dei diversi tipi di fanghi, avuto riguardo alle concrete caratteristiche dei suoli, con riferimento in particolare alla loro vulnerabilità, nonché ai tipi di colture praticate. Inoltre, fermo restando il rispetto dei valori limite stabiliti dalla normativa statale, l'intervento delle Regioni potrebbe anche tradursi nel miglioramento della qualità dei fanghi prodotti sul loro territorio nell'ambito del servizio idrico integrato.



nelle sue conclusioni del 29 novembre 2018 (QUI)

Ciò è confermato dalla relazione della Commissione europea del 27 febbraio 2017 sull’attuazione della normativa dell’EU in materia di rifiuti nel periodo 2010-2012, ove si sottolinea che “ in alcuni Stati membri l’uso dei fanghi in agricoltura è molto limitato, se non inesistente ”.

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