La
DGR 34/2019 relativa alle proposte di maggiori competenze (la c.d. autonomia
differenziata ex coma 3 articolo 116
della Costituzione) contiene tra le altre una richiesta specifica in materia di
normativa sulla gestione dei rifiuti.
La
richiesta riguarda la disciplina del recupero di rifiuti che riporto di seguito
in corsivo: “Disciplina del recupero di rifiuti in un’ottica di economia circolare -
Si richiede autonomia
amministrativa in materia di disciplina relativa ai criteri specifici per la
cessazione della qualifica di rifiuto conseguente ad un’operazione di recupero,
anche nelle more di una revisione della disciplina nazionale di cui al D. M.
5.2.1998. Il tema peraltro ha valenza per tutte le Regioni, essendo inerente la
competenza ad una valutazione specifica caso per caso in sede di rilascio dei
provvedimenti autorizzativi, della idoneità di una determinata operazione di
recupero a far cessare la qualifica di rifiuto al materiale trattato.”
In
sostanza si tratta di dare il potere alla Regione di non considerare più
rifiuti determinati materiali dopo una operazione di recupero.
Ora
come dovrebbe essere noto almeno agli addetti ai lavori è possibile far venire la qualifica di rifiuto
ma per farlo ci sono norme del testo unico ambientale che spiegano in base a
quali parametri . Si tratta in particolare dell’articolo 184-ter del DLgs
152/2006 (riportato in parte qui a fianco).
Su
questo articolo è intervenuta recentemente una sentenza del Consiglio di Stato n° 1229 del 2018 secondo la
quale le Regioni non possono
autonomamente fissare criteri per far cessare la qualifica di rifiuto
attraverso singole procedure autorizzatorie.
In
particolare la sentenza afferma quanto segue: “Né può essere condiviso quanto sostenuto dalla società appellata,
secondo la quale la Direttiva UE n. 98/2008, andrebbe interpretata nel senso di
consentire “allo Stato membro, in tutte le sue articolazioni, incluse le
Regioni (a ciò delegate dallo stesso Stato membro) e gli enti eventualmente
delegati dalle stesse Regioni per le procedure di autorizzazione” di stabilire
i criteri EoW (cioè i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto
(memoria del 7 aprile 2017, pag. 13). Ed
infatti, la stessa “Guida” all’interpretazione della Direttiva – citata dalla
appellata – prevede che “gli Stati membri possono decidere a livello nazionale
se certi rifiuti possono cessare di essere rifiuti”, il che, lungi
dall’intendersi come la possibilità di individuare qualsiasi Ente (anche non
statale) come attributario della competenza, deve essere invece inteso – in
modo più coerente e ragionevole – come un riferimento all’ambito di efficacia
della declassificazione, la quale deve intervenire, appunto, a livello nazionale,
cioè per tutto l’ambito territoriale dello Stato membro.
Fermo quanto ora affermato,
occorre comunque osservare che, in ogni caso, la scelta fatta dal legislatore
nazionale con l’art. 184-ter cit., in legittimo esercizio di potestà
legislativa esclusiva, è stata quella di individuare nel regolamento
ministeriale l’atto idoneo ad intervenire ai fini della declassificazione “caso
per caso”, il che – ove anche si volesse sostenere una interpretazione diversa
della Direttiva n. 98/2008 – rende superflua ogni ulteriore considerazione.”
Ora anche
tra coloro che criticano non tanto la sentenza del Consiglio di Stato in se ma le conseguenze
che potrebbe comportare in sede di gestione dei rifiuti da operazioni di
recupero, concordano che la questione non possa essere lasciata in mano alle
singole Regioni perché questo contrasterebbe con la Direttiva quadro europea
sui rifiuti (Direttiva 2008/98/CE) ed in particolare con l’articolo 6 di detta
Direttiva che al paragrafo 2 afferma con estrema chiarezza che i criteri per
far cessare la qualifica di rifiuto tra quelli sottoposti a un’operazione di
recupero, incluso il riciclaggio devono essere frutto di una procedura che coinvolge la Commissione Europea e il
Consiglio dei Ministri europei. Si tratta della procedura di cui agli articoli
5 e 7 della Decisione UE (vedi QUI)
come previsto dal comma 2 articolo 6 combinato disposto con il comma 3 articolo
39 Direttiva 2008/98/CE (vedi QUI).
Quindi
solo dopo una modifica di detto articolo 6 della Direttiva potrebbe diventare
possibile quanto richiesto dalla Regione, peccato che tutto questo non è stato
minimante preso in considerazione dalla Giunta regionale ligure.
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