mercoledì 17 luglio 2013

Il SI al progetto Buren non convince anche quando argomenta.

Come ho avuto modo di scrivere più volte su fb, e sul mio blog , il fronte del Si al progetto Buren Vannetti su piazza Verdi, non ha mai prodotto analisi di merito se non insulti, battute e sollazzi.

Solo sul portale informativo La Speziaoggi sono riuscito a leggere un post (vedi QUI)  che finalmente cerca di argomentare in toni civili ed entrando nel merito di vari questioni storiche, urbanistiche, giuridiche, la critica alle tesi del fronte del NO.

Ma proprio perché i toni dell’intervento sono civili risulta ancor di più interessante contestare nel merito questo post, non solo perché nel merito è pieno di errori e di stravolgimenti delle reali questioni in ballo in questa vicenda, ma perché nonostante i detti toni in realtà nasconde una cultura della democrazia, e, dei processi decisionali che da essa dovrebbero scaturire,  assolutamente non condivisibili.

Vediamo cosa afferma (tra virgolette ed in corsivo e in rosso) questo post con, a seguire,  le mie contestazioni  punto per punto e nel merito come è nello stile di questo blog.



Attribuire a quegli alberi una forza centripeta, un ruolo di catalizzatore dello sguardo significa mortificare o annullare l’azione centrifuga svolta dai mirabili segni architettonici e dalle visioni prospettiche, allo stato attuale solo suggerite, peraltro in modo caotico e frammentato, se non addirittura totalmente vanificate”
Ancora, una volta qui si avanza, sia pure cercando di argomentare,  la tesi della centralità della questione dei pini  in questa vicenda. 
Sotto il profilo mediatico è sicuramente così, ma sotto il profilo della definizione del bando nonché  della successiva istruttoria e procedura autorizzatoria del progetto, le cose non stanno assolutamente così.
I pini non rilevano in quanto tali, sotto il profilo storico architettonico,  ma rilevano in rapporto alla definizione della facies della piazza che si forma in modo definitivo, in rapporto alla successiva vicenda storica della stessa, negli anni 30.  Quindi al di la della età dei pini (che comunque è ultrasettantennale come ampiamente dimostrato) se questi ultimi si dimostrassero, attraverso la procedura di verifica in corso, uno degli elementi fondanti del profilo storico architettonico e culturale della piazza non potrebbero essere abbattuti e  se anche si dimostrasse che fossero instabili, dovrebbe essere mantenuto il disegno della loro presenza al centro della piazza magari con una nuova piantumazione.
Ne è possibile sostituire alberi con strutture artificali perché in questo modo  si snaturerebbe  la visione prospettica della piazza come si è venuta definendo nella storia della stessa.   


“...peraltro frutto di un’opera di rimaneggiamento rispetto al progetto originario, privi del requisito della monumentalità (se così non fosse, tenendo presente che un buon 80% del territorio provinciale è ricoperto da boschi……..“ Si vada ad ammirare la maestosità e l’imponenza della plurisecolare Quercia della Gira alla Foce.
Qui si afferma una visione superata della monumentalità degli alberi. Fino ad ora gli alberi monumentali erano disciplinati da legge regionali salvo casi in cui non rientrassero in siti protetti per altre normative: riserve naturali, siti di importanza comunitaria ad esempio.  Con la legge 10/2013 (vedi QUI) all’articolo 7,  e ad integrazione delle vigenti norme regionali vigenti,  si introducono disposizioni per la tutela degli alberi monumentali in aree urbane.

“.....ricercare ossessivamente l’errore o il vizio procedurale o sostanziale nella complessa procedura,… “
Sinceramente qui  da un lato si fa una affermazione  pericolosissima, si sottovaluta l’importanza del rispetto della legge sia sotto il profilo dei principi di una democrazia costituzionale, sia sotto il profilo del rispetto di istruttorie corrette al fine di decisioni ponderate. E’ noto come, soprattutto dietro il mancato rispetto delle regole del procedimento amministrativo, si producano gravi errori nelle scelte concrete: questo vale nel campo dei beni culturali come in generale nel campo ambientale.


“.....utilizzare indiscriminatamente gli esposti in Procura che, lungi dall’essere strumento di affermazione della tanto decantata democrazia partecipativa, si risolvono, nella loro ridondanza rispetto al procedimento amministrativo,.....
Come ho già avuto modo di spiegare gli esposti arrivano quando non ha funzionato la democrazia partecipativa non sono alternativi ad essa. Ora è chiaro come in questa vicenda di democrazia partecipativa non si sia vista l’ombra. Uno potrebbe obiettare non era obbligatoria. Non è proprio così, in realtà i regolamenti sui fondi UE prevedono il coinvolgimento delle comunità locali interessate, ma resta il fatto che l’obiezione del fautore del Si risulti in questo caso assolutamente infondata.


risibili le richieste di utilizzo dei fondi per la realizzazione di altre opere o servizi pubblici, perché, appunto, di illecita distrazione di fondi vincolati si tratterebbe
Qui di risibile mi pare ci sia la non conoscenza delle regole che disciplinano le procedure di allocazione dei fondi UE, in particolare del regolamento regionale sulla assegnazione dei finanziamenti del Fondo FESR.


lì sì si continua a cementificare (non nel progetto di Piazza Verdi dove il “cemento” è, in realtà, travertino al posto del gres di cui, credo, andrebbe conservata una porzione a memoria di ciò che c’era e del bitume) ferendo irrimediabilmente una fascia collinare di grande fascino e bellezza per di più esposta ed un elevato rischio idro-geologico. “
Il punto sul progetto Buren non è il travertino o il cemento ma piuttosto che questi portali risultano assolutamente alieni ad una piazza pensata nell’800 e definita al massimo negli anni 30 del secolo scorso. Quanto alla cementificazione del resto del territorio spezzino sinceramente il nostro fautore del SI dovrebbe rivolgersi a chi ha governato fino ad ora il nostro Comune: gli stessi del progetto Buren Vannetti!  E poi vogliamo parlare della prossima cementificazione del golfo?


l’autorizzazione endoprocedimentale c’è stata, ribadita, senza timore di possibili fraintendimenti, nella risposta fornita dalla stessa Soprintendenza al Comitato del no nel mese di Aprile 2013.”
L’autorizzazione endo procedimentale è nel caso in esame, una sorta di istituto da fantadirittoamministrativo.  L’unica autorizzazione vera è quella del novembre 2012 e poi l’atto di sospensione della esecutività della stessa il 17/6/2013 da parte della Direzione Regionale prima e della Soprintendenza poi. Il documento a cui fa riferimento il nostro fautore del SI costituisce solo una lettera di chiarimenti ad un  esposto fatto da privati cittadini.


l’incapacità di affrontare un’analisi il più possibile obiettiva della vicenda che non trascuri, accantonando per un attimo l’eccessiva rigidità delle proprie posizioni, di valutare e mettere a fuoco tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti, contemperandoli tra di loro in modo non dissimile dal processo decisionale dell’agire amministrativo.
Esatto è proprio quello che è mancato nella gestione del processo/procedimento decisionale di questo progetto.  Non a caso è mancata la procedura di verifica dell’interesse storico architettonico della piazza, come pure un reale coinvolgimento della comunità interessata.


L’ambizione, in ultimo, di portare alla ribalta nazionale un “non caso” come quello di Piazza Verdi è, già di per sé, a mio parere, una forzatura che assume toni che sconfinano nella tristezza”.
Definire un “non caso” quello di Piazza Verdi è un vecchio e scontato tentativo delle tecniche di comunicazione da regime: invece che spiegare le ragioni di un conflitto si rimuove il conflitto dichiarando che non esiste.  

Questa conclusione sminuisce non poco, per la sua grettezza, il tentativo di argomentare le ragioni del SI da parte del nostro interlocutore.  
Quasi come se il nostro interlocutore arrivato alla fine del suo intervento si guardasse indietro e si rendesse conto della inconsistenza delle proprie tesi tornando così alla  polemica apodittica (sic!). 

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