domenica 13 febbraio 2022

Consiglio di Stato come deve essere tutelata la falda freatica in caso di ampliamento di discariche esistenti

Il Consiglio di Stato con sentenza n° 7007 del 19 ottobre 2021 è intervenuta sull’appello contro una sentenza del TAR che annullava il giudizio di VIA positivo e l’autorizzazione (ai sensi dell’articolo 208 del DLgs 152/2006QUI) all’ampliamento di due discariche esistenti: la prima per rifiuti che residuano dal pre-trattamento dei rifiuti urbani, la seconda per rifiuti speciali non pericolosi provenienti anche da fuori distretto.

Il TAR aveva annullato i suddetti atti accogliendo due dei motivi del ricorso svolto dai Comuni partecipanti alla Conferenza dei Servizi:

1. il calcolo delle distanze da nuclei abitati

2. la idoneità della barriera artificiale e delle misure di protezione previste in progetto ad escludere rischi al sistema idrogeologico.

Vediamo cosa dice la sentenza del Consiglio di Stato su questi due motivi accolti dal TAR territorialmente competente.

 

 

RELATIVAMENTE ALLE DISTANZE DAI CENTRI ABITATI: METODO DI CALCOLO E DEFINIZIONE DI CENTRO ABITATO

Secondo il Consiglio di Stato sotto il profilo sostanziale, il Tar ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto di optare per la soluzione esegetica secondo cui le distanze si misurano dal perimetro della discarica e non dal bordo vasca, ovverossia:

a) la direttiva 1999/31/CE (QUI) in materia di discariche (allegato I, punto 1.1., lettera a) prevede che per l’ubicazione di una discarica si devono prendere in considerazione “le distanze fra i confini dell’area e le zone residenziali e di ricreazione, le vie navigabili, i bacini idrici e le

altre aree agricole o urbane”;

b) il d.lgs. 13 gennaio 2003 n. 36 (QUI) che attua la Direttiva 1999/31/CE dispone (Allegato 1, punto 1.1.) che “per ciascun sito di ubicazione devono essere valutate le condizioni locali di accettabilità dell’impianto in relazione ai seguenti parametri: distanza dai centri abitati”;

c) il PTP della Provincia territorialmente competente (all’art. 3.6. comma 6) fa riferimento alle “aree a distanza inferiore ai 500 metri dal perimetro delle aree residenziali”.

Tuttavia, aggiunge la sentenza del Consiglio di Stato, il Tar non ha illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto che ricorresse l’ulteriore decisivo elemento dell’esistenza di un centro abitato.

I “centri abitati” citati nell’Allegato 1 al d.lgs. n. 36/2003 sono definiti (all’art. 2) come l’insieme di edifici delimitato lungo le vie d'accesso dagli appositi segnali di inizio e fine. Per insieme di edifici si intende un raggruppamento continuo, ancorché intervallato da strade, piazze, giardini o simili, costituito da non meno di venticinque fabbricati e da aree di uso pubblico con accessi veicolari o pedonali sulla strada.

In atti vi è la prova che la Cascina interessata si trova a 453,9 metri dal confine della discarica e che ci sono altri recettori sensibili (una Cascina che dista 211 metri dal confine e metri 265 dal bordo Vasca; una Cascina che è posta a due metri dal confine con la discarica e a 64 metri dal bordo vasca; una Cascina che dista 157,60 metri dal confine e 177,00 metri dal bordo Vasca; il canale Navilotto della Mandria dista 10,30 metri dal confine e 19 metri dal bordo vasca), ma non è stato tuttavia allegato e dimostrato adeguatamente, da parte dei Comuni ricorrenti, che si tratti effettivamente di centri abitati o di aree residenziali.

Per questi motivi il Consiglio di Stato considera non  fondato il motivo relativo alle distanze da centri abitati utilizzato dalla sentenza del TAR.

 

 

IDONEITÀ DELLA BARRIERA CONTRO RISCHI IDROGEOLOGICI

Sul punto il Consiglio di Stato conferma il vizio sollevato dalla sentenza del TAR e quindi conferma l’annullamento del decreto di VIA positivo e della Autorizzazione all’ampliamento delle discariche in questione, svolgendo una ricostruzione di come debba essere intesa, secondo la vigente normativa e della regione interessata, detta barriera, ricostruzione e giudizio che si riportano di seguito.

L’allegato 1 del d.lgs. n. 36/2003 distingue le caratteristiche tecniche minime per tre tipologie di discariche di rifiuti: inerti; non pericolosi; pericolosi.

La protezione del suolo, delle acque freatiche e delle acque superficiali deve essere realizzata mediante la combinazione di una barriera geologica e di un eventuale rivestimento della parte inferiore durante la fase di esercizio e mediante l'aggiunta a chiusura della discarica di una copertura della parte superiore durante la fase post-operativa.

Qualora la barriera geologica non presenti le caratteristiche indicate, la protezione del suolo, delle acque sotterranee e delle acque superficiali deve essere realizzata attraverso il completamento della stessa con un sistema barriera di confinamento.

La barriera di confinamento, che completa artificialmente la barriera geologica, fornisce una protezione equivalente.

Per tutti gli impianti è prevista l'impermeabilizzazione del fondo e delle pareti con un rivestimento di materiale artificiale posto al di sopra della barriera geologica, su uno strato di materiale minerale compattato.

Il rivestimento deve avere caratteristiche idonee a resistere alle sollecitazioni chimiche e meccaniche presenti nella discarica.

Secondo la sentenza del Consiglio di Stato, sulla base degli accertamenti e delle considerazioni tecniche effettuate dal verificatore, le previsioni in commento devono essere interpretate nel senso che sopra la barriera geologica naturale o ricostruita (barriera di confinamento) deve essere steso un rivestimento di materiale artificiale e che il suddetto materiale artificiale deve essere posto su un materiale minerale compattato.

Induce alla suddetta esegesi anche la definizione di barriera di confinamento artificiale, come riportata nell’elaborato peritale: “Le caratteristiche del sistema barriera di confinamento artificiale sono garantite normalmente dall'accoppiamento di materiale minerale compattato (caratterizzato da uno spessore di almeno 100 cm con una conducibilità idraulica k < o =10-7 cm/s, depositato preferibilmente in strati uniformi compattati dello spessore massimo di 20 cm) con una geomembrana.”.

 

Il Consiglio di Stato non condivide, invece, l’esegesi prospettata dall’Amministrazione Provinciale che ha autorizzato l’ampliamento, secondo cui la barriera di confinamento artificiale altro non sarebbe se non la sostituzione della barriera geologica naturale ove assente, come per le discariche d’inerti.

In particolare, tale interpretazione non convince perché il legislatore non si è limitato a prevedere che sulla barriera geologica (naturale o completata artificialmente) sia stesa una geomembrana, ma ha precisato che: “L'utilizzo della sola geomembrana non costituisce in nessun caso un sistema di impermeabilizzazione idoneo; la stessa deve essere posta a diretto contatto con lo strato minerale compattato, senza interposizione di materiale drenante.”

Le considerazioni esposte dal verificatore sono particolarmente convincenti nel senso di ritenere, in conclusione, che “la barriera di confinamento artificiale è un’entità costitutiva propria, assente nelle discariche per inerti e non sostituisce la barriera geologica nelle discariche per rifiuti pericolosi e non.”.

Di conseguenza, Il Consiglio di Stato ritiene corretta la motivazione posta dal Tar a sostegno dell’accoglimento del motivo di ricorso concernente il dedotto rischio di contaminazione delle acque sotterranee, ed in particolare della “falda freatica sottostante le discariche, che in caso di perdite sversamenti inevitabilmente verrà impattata”, ed esclude che attraverso l’accertamento tecnico compiuto il Tar abbia ecceduto dai limiti del proprio sindacato rispetto alla sfera di competenza riservata all’Amministrazione, ovvero abbia travalicato i limiti della domanda rispetto al contraddittorio con le parti del giudizio.

Piuttosto, la verificazione giudiziale ha consentito di appurare – entro i limiti della domanda giudiziale e delle censure articolate – l’illegittimità della discrezionalità tecnico-amministrativa, che è pienamente verificabile in sede giurisdizionale sotto l’aspetto della corretta applicazione della regola tecnica o scientifica di settore.

Infine, sul piano generale ricostruttivo, va dato atto che nella G.U. n. 228 del 14 settembre 2020 è stato pubblicato il d.lgs. n. 121 del 3 settembre 2020 (QUI), che in attuazione della Direttiva (UE) 2018/850 ha modificato il DLgs 36/2003.

Il decreto si occupa, come il precedente, dei criteri di accettabilità dei rifiuti in discarica e dei criteri tecnici di localizzazione, costruzione, gestione e post gestione delle discariche, e conferma che il dato appena esposto poteva essere già ritratto in via esegetica.

 

Il Consiglio di Stato quindi conclude, considerando il suddetto quadro normativo, affermando che:

a) il progetto in contestazione lega tutte le discariche, sia quelle preesistenti, sia quelle di nuova costruzione;

b) in relazione a quelle di nuova costruzione, non sono emerse criticità per quanto riguarda i profili in discorso;

c) le criticità sono emerse, invece, per la porzione della discarica esistente, ove verranno smaltiti dei nuovi rifiuti (pag. 15 della perizia: “Dalla documentazione agli atti si evince che sul fondo c’è solo un metro di argilla (barriera geologica), ma è assente sulle pareti; inoltre, sul fondo manca il secondo metro di argilla della barriera di confinamento artificiale.”);

d) la circostanza che il problema si ponga per la parte di discarica della S.p.a. A2A, in cui sono previsti abbancamenti in sopralzo, non è decisiva nel senso di escludere la parte di discarica della S.p.a. ASRAB, se si considera che gli ampliamenti devono essere realizzati insieme (lo stesso procedimento di VIA, del resto, è stato condotto in maniera unitaria).

e) Le discariche preesistenti al d.lgs. n. 36/2003 rispettano i requisiti minimi previsti dalla legge vigente al momento della loro autorizzazione, ma altrettanto non può sostenersi per l’attuale progetto in sopralzo, per il quale trova piena applicazione il menzionato d.lgs. n. 36/2003.

f) Le discariche si trovano in una condizione di totale riempimento, quindi non parrebbe tecnicamente possibile (o almeno del contrario non è emersa specifica prova) nemmeno un piano di adeguamento del fondo o delle pareti.

Infine, l’esegesi appena prospettata è pienamente conforme e rispettosa anche dell’art. 3, dell’Allegato 1 alla direttiva n. 31/1999:

3. Protezione del terreno e delle acque.

3.1. L'ubicazione e la progettazione di una discarica devono soddisfare le condizioni necessarie per impedire l'inquinamento del terreno, delle acque freatiche o delle acque superficiali e per assicurare un'efficiente raccolta del colaticcio, ove ciò sia richiesto ai sensi del punto 2. La protezione del suolo, delle acque freatiche e delle acque superficiali dev'essere realizzata mediante la combinazione di una barriera geologica e di un rivestimento della parte inferiore durante la fase attiva o di esercizio e mediante la combinazione di una barriera geologica e di un rivestimento della parte superiore durante la fase passiva o post-operativa.”.

 

 

 

 

 

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