Il Consiglio di Stato con recentissima sentenza n° 14 del 3 gennaio 2022 (QUI) è intervenuto in relazione alla legittimità di prescrizioni al monitoraggio e limitazione delle emissioni di un forno crematorio a tutela della salute pubblica.
La questione rileva sia
per ragioni generali ma anche in relazione ad un caso specifico che riguarda la
procedura in corso di autorizzazione del forno crematorio previsto nel
cimitero di Staglieno nel Comune di Genova.
Di seguito analizzo:
1. le lacune
attuali della vigente normativa in materia forni crematori sotto il profilo
della tutela ambientale e della salute pubblica
2. i motivi significativi sulla base dei quali il
Consiglio di Stato con la sentenza richiamata all’inizio ha dichiarato
legittime le prescrizioni imposta al forno previsto nel Comune di Civitavecchia
proprio per la tutela della salute pubblica e per le carenze della normativa
nazionale di cui al punto 1
3. una analisi
dei limiti con i quali ad oggi è stata condotta la istruttoria per approvare il
progetto di forno crematorio nel cimitero di Staglieno a Genova.
IL QUADRO NORMATIVO
NAZIONALE PER LA TUTELA DALL’INQUINAMENTO PRODOTTO DAI FORNI CREMATORI
La normativa nazionale che disciplina i forni crematori sotto il profilo della tutela dell’ambiente e della salute pubblica è la seguente:
Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265 “Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie”
L’art.
338 relativo alle distanze dei cimiteri e quindi anche dei crematoi dalle zone
residenziali afferma che: “I cimiteri devono essere collocati alla
distanza di almeno 200 metri dal centro abitato.
Queste
sono norme di cautela per cui nel caso specifico de forno crematorio occorre
che le distanze, in sede di autorizzazione, vadano valutate con la specificità
del sito in cui l’impianto verrà collocato e quindi delle eventuali criticità
ambientali e sanitarie della zona interessata dalle future emissioni del forno.
Non
casualmente lo stesso articolo 338 nel secondo comma afferma che per prevedere
distanze minori dei 200 metri occorre tenere conto, tra l’altro, che: “a)
risulti accertato dal medesimo consiglio comunale che, per particolari
condizioni locali, non sia possibile provvedere altrimenti” .
A conferma di questo legame che deve caratterizzare il progetto con il sito si
veda questa altra norma
Decreto Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285 “Approvazione
del regolamento di polizia mortuaria”
L’articolo 78 di questo
DPR recita: “2. Il progetto di costruzione di un crematorio
deve essere corredato da una relazione nella quale vengono illustrate le
caratteristiche ambientali del sito, le caratteristiche tecnico-sanitarie
dell'impianto ed i sistemi di tutela dell'aria dagli inquinamenti sulla base
delle norme vigenti in materia.“
Legge 30 marzo 2001, n. 130 “Disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri”
Art. 6. (Programmazione
regionale, costruzione e gestione dei crematori)
“1. Entro sei mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge, le Regioni elaborano
piani regionali di coordinamento per la realizzazione dei crematori da parte
dei comuni, anche in associazione tra essi, tenendo conto della popolazione
residente, dell'indice di mortalità e dei dati statistici sulla scelta crematoria
da parte dei cittadini di ciascun territorio comunale, prevedendo, di norma, la
realizzazione di almeno un crematorio per regione.”
Parte V DLgs 152/2006: Quale
autorizzazione per gli impianti crematori e la carenza di norme tecniche specifiche
su forni crematori
Le emissioni di
tali impianti sono regolamentate dall’Autorizzazione Unica
Ambientale (AUA) e sono soggette alle prescrizioni in materia
di emissioni gassose in atmosfera (parte V del D.Lgs. 152/2006 e smi).
Per la fissazione dei
limiti di emissione di inquinanti devono essere considerate le migliori
tecnologie disponibili, anche al fine di rispettare i valori e gli obiettivi di
qualità dell’aria. Nello studio impiantistico della tecnologia di depurazione
dei fumi, vengono di solito prese come riferimento le migliori tecnologie
disponibili dei termovalorizzatori, anche se la discontinuità del processo
di cremazione rende questi forni diversi dai termovalorizzatori.
Ma il problema vero è che non è mai stato emanato il Decreto Interministeriale che, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge 130 secondo il testo sopra riportato, avrebbe dovuto definire “le norme tecniche per la realizzazione dei crematori, relativamente ai limiti di emissione, agli impianti e agli ambienti tecnologici, nonché ai materiali per la costruzione delle bare per la cremazione”.
LA SENTENZA
DEL CONSIGLIO DI STATO
Di fronte al suddetto quadro
normativo assume un rilevante significato applicativo ai singoli casi di
progetti di forno crematorio esistenti o in autorizzazione, la sentenza qui
esaminata. Questo perché la sentenza affronta due temi decisivi per questa
tipologia di impianti:
1. il ruolo del Sindaco come
autorità sanitaria, ai sensi del Testo Unico Leggi Sanitarie, nella procedura
di autorizzazione dei forni crematori
2. come colmare le lacune
della legge nazionale (ma vedremo ancor di più della Regione Liguria nel caso
del progetto di Staglieno Genova) relativamente alla tutela preventiva della
salute pubblica dalle emissioni di questi impianti.
L’autorizzazione e le
prescrizioni ambientali e sanitarie impugnate
Il caso trattato nella
sentenza parte da una autorizzazione unica ambientale rilasciata al forno
crematorio di Civitavecchia. L’autorizzazione unica ambientale (AUA) della
Città Metropolitana di Roma prevedeva prescrizioni proposte con un parere sanitario
del Sindaco ai sensi del testo unico leggi sanitarie. Prescrizioni che
riguardavano non solo monitoraggi e limiti di emissioni ma anche tetto al
numero delle cremazioni.
In particolare il Comune
aveva prodotto a supporto del Parere del Sindaco una relazione tecnica da cui
risultava che l’aumento del numero delle cremazioni avrebbe prodotto conseguenze
apprezzabili sull’inquinamento ambientale per cui limitare il numero è un
apprezzabile punto di equilibrio fra la tutela dell’ambiente e la necessità di
assicurare la redditività dell’impianto.
Le contestazioni da
parte della ditta che voleva realizzare il forno crematoio
Il proponente il progetto
era ricorso al TAR per far annullare le prescrizioni ma il TAR aveva respinto
il ricorso. Il proponente ha allora appellato al Consiglio di Stato e tra i
motivi principali c’erano questi due:
1. il
Sindaco non avrebbe competenza alcuna ad esprimere un parere sanitario sulla
realizzazione del forno crematorio;
2. le prescrizioni imposte nell’AUA era esagerate e
quindi non rispettose del diritto di impresa.
La decisione del
Consiglio di Stato che ha respinto l’appello del proponente il progetto di
forno crematorio
Sul primo
motivo, relativo alla supposta non
competenza del Sindaco ad esprimere un parere con richiesta di prescrizione
sanitarie, il Consiglio di Stato lo ha dichiarato infondato con la seguente
motivazione.
Il Sindaco ha espresso il proprio parere richiamandosi agli artt. 216 e 217
del T.U. delle leggi sanitarie 27 luglio 1934 n.1265.
La
prima delle norme citate prevede in generale al comma 6 che chiunque intenda
attivare un’industria insalubre di prima o di seconda classe, così come
definita nell’elenco allegato alla legge, ne debba dare preventivo avviso al
Sindaco, il quale nell’interesse della salute pubblica può vietare
l’attivazione stessa ovvero “subordinarla a determinate cautele”. La
seconda delle norme citate prevede poi che il Sindaco prescrive “le norme da
applicare per prevenire o impedire il danno o il pericolo” che possa
derivare da “vapori, gas o altre esalazioni, scoli di acque, rifiuti solidi
o liquidi provenienti da manifatture o fabbriche”.
Il Sindaco ha ritenuto di esprimersi in primo luogo ritenuto che l’impianto
in questione sia assimilabile agli “inceneritori”,
Gli
inceneritori come è noto sono industrie insalubri di prima classe, in base alla
parte prima, lettera C n. 14 dell’elenco relativo di cui si è detto, così come
approvato dal D.M. Sanità 5 settembre 1994.
Il Sindaco ha dato atto che non risulta emanato il decreto interministeriale
previsto dall’articolo 8 della legge 30 marzo 2001 n.130,
Articolo
8 già citato in precedenza e rispetto al quale il Consiglio di Stato ha affermato
che: “La norma però è tuttora inattuata, e quindi ha lasciato un vuoto
normativo in particolare quanto alla disciplina delle emissioni in atmosfera,
vuoto che il Sindaco ha ritenuto di colmare esercitando la propria competenza
ai sensi del T.U. 1265/1934.”
L’appello al Consiglio di Stato impugna solo il Parere del Sindaco
In
realtà detto parere è stato assorbito nelle prescrizioni dell’AUA che invece
non è stata impugnata dal proponente, rendendo il motivo di appello
inammissibile.
Il vuoto di prescrizioni a tutela di ambiente e salute prodotto dalla
lacune della inattuata normativa legittima l’intervento del Sindaco visto che i
forni producono importanti inquinanti.
Afferma sul punto il
Consiglio di Stato: “È fatto notorio nell’ambito della specifica
professionalità che i forni crematori con il loro funzionamento producono
emissioni inquinanti, costituite in particolare da polveri, monossido di
carbonio, ossidi di azoto e zolfo, composti organici volatili, composti
inorganici del cloro e del fluoro e metalli pesanti, tra cui il mercurio
sovente presente nelle otturazioni dentarie. Con tutto il rispetto che l’etica
impone per quelle che comunque sono le spoglie mortali di un essere umano, non
si può allora negare che questo tipo di emissioni sia in termini chimico fisici
del tutto identico a quello prodotto appunto dagli inceneritori citati nel
parere del Sindaco. Appare quindi legittimo che il vuoto di prescrizioni creato
dalla non attuazione della l. 130/2001 sul punto venga colmato con il ricorso
alla normativa generale del T.U., tenuto presente che dall’art. 8 della l.
130/2001 stessa emerge inequivocabile la volontà del legislatore nel senso che
la materia venisse disciplinata. La competenza del Sindaco si deve quindi
ritenere legittimamente esercitata.”
Sul secondo motivo, cioè il
fatto che le prescrizioni erano esagerate, il Consiglio di Stato lo dichiara
infondato con la seguente motivazione: “Si tratta di una materia in cui l’amministrazione è
titolare di discrezionalità tecnica, che com’è pacifico, sì da non richiedere
puntuali citazioni di giurisprudenza, è sindacabile in questa sede di
giurisdizione generale di legittimità solo in caso di esiti abnormi ovvero
manifestamente illogici, che il Collegio nel caso presente non ravvisa. La
ricorrente appellante, in primo luogo, non ha contestato l’affermazione in
fatto contenuta nel parere del Sindaco, per cui la zona di Civitavecchia è
inserita in un “contesto pesantemente gravato” da “numerosi e rilevanti fattori
di pressione ambientale che hanno determinato uno stato di sofferenza sanitaria
della popolazione”, come risulta da uno studio delle autorità sanitarie
regionali, puntualmente citato. In un contesto del genere, limitare l’impianto
al volume di attività indicato dallo stesso gestore e imporre un monitoraggio
appaiono misure assolutamente non sproporzionate, dato che non sacrificano
l’attività del privato e intendono soltanto dare all’autorità lo strumento per
conoscere se essa produca o no effetti pericolosi, il che è il minimo
necessario per qualsiasi ulteriore misura.”
IL CASO DEL
PROGETTO DI FORNO CREMATORIO A STAGLIENO (GE) E I LIMITI DELLA NORMATIVA LIGURE
SUI FORNI CREMATORI
Le carenze della
normativa regionale ligure
In primo luogo occorre
affermare che la procedura di autorizzazione di questo progetto attualmente in
corso si inserisce in un quadro non solo di lacune nella normativa nazionale
come sopra evidenziato ma anche della normativa regionale ligure.
La legge regionale 10
luglio 2020, n. 15 “Disciplina in
materia di attività e servizi necroscopici, funebri e cimiteriali e norme
relative alla tumulazione degli animali di affezione” all’articolo 45 si
limita ad affermare che: ”1. I crematori sono realizzati nell’ambito
dell’area cimiteriale e sono gestiti dai comuni, anche in associazione,
direttamente o affidati a terzi nel rispetto della normativa statale e
comunitaria vigente. 2. Il soggetto titolare dell’impianto e il soggetto
gestore non possono svolgere congiuntamente attività funebre se non garantendo
un’effettiva separazione societaria, organizzativa ed operativa e con proprietà
diverse.”
Non esistono criteri
precisi di localizzazione di questi impianti come in altre Regioni:
• criteri di efficienza –
il numero di cremazioni/anno deve essere almeno pari a 1000- 1200 con
possibilità di deroga per aree provinciali disagiate;
• criteri tecnologici –
l’impianto di cremazione deve utilizzare le migliori tecnologie disponibili per
l’abbattimento delle emissioni in atmosfera;
• criteri quantitativi –
il bacino di riferimento deve essere di almeno 450.000 – 500.000 abitanti
residenti;
• criteri territoriali –
la realizzazione di un nuovo impianto di cremazione non è ammessa in ambito
urbano, in prossimità (distanza minima 500 ml.) di elementi sensibili (asili,
ospedali, scuole, RSA, ecc.) e/o elevata pressione antropica (compresenza di
altre fonti di emissioni inquinanti);
• criteri di sostenibilità
– sono ammessi prioritariamente gli impianti di cremazione la cui fonte
energetica è costituita dal metano;
• criteri gestionali -
sono ammessi nuovi impianti di cremazione che abbiano almeno due linee per
sopperire guasti tecnici e manutenzioni
Il Piano regionale di
qualità dell’aria
Il progetto presentato
rinvia al piano regionale della qualità in modo generico.
Intanto occorre precisare
che il riferimento al piano regionale di qualità dell’aria non è sufficiente non
solo perché mancano i suddetti criteri ma perché sulla microscala (perimetro
esterno alla zona dove verrà realizzato il forno crematorio) ci possono effetti
significativi in termini di concentrazioni nella qualità dell’aria non valutati
minimamente, sia sufficiente vedere lo Studio di Prefattibilità Ambientale del
progetto che non tratta minimamente questo aspetto
Ma oltre a questa genericità del riferimento occorre aggiungere che il Piano della Qualità dell’Aria ligure nulla dice sui forni crematoi. Invece, ma è solo un esempio il Piano Toscano, all’Allegato 2, prevede:
1.Limiti emissivi dei singoli inquinanti da forni crematori
2. ulteriori prescrizioni gestionali dell’impianto quali:
- i feretri dovranno essere introdotti nei forni privi di elementi in metallo;
- dovranno essere impiegati feretri di
legno dolce, non resinoso, non aromatico e non verniciato;
- la presenza di tessuti sintetici dovrà
essere evitata (nel limite del possibile limitare guarnizioni interne, quali
imbottiture, tessuti, piume, corone e simili). e dovranno essere evitate le
scarpe; fa eccezione l’incenerimento successivo all’estumulazione;
-
dopo l’ultima immissione di aria di
combustione, i gas prodotti dal processo di incenerimento devono essere
portati, in modo controllato ed omogeneo, ad una temperatura di almeno 850° per
almeno due secondi (tale da permettere l’ossidazione dei fumi di combustione e
la dissociazione termochimica dei microinquinanti).
Non esiste alcuna norma
regionale che fissi prescrizioni per la gestione dei rifiuti prodotti dal forno
crematorio
Arpa della Regione Toscana
e le linee guida del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente dato
indicazioni precise su come gestire questi rifiuti
Durante il processo di incenerimento e durante
il processo di abbattimento degli inquinanti presenti nei fumi, vengono
prodotti rifiuti
speciali che vanno smaltiti in discariche autorizzate in
conformità alle norme di legge.
In un crematorio si producono rifiuti rappresentati soprattutto da: polveri, fanghi, filtri, reagenti ed altri rifiuti derivanti dalla depurazione dei fumi; materie solide che restano nell’interno delle camere di combustione o che possono da queste essere evacuate.
Alcuni dei rifiuti prodotti (quelli sotto contrassegnati con un asterisco) sono ritenuti pericolosi ai sensi della Direttiva 2008/98/CE e ad essi si applicala Direttiva.
Per i rifiuti provenienti dall’attività di cremazione, in attesa di una modifica della Decisione 2000/532/CE, devono essere utilizzati i seguenti codici (nota ISPRA n 31098, del 20/7/2009, trasmessa dal MATTM con nota 1781 del 26/8/2009)
101401 * “rifiuti prodotti dalla depurazione
dei fumi, contenenti mercurio”
190107* “rifiuti solidi prodotti dal
trattamento dei fumi”, da utilizzare nel caso in cui le analisi periodiche
escludano che la presenza di mercurio sia significativa. Si tratta in realtà di
un codice appartenente ad altra classe di rifiuti (Rifiuti da incenerimento e
pirolisi di rifiuti).
200140 “metalli”
Per i rifiuti derivanti dall’abrasione dei
refrattari esausti e dalla raschiatura del refrattario, lo smaltimento degli
stessi refrattari a fine ciclo di vita, andranno utilizzati i codici: 161106,
in caso di non pericolosità - 161105 * in caso di pericolosità
Infine per le parti metalliche derivanti dalla
separazione delle ceneri umane dai resti della cremazione: 190102 “materiali
ferrosi estratti da ceneri pesanti” - 190199 “rifiuti non specificati
altrimenti”
Non esiste alcun piano
regionale di localizzazione dei forni crematori
Si tratta della mancata
attuazione di quanto previsto, come riportato nella prima parte del post, dall’articolo
6 della legge 130/2001.
Le carenze e
contraddizioni emerse dalla istruttoria nel procedimento di rilascio dell’AUA
al forno crematorio di Staglieno
Parere della Direzione
Ambiente Servizio Tutela Ambientale Città Metropolitana
“presenza di un
polverizzatore per le ceneri derivanti dalle cremazioni, per il quale non sono
fornite indicazioni sulle eventuali emissioni da esso derivanti, sebbene
possano apparentemente risultare non rilevanti ai fini dell’ambiente. Sarebbe
pertanto opportuno che venisssero fornite maggiori specifiche in proposito”
Quindi manca un aspetto
non secondario per concludere la procedura autorizzatoria considerata anche la
criticità di localizzazione su cui si tornerà successivamente.
Relativamente alle
specifiche progettuali il Parere della Direzione Ambiente non considera quanto
affermato dalle linee guida SNPA:
“È necessario quindi che i forni crematori abbiano adeguati sistemi di abbattimento dei fumi, che
garantiscano un’adeguata efficienza anche in relazione della discontinuità del
processo dovuta all’abbassamento delle temperature ad ogni ciclo, per il
recupero delle ceneri.
Tale caratteristica del processo di
cremazione renderebbe preferibile la costruzione di impianti con camere
distinte che lavorino in serie:
per esempio, mentre in una camera si
crema, in un’altra avviene il processo di essiccazione pre-cremazione e in
un’altra il processo di abbassamento delle temperature per il recupero ceneri,
in modo da mantenere la temperatura dei fumi costante e permettere all’impianto di
abbattimento una maggiore efficienza grazie ad un regime di
funzionamento maggiormente stabile.
Questa soluzione consentirebbe inoltre
costi di gestione ridotti rapportati all’aumento di potenzialità di impianto e
permetterebbe anche un parziale recupero termico all’interno del processo.”
Afferma inoltre il Parere
della Direzione Ambiente Città Metropolitana
“Si rileva infine che l’impianto
andrebbe ad inserirsi in un’area già oggetto di esposti e segnalazioni. Per
quanto riguarda l’eventuale aggravio ambientale derivante dalla realizzazione
di un nuovo impianto di cremazione nell’area di Staglieno si rimanda alle
valutazioni di competenza di Regione Liguria, nell’ambito del piano regionale
di tutela della qualità dell’aria”.
Quindi da un lato si riconosce
una criticità ambientale e di rischio per la salute pubblica per i residenti
nell’area interessata dall’impatto delle emissioni del forno per poi limitarsi a
rinviare al Piano Regionale della Qualità dell’Aria che, come abbiamo visto non
fa alcun riferimento ai forni crematoi.
Parere ASL
Il parere interno al procedimento
di autorizzazione del progetto in questione è impostato come parere
prevalentemente di igiene edilizia e di sicurezza nell’ambiente di lavoro.
Si rileva comunque come
significativa la seguente affermazione: “Nella relazione si sono considerati
unicamente gli insediamenti industriali limitrofi ma non le civili abitazioni
poste sul versante ovest opposto pur se queste siano ad una distanza non
superiore ai 500 metri dal sito”
Questo conferma uno dei
limiti fondamentali di questo progetto: la non adeguata valutazione del rischio
sulla salute pubblica per cui si afferma sia da parte di ASL, che da parte del settore Tutela Ambientale della
Città Metropolitana, l’esistenza non solo di residenze civili molto vicine al
sito ma con già problematiche in atto.
In realtà proprio perché,
come confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato illustrata nella prima
parte di questo post, i forni crematoi sono considerati industrie insalubri di
prima classe occorrerebbe anche qui come a Civitavecchia un Parere del Sindaco
che dovrà avere almeno i seguenti contenuti:
a) una
valutazione della rilevanza sanitaria delle emissioni dell’impianto
b) una
valutazione dello stato sanitario della popolazione interessata
c) una
valutazione dello stato e della evoluzione del contesto urbanistico interessato
dall’impianto
d) una
valutazione dei rischi di incidenti rilevanti dall’impianto con fuoriuscite
anomali di emissioni inquinanti.
CONCLUSIONI
Queste clamorose carenze
istruttorie e legislative sia nazionali che regionali anche alla luce della sentenza
del Consiglio dovrebbero produrre due conseguenze:
1. impostare
in modo completamente diverso la attuale istruttoria sul progetto di forno
crematoio archiviando per ora il progetto presentato
2. stabilire una moratoria regionale su nuovi forni crematoi
fino alla approvazione delle norme nazionali che mancano o comunque di
specifiche norme regionali come avvenuto in altre regioni in relazione a:
programmazione dimensioni e localizzazioni, norme tecniche di gestione, limiti
di emissione e modalità di monitoraggio degli inquinanti.
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