Il Consiglio di Stato con sentenza 6883 del
2020 pubblicata lo scorso 9 novembre (QUI) è intervenuto su appello di una società che gestisce depositi di
idrocarburi nella zona di Genova. La società appellante chiedeva l’annullamento
della sentenza del TAR Liguria n° 1095 del 2016. Oggetto del contendere era il nuovo PUC
di Genova nella parte in cui (in continuità con il previgente PUC del 2000)
classifica le aree, dove sono collocati detti depositi, come “ambito di trasformazione”
finalizzato all’insediamento di attività produttive “compatibili sotto il
profilo ambientale”.
LA CONTROVERSIA SUI POTERI
URBANISTICI DEL COMUNE NELLA DELOCALIZZAZIONE DEI DEPOSITI
La sentenza del TAR
aveva affermato:
1. il Comune
avrebbe il potere di modificare la destinazione urbanistica di suoli in atto utilizzati
per finalità produttive, posto che “la potestà pianificatoria … mira a far
collimare l’interesse della collettività con il più corretto uso del
territorio. Questo può essere ritenuto convenientemente conformato in un
determinato momento storico, cosa che può invece risultare non più rispondente
alle esigenze pubbliche in epoca diversa”;
2. il punto 1 è ulteriormente rafforzato dalla esistenza
di un protocollo di intesa del 31 luglio 1997 tra Comune, Regione, sindacati
dei lavoratori e varie imprese del settore petrolifero, tra cui le due società
danti causa della ricorrente. Con questo protocollo si sarebbe concordato in
quindici anni il periodo di ulteriore permanenza in loco dell’impianto,
anche perché il relativo sito era destinato ad ospitare l’ospedale di vallata;
la successiva scelta regionale di allocare altrove l’ospedale di vallata non
avrebbe una valenza decisiva, posto che “la prima esigenza perseguita [dal
protocollo di intesa] riguardava la riqualificazione ambientale del
sito”.
Il Consiglio
di Stato con la sentenza qui
esaminata accoglie l’appello della società. In particolare la sentenza afferma che il Comune non
ha il potere di incidere unilateralmente, con i propri poteri di conformazione
urbanistica del territorio, su infrastrutture considerate ex lege strategiche.
In particolare tale strategicità deriverebbe dalla natura degli impianti “deposito
di stoccaggio di oli minerali” ex art. 57 (NOTA [1])
d.l. n. 5 del 2012, convertito con l. n. 35 del 2012.
Inoltre
detti depositi, ricorda il Consiglio di Stato, hanno natura di “deposito
costiero” ex art. 52 c. nav., stante la connessione fisica con il demanio
marittimo; per di più, l’impianto costituisce parte di un’assai ampia ed
articolata infrastruttura integrata di distribuzione degli oli minerali nel
territorio nazionale, anche a mezzo di ulteriori depositi a valle.
In
questo senso secondo il Consiglio di Stato la decisione pianificatoria del
Comune di Genova - mira, nella sostanza, ad una finalità di
riconversione dell’apparato industriale genovese (sussumibile nel genus della
politica lato sensu industriale) del tutto estranea alla
potestà urbanistica.
Relativamente al Protocollo il Consiglio di Stato afferma che lo stesso non può fungere da fondamento all’impugnata previsione, posto che da esso non si trae affatto l’intenzione delle Amministrazioni territoriali di smobilitare in modo coercitivo – e quindi unilaterale, ad opera di una sola di esse - il sistema di depositi di idrocarburi ancora attivo nel territorio genovese. Non a caso, afferma il Consiglio di Stato, nel proprio atto di appello il Comune afferma esplicitamente che “non costituisce certo onere dell’amministrazione reperire ed acquisire le aree necessarie alla ricollocazione degli impianti”, ciò che dimostra ulteriormente la natura e la finalità puramente espulsiva della disposizione impugnata.
DALLA
SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO EMERGONO INDIRIZZI PER IMPOSTARE DIVERSAMENTE
LA QUESTIONE DELLA DELOCALIZZAZIONE DEI DEPOSITI PETROLIFERI
Conclude quindi il
Consiglio di Stato sulla decisione pianificatoria del Comune di Genova:
1. non reca una destinazione urbanistica di diverso genus (agricola,
residenziale, et similia), ma mantiene quella produttiva,
escludendo tuttavia l’attuale utilizzazione quale deposito di oli minerali, pur
certo ascrivibile al genus “attività produttiva”;
2. incide sul diritto di libera iniziativa economica
privata, oltretutto senza predisporre, a titolo di compensazione, alcuna forma
indennitaria;
Questi due punti possono costituire elementi per impostare la delocalizzazione in modo diverso da come è stata impostata dal Comune di Genova creandone i presupposti della legittimità.
LA
PARTE DELLE NORME DI PIANIFICAZIONE DEL COMUNE CHE RISULTANO INVECE LEGITTIME.
La società che gestisce i depositi in questione nel chiedere
l’annullamento della sentenza del TAR, che aveva riconosciuto le ragioni del
Comune, contesta quella parte di disciplina transitoria del PUC genovese che ammette nell’area solo “interventi di manutenzione e quelli
necessari per migliorare le caratteristiche di sicurezza”, con esclusione,
quindi, degli interventi di potenziamento tecnologico, funzionale e
capacitativo dell’impianto.
Sul punto il Consiglio di Stato rigetta le motivazioni della società in quanto la gravata previsione non osterebbe, nell’immediato, alla perdurante operatività dell’impianto, per cui è incongruo, illogico e contraddittorio impedire l’adeguamento tecnologico, funzionale e capacitativo dell’impianto stesso: altrimenti detto, finché l’impianto può operare, non vi sono ragioni urbanistiche per impedire l’esecuzione di interventi migliorativi della relativa performance. In termini più generali, inoltre, la disposizione in commento veicola una larvata e strisciante forma di espropriazione del valore (industriale, operativo, produttivo, economico, finanziario) dell’impianto, in assenza dei requisiti prescritti dalla legge.
Questa parte della sentenza dimostra la fondatezza di quanto ho sostenuto in questo post (QUI), nel quale affermo che al di la dell’avvio di una complessa procedura di delocalizzazione imporre il rispetto di prescrizioni e norme ambientali (come descritte nel post) ai depositi petroliferi genovesi da un lato può migliorare la qualità della vita e la sicurezza dei residenti ma anche :
1. avviare una pressione
amministrativa (fondata sulla legalità) che può convincere i gestori dei
deposti ad accelerarne la dismissione
2. Dimostrare
ai cittadini che al di la di dove verranno collocati i depositi, se verranno
spostati, le amministrazioni competenti ( a cominciare dal Sindaco ma non solo)
non permetteranno più una impunità legale come è avvenuto per decenni a chi
gestisce questi impianti.
“1. Al fine di
garantire il contenimento dei costi e la sicurezza degli approvvigionamenti
petroliferi, nel quadro delle misure volte a migliorare l'efficienza e la
competitività nel settore petrolifero, sono individuati, quali infrastrutture e
insediamenti strategici ai sensi dell'articolo 1, comma 7, lettera i), della
legge 23 agosto 2004, n. 239:
a) gli stabilimenti di lavorazione e di stoccaggio di
oli minerali;
b) i depositi costieri di oli minerali come definiti dall'articolo 52 del
Codice della navigazione di cui al d.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328;
..d) i depositi di stoccaggio di prodotti petroliferi, ad esclusione del
G.P.L., di capacità autorizzata non inferiore a metri cubi 10.000;…”
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