Tre studi da istituti di
ricerca prestigiosi confermano (vedi studi precedenti QUI) il legame tra inquinamento atmosferico (da
particolato in questo caso) e aumento della morbilità e soprattutto mortalità
da COVID-19. I titoli dei paragrafi che seguono sono la traduzione letterale dall'inglese dei titoli degli studi.
L’IMPATTO
DELLE CONDIZIONI METEOROLOGICHE E INQUINAMENTO ATMOSFERICO SULLA TRASMISSIONE
PANDEMICA COVID-19 IN ITALIA
Pubblicato su Scientific Reports uno
studio sul rapporto tra diffusione
del Covid-19 l’inquinamento atmosferico.
Lo studio rileva come
l'Italia sia stata la prima, tra tutti i paesi europei, ad essere fortemente
colpita dall'epidemia pandemica COVID-19 causata dalla grave sindrome
respiratoria acuta coronavirus 2 (Sars-CoV-2).
Il virus, dimostrato di
essere molto contagioso, ha infettato più di 9 milioni di persone in tutto il
mondo (nel giugno 2020). Tuttavia, non è chiaro il ruolo dell'inquinamento
atmosferico e delle condizioni meteorologiche nella trasmissione del virus.
Lo studio ha valutato,
quantitativamente, come i parametri meteorologici e di qualità dell'aria siano
correlati alla trasmissione COVID-19 in due grandi aree metropolitane del Nord
Italia come Milano e Firenze e nella provincia autonoma di Trento. Milano,
capoluogo della Regione Lombardia, è considerata l'epicentro dell'epidemia di
virus in Italia.
Lo studio evidenzia che le
variabili correlate alla temperatura e all'umidità sono correlate negativamente
alla trasmissione del virus, mentre l'inquinamento atmosferico (PM2.5) mostra
una correlazione positiva (in misura minore). In altre parole, la trasmissione
pandemia COVID-19 preferisce condizioni ambientali secche e fredde, nonché aria
inquinata. Per questi motivi, il virus potrebbe più facilmente diffondersi in ambienti interni non filtrati
con aria condizionata. Tali risultati sosterranno i responsabili delle
decisioni per contenere nuovi possibili focolai.
TESTO STUDIO: QUI
IL COLLEGAMENTO SEGRETO DEL PARTICOLATO E LA SARS-COV-2
Studio pubblicato su Frontiers in
Genetics parte dal dato di altri
studi che supportano l'ipotesi che il particolato fine (PM) possa
innescare una risposta infiammatoria a livello molecolare, cellulare e organo.
Su questa base, lo studio ha sviluppato l'ipotesi che il PM svolga
un ruolo come un booster (vettore di spinta) di COVID-19 piuttosto che come
vettore di SARS-CoV2.
Lo studio ha quindi analizzato
le tracce molecolari rilevate nelle
cellule esposte ai campioni di PM raccolte in una delle aree più colpite
dall'epidemia di COVID-19, in Italia. Le cellule di adenocarcinoma mammario
umano T47D sono state scelte per esplorare i cambiamenti globali
dell'espressione genica indotti dal trattamento con estratti organici di PM2.5.
L'analisi dei percorsi del KEGG ha mostrato la modulazione di diverse reti
geniche legate alla migrazione transendoteliale leucocito, al citoscheletro e
al sistema di adesione. Sono stati identificati tre importanti processi
biologici, tra cui la coagulazione, il controllo della crescita e la risposta
immunitaria. L'analisi dei geni modulati ha dato prova del coinvolgimento del
PM nella malattia endoteliale, nei disturbi della coagulazione, nel diabete e
nella tossicità riproduttiva, sostenendo l'ipotesi che il PM, direttamente o
attraverso l'interazione molecolare, colpisca gli stessi bersagli molecolari
finora noti per la SARS-CoV, contribuendo alla tempesta di citochine e
all'aggravamento dei sintomi innescati da COVID-19. Lo studio fornisce prove di
una plausibile cooperazione di recettori e proteine transmembrane, mirate dal
PM e coinvolte nel COVID-19 e nuove intuizioni sull'interazione molecolare di
sostanze chimiche e patogeni che potrebbero essere importanti per sostenere le
politiche di salute pubblica e sviluppare nuovi approcci terapeutici
TESTO
STUDIO: QUI
CONTRIBUTI
REGIONALI E GLOBALI DELL'INQUINAMENTO ATMOSFERICO AL RISCHIO DI MORTE PER
COVID-19
Pubblicato su Cardiovascular
Research (della
società europea di cardiologia) uno studio sul rapporto tra inquinamento atmosferico e aumento mortalità
da COVID-19. Los tudio è stato elaborato
da un gruppo di ricercatori del Centro Internazionale di Fisica Teorica di
Trieste e Istituto Max-Planck per la Chimica.
Lo studio parte dalla analisi degli esiti della sindrome respiratoria acuta grave (SARS-CoV-1) nel 2003 e dalle indagini preliminari su quelli per la SARS-CoV-2 dal 2019. Questi esisti hanno fornito la prova che l'incidenza e la gravità della mortalità da questi virus sono correlate all'inquinamento atmosferico ambientale. Lo studio ha quindi stimato la frazione di mortalità COVID-19 attribuibile all'esposizione a lungo termine all'inquinamento atmosferico da particolato fine ambientale.
Sotto il profilo della metodologia usata lo studio ha caratterizzato l'esposizione globale al particolato fine sulla base di dati satellitari e calcolato la frazione antropogenica con un modello di chimica atmosferica. Il grado in cui l'inquinamento atmosferico influenza la mortalità da COVID-19 è stato derivato dai dati epidemiologici negli Stati Uniti e in Cina.
I risultati di stima sono stati che l'inquinamento atmosferico da particolato (PM2,5) abbia contribuito ∼15% (intervallo di confidenza del 95% 7-33%) alla mortalità COVID-19 in tutto il mondo, 27% (13 – 46%) nell'Asia orientale, 19% (8-41%) in Europa e il 17% (6-39%) in Nord America. A livello globale, ∼ il 50-60% della frazione attribuibile e antropogenica è correlato all'uso di combustibili fossili, fino al 70-80% in Europa, Asia occidentale e Nord America.
In particolare le conclusioni dello studio suggeriscono che l'inquinamento atmosferico è un importante fattore che aumenta il rischio di mortalità da COVID-19. Ciò fornisce una motivazione supplementare per combinare politiche ambiziose per ridurre l'inquinamento atmosferico con misure per controllare la trasmissione di COVID-19.
TESTO
DELLO STUDIO: QUI.
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