Interessante sentenza del Consiglio di Stato (n° 2733/2020 – QUI) che affronta l’appello proposto da un Comune con il
sostegno di una associazione di cittadini locali per la riforma della sentenza
del TAR competente che aveva respinto il ricorso contro il rilascio
dell’AIA per il trattamento di rifiuti
pericolosi in un impianto esistente.
La sentenza pur dando
ragione alla Regione che aveva rilasciato l’AIA affronta alcune tematiche
rilevanti della procedura di AIA e in generale delle autorizzazioni ordinarie
ad impianti di rifiuti:
1. conformità urbanistica
e AIA
2. ricollocazione
industrie insalubri ed AIA
3. poteri in materia di
salute pubblica dei Comuni.
Vediamo come…
La sentenza pur dando
torto a chi contestava l’AIA fornisce indirettamente una interpretazione
interessante per come il
processo/procedimento di AIA debba essere rilasciato e come si possa
contestare, sotto il profilo della legittimità, un provvedimento di AIA
rispetto alle tre questioni sopra elencate.
I MOTIVI PRINCIPALI DELLA SENTENZA DEL
CONSIGLIO DI STATO
Relativamente alla conformità urbanistica
Il Consiglio di Stato
afferma che la contestazione del Comune sulla parziale non conformità
urbanistica dell’impianto e del nuovo ampliamento soggetto ad AIA non è fondata
perché l’impianto è esistente è stato autorizzato da anni senza alcuna
contestazione del Comune anzi lo stesso aveva rilasciato autorizzazioni
edilizie in proposito addirittura anche in sanatoria. In sostanza, secondo il
Consiglio di Stato , il Comune si è opposto solo con l’avvio della
procedura di A.I.A. senza farsi carico in precedenza, sia nell’attività di
gestione degli aspetti edilizi dell’area, sia in fase di pianificazione
urbanistica, delle questioni problematiche, conseguenti alla vicinanza
dell’impianto a strutture “sensibili”.
Relativamente alle contestazioni ambientali e sanitarie
del progetto di ampliamento dell’impianto esistente
Il Comune secondo il
Consiglio di Stato si è limitato a contestare il rilascio dell’AIA solo con
riferimento agli aspetti urbanistici. Peraltro secondo il Consiglio di Stato:
“il Comune non è Amministrazione specificamente
preposta – con poteri aventi portata ‘prevalente’ - alla tutela di interessi paesistico - ambientali o
della salute (con possibile devoluzione del caso alla Presidenza del Consiglio).”.
Relativamente alla localizzazione delle industrie
insalubri
Il Comune aveva dichiarato
nel suo appello volontà dell’ente di delocalizzare dal centro abitato le
industrie insalubri e pericolose come l’impianto in questione. Secondo il
Consiglio di Stato: “l’asserita intenzione
del Comune di delocalizzare l’impianto non è stata suffragata dall’indicazione
delle nuove aree, circostanza che avrebbe potuto portare al rilascio di
un’A.I.A. provvisoria, efficace fino alla delocalizzazione.”.
ANNOTAZIONI CONCLUSIVE ALLE MOTIVAZIONI
DELLA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
Relativamente alla conformità urbanistica
La contestazione del
Consiglio di Stato al Comune di non avere mai in precedenza all’AIA da ultimo
rilasciata, sollevato la questione di non conformità urbanistica dell’impianto
di rifiuti esistente da anni dimostra come il Comune, se lo esercita nei tempi
giusti da un punto di vista amministrativo, mantiene il diritto di pianificare
anticipatamente le destinazioni d’uso del proprio territorio.
Non solo ma relativamente
al riferimento che il Consiglio di Stato fa alla efficacia di variante
urbanistica della autorizzazione (sia AIA che autorizzazione unica a seconda
del tipo di impianto e delle sue dimensioni) occorre ricordare come una recente
sentenza sempre del Consiglio di Stato su un altro caso dove si afferma la non
automaticità della autorizzazione (AIA o autorizzazione unica ex articolo 208
dlgs 152/2006) se non dopo approfondita valutazione in conferenza dei servizi,
quindi conclude il Consiglio di Stato
con sentenza n° 4734 del 2019 : “la
norma che attribuisce valenza di variante urbanistica agli atti di approvazione
dei progetti di realizzazione/ampliamento di discariche quando l’ente
competente approva il progetto, non possa certo essere interpretata nel senso
che un progetto debba essere approvato necessariamente”; (per un
approfondimento vedi QUI), ovviamente il Comune non potrà limitarsi ad un no
generico in conferenza dei servizi ma motivare con: “un’indagine in concreto
sulla situazione infrastrutturale della zona piuttosto che essere
“astrattamente ricondotte alla destinazione urbanistica dell'area.”. Principi riaffermati anche con la sentenza del Consiglio di Stato n° 2724
del 2020 (QUI) secondo la quale l’effetto di variante automatica
alla pianificazione urbanistica comunale da parte della autorizzazione (nel
caso la autorizzazione unica per impianti da fonti rinnovabili e assimilate): “non comporta deroga al riparto di competenze
e, segnatamente, alle competenze dei Comuni nel governo del territorio
necessariamente coinvolti, invece, nella conferenza di servizi e tenuti in
detta sede ad esercitare le prerogative di tutela dell’ordinato assetto
urbanistico (e, in generale, degli interessi della comunità di riferimento),
senza, però, che ne possa per ciò solo venire paralizzata l’azione
amministrativa, nel caso, come quello qui esaminato, in cui il Comune opponga
ragioni di impedimento superabili dall’Autorità procedente.”
Insomma nessun automatismo,
affermano le sentenze sia quella esaminata in questo post che quelle
precedenti, della autorizzazione sulla pianificazione urbanistica ma la partita
si svolge in sede istruttoria di Conferenza dei Servizi dove il Comune se in
grado potrà dimostrare la non applicabilità della variante ex lege al caso
specifico.
Relativamente alle contestazioni ambientali e
sanitarie del progetto di ampliamento dell’impianto esistente
Il Consiglio di Stato
afferma la presunta non competenza del Comune in materia sanitaria. In realtà
sul punto occorre fare chiarezza. Sicuramente nel caso della sentenza qui
esaminata il Comune avendo fondato il suo no al progetto di ampliamento
dell’impianto esistente solo sulla sua non conformità urbanistica non ha
utilizzato fino in fondo le sue competenze sia istruttorie che procedurali in
materia sanitaria. In realtà anche sotto il profilo procedurale, nel caso della
sentenza in esame, il Sindaco avrebbe potuto esercitare una funzione proprio di
prevenzione sanitaria esplicitamente prevista dal DLgs 152/2006 al comma 6
articolo 29-quater che recita: “6. Nell'ambito della Conferenza
dei servizi di cui al comma 5, vengono acquisite le prescrizioni del sindaco di
cui agli articoli 216 e 217 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265…”. Peccato che nel caso in esame
il Sindaco del Comune interessato non abbia esercitato tale funzioni perdendo
la possibilità di presentare motivazioni, anche sotto il profilo procedurale
oltre che istruttorio, sicuramente più forti per contestare l’AIA rilasciata.
Sul punto rinvio a quando analizzato approfonditamente da ultimo QUI.
Non solo ma rispetto a
quanto affermato dal Consiglio di Stato in relazione alla possibilità che il
Comune in caso di contestazione delle conclusioni della Conferenza dei servizi
devolga la questione al Presidente del Consiglio dei Ministri si veda la
sentenza del Consiglio di Stato (n° 983 del 2019 - QUI) dove si conferma il diniego di rilascio di un AIA
per un impianto di gestione di rifiuti pericolosi e non per mancata valutazione
nella istruttoria del parametro salute. Ma in questo caso il Comune e l’ASL
avevano esercitato la funzione sopra citata ex comma 6 articolo 29-quater DLgs
152/2006. Invece nella nuova sentenza qui esaminata il Comune non aveva svolto
fino in fondo questa istruttoria non fornendo quindi adeguate motivazioni per
ottenere dal Consiglio di Stato l’accoglimento dell’appello a riformare la
sentenza del TAR.
Relativamente alla localizzazione delle industrie
insalubri
Il Consiglio di Stato
nella sentenza qui esaminata afferma che il Comune non ha mai dimostrato con
istruttorie precise e relativi atti che le concludessero di voler individuare
nuove aree per le industrie insalubri. Anche qui si conferma come il Comune mantenga
potere decisionale nel pianificare le industrie insalubri a condizione che lo
eserciti nel merito e non solo con
generiche dichiarazioni politiche. Per capire meglio cosa si intenda esercitare
tale potere (come confermato da univoca giurisprudenza del Consiglio di Stato)
si veda quanto approfondito QUI.
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