Un
nuova sentenza della Corte Costituzionale (n° 88 del 15 maggio 2020 – QUI ) definisce i
poteri delle Regioni nel disciplinare sia i limiti degli inquinamenti contenuti
nei fanghi di depurazione che le loro
modalità di utilizzo in agricoltura.
La sentenza della Corte Costituzionale,
tratta la legittimità costituzionale di una norma regionale che ha disciplinato l'impiego
in agricoltura dei fanghi di depurazione di acque reflue, richiamando - solo
per la concentrazione di idrocarburi e fenoli - i valori limite stabiliti dalla
Tabella 1 dell'Allegato 5 al Titolo V, Parte IV, del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). In applicazione di questa
tabella, la concentrazione soglia di contaminazione è stabilita in 50 mg/kg di
"sostanza secca".
LA NORMATIVA NAZIONALE TRANSITORIA
SUI LIMITI INQUINANTI PER UTILIZZO DEI FANGHI IN AGRICOLATURA
Questi criteri stabiliti dal legislatore regionale risultano, invero, più
restrittivi, quanto alla concentrazione di idrocarburi e fenoli, di quelli
stabiliti dall'art. 41 del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109
(Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale
delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il
lavoro e le altre emergenze), convertito, con modificazioni, nella legge 16
novembre 2018, n. 130. Infatti, quest'ultima disposizione, dopo avere
confermato i limiti dell'Allegato IB del decreto legislativo 27 gennaio 1992,
n. 99 (Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione
dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di
depurazione in agricoltura) per gli idrocarburi (C10-C40) stabilisce il valore
limite di 1.000 mg/kg "tal quale" (ossia non sulla "sostanza
secca").
Sugli effetti legali
e i limiti di detto articolo 41 si veda questa mia intervista QUI.
LA CORTE DI GIUSTIZIA
SULLA CLASSIFICAZIONE COME RIFIUTI DEI FANGHI DI DEPURAZIONE
La Corte di Giustizia con sentenza del 28 marzo 2019 (causa C60-18 QUI), quando viene pubblicata la sentenza in esame in cui
la Corte europea di giustizia afferma testualmente che “ nel caso di specie, dagli elementi del fascicolo sottoposto alla
Corte risulta che il recupero dei fanghi di depurazione comporta taluni rischi
per l’ambiente e la salute umana, in particolare quelli connessi con la
presenza di sostanze pericolose. Orbene, per quanto riguarda le sostanze di cui
trattasi, uno Stato membro può, tenuto conto del margine di discrezionalità di
cui dispone secondo le considerazioni contenute nei due punti precedenti, non
accertare la cessazione della qualifica di rifiuto di un prodotto o di una
sostanza o non definire alcuna norma il cui rispetto indurrebbe a far cessare
la qualifica di rifiuto di tale prodotto o di tale sostanza ”.
Affermazione che
si comprende meglio se si leggono le conclusioni dell’Avvocato Generale UE [NOTA 1] , ove, in proposito, si sottolinea che
“ per quanto concerne, nello specifico, il recupero dei
fanghi di depurazione, l’Austria rileva giustamente, in particolare, che essi
sono collegati a determinati rischi per l’ambiente e la salute umana,
anzitutto, al rischio di contaminazione con sostanze inquinanti. Pertanto, in
considerazione della discrezionalità loro riconosciuta, gli Stati membri
dovrebbero essere liberi di non stabilire la cessazione della qualifica di
rifiuto dei fanghi di depurazione e di non fissare alcuno standard di prodotto
per i fanghi di depurazione trasformati qualora tali standard dovessero
comportare la cessazione della suddetta qualifica ”.
Quindi secondo
questo indirizzo della giurisprudenza comunitaria si afferma che i fanghi di
depurazione possono risultare contaminati da sostanze inquinanti con
conseguenti rischi per la salute e per l’ambiente per cui uno Stato può decidere che essi restino per
sempre dei rifiuti cui si applicano tutte le disposizioni cautelative relative
ai rifiuti [NOTA 2] . In questo senso la sentenza
costituisce indirettamente un monito per il legislatore italiano alla luce dei
limiti un po troppo permissivi su alcune tipologie di inquinanti nei fanghi di
depurazione utilizzabili in agricoltura.
LA NUOVA SENTENZA DELLA
CORTE COSTITUZIONALE
La Corte
ricorda che la materia trattata dalla norma regionale impugnata riguarda i
rifiuti rispetto ai quali la giurisprudenza di questa Corte è costante nel
ritenere che la disciplina di questi
debba essere ricondotta alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di
competenza esclusiva dello Stato ma ferma restando la competenza delle Regioni
alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. Non solo ma la sentenza in esame ricorda che la Corte, nella sua giurisprudenza, ha affermato che la collocazione della materia
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema pur rientrando nella esclusiva competenza statale “non comporta che la disciplina statale
vincoli in ogni caso l'autonomia delle Regioni, poiché il carattere trasversale
della materia, e quindi la sua potenzialità di estendersi anche nell'ambito
delle competenze regionali, mantiene salva la facoltà delle Regioni di
adottare, nell'esercizio delle loro competenze legislative, norme di tutela più
elevate”. Senza considerare, aggiunge la Corte nella sentenza in esame, che
nel disciplinare i limiti dei fanghi di depurazione la Regione lo fa ai fini
del loro utilizzo in agricoltura e questa ultima risulta materia “definita dalla giurisprudenza costituzionale
come ambito materiale in cui è individuabile un "nocciolo duro",
assegnato alla competenza residuale regionale, che ha a che fare con la
produzione di vegetali ed animali destinati all'alimentazione”.
Allo stesso tempo la Corte Costituzionale rileva come la
competenza a stabilire i valori limite delle sostanze presenti nei fanghi di
depurazione ai fini del loro utilizzo
agronomico non può che spettare allo Stato, per insuperabili esigenze di
uniformità sul territorio nazionale, sottese all'esercizio della competenza
esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. Tali esigenze di uniformità non discendono soltanto
dalla necessità di applicare metodiche di valutazione e standard qualitativi
che siano omogenei e comparabili su tutto il
territorio nazionale, ma, non di meno, dal carattere integrato, anche a
livello internazionale, del complessivo sistema di gestione e smaltimento dei
rifiuti, al servizio di interessi di rilievo ultraregionale.
Inoltre i limiti più rigorosi per l’utilizzo dei fanghi
in agricoltura introdotti dalla Regione chiaramente farà aumentare la quantità
di rifiuti da smaltire in impianti dedicati nonché graveranno sulla complessiva
capacità degli impianti di depurazione e trattamento, sui corpi idrici ai quali
afferiscono le acque reflue dopo il trattamento.
Peraltro a conferma di quanto sopra è in discussione
anche con passaggi in Conferenza Stato Regione un DLgs di riforma della
normativa sull’utilizzo dei fanghi in agricoltura con relativi limiti degli
inquinanti più restrittivi rispetto alla vigente normativa nazionale. Quindi
conclude la Corte Costituzionale nel disciplinare la destinazione agronomica
dei fanghi, la disposizione regionale
impugnata viola, dunque, la competenza statale esclusiva in materia di
gestione dei rifiuti.
SUGLI
SPAZI DI INTERVENTO DELLE REGIONI SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE
Non solo ma la Corte Costituzionale definisce l’ambito di
competenze in cui la Regione può intervenire sulla disciplina dell’utilizzo dei
fanghi in agricoltura. In particolare secondo la Corte il punto di equilibrio fra la legittima esigenza
regionale e le richiamate ragioni di uniformità non può realizzarsi attraverso
l'interferenza della Regione nella competenza statale in materia di disciplina
della gestione dei rifiuti. La Regione deve attenersi all'esercizio della
propria competenza a tutela della qualità delle produzioni agricole. Tale
competenza ben le potrebbe consentire, in primo luogo, l'adozione di limiti e
condizioni nell'utilizzazione in agricoltura dei diversi tipi di fanghi, avuto
riguardo alle concrete caratteristiche dei suoli, con riferimento in
particolare alla loro vulnerabilità, nonché ai tipi di colture praticate.
Inoltre, fermo restando il rispetto dei valori limite stabiliti dalla normativa
statale, l'intervento delle Regioni potrebbe anche tradursi nel miglioramento
della qualità dei fanghi prodotti sul loro territorio nell'ambito del servizio
idrico integrato.
Ciò è confermato dalla relazione della
Commissione europea del 27 febbraio 2017 sull’attuazione della normativa
dell’EU in materia di rifiuti nel periodo 2010-2012, ove si sottolinea che
“ in alcuni Stati membri l’uso dei fanghi in agricoltura è molto
limitato, se non inesistente ”.
Nessun commento:
Posta un commento