In questo post troverete la sintesi tradotta dall’inglese degli
ultimissimi studi e ricerche a livello internazionale ma anche nazionale che
partendo dalla emergenza Covid19 dimostrano una correlazione tra livelli
diffusi di inquinamento atmosferico , perdita della biodiversità , mutamenti
climatici e diffusione delle pandemie. In questo di rilievo è la decisione dell’Istituito
Superiore della Sanità, dell’Ispra (istituto di ricerche del Ministero dell’Ambiente)
e del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente ad avviare una ricerca
che dovrà approfondire la suddetta tematica.
Il post si conclude con la sintesi di uno studio sugli
effetti della emergenza Covid19 sulla c.d economica circolare e le politiche
economiche in chiave di tutela dell’ambiente.
Rapporto del WWF di Aprile 2020 (QUI)che
analizza l’incapacità umana di leggere scenari futuri, al fine di prevenire catastrofi e crisi globali. Anche nell’ultimo
Global Risk Report delWorld Economic Forum 2020 [NOTA 1] il rischio della diffusione di malattie infettive veniva ancora inserito tra i
fattori con bassa probabilità di accadimento.
Due sono le possibilità: o si è trattato di un caso di
rara sfortuna, oppure non siamo stati capaci di valutare al meglio i rischi
sistemici, e tra questi il rischio effettivo legato all’insorgenza di una
pandemia(peraltro prevista da numerosi esperti virologi, ecologi ed
epidemiologi nei loro lavori scientifici, brillantemente riassunti dal
giornalista scientifico David Quammen nel suo libro “Spillover.L’evoluzione
delle pandemie”).
Visti i numerosi studi che mettono in relazione la
possibilità di sviluppo di malattie infettive e i drammatici cambiamenti che
l’uomo sta apportando al nostro Pianeta, la seconda risposta appare,in assoluto,
la più probabile. L’intento di questo documento è quello di riassumere le
conoscenze derivanti da pubblicazioni scientifiche che indicano la presenza di
connessioni tra cambiamento climatico e malattie emergenti, tramite le
complesse relazioni ecologiche che li collegano. Questo non solo per migliorare
la percezione del rischio da noi stessi determinato, ma soprattutto per
contribuire al dibattito su quanto sia urgente avviare,da subito, tutte le
misure necessarie per fermare il cambiamento climatico, arrestare la perdita di
ecosistemi naturali e proteggere la biodiversità, contenendola diffusione di
malattie.
Uno
studio della Royal Society (QUI) affronta in tema delle malattie infettive
emergenti nell'uomo spesso causate da
agenti patogeni provenienti da ospiti animali e focolai di malattie zoonotiche
[NOTA 2].
Lo studio ha valutato il numero di virus
che le specie di mammiferi hanno condiviso con l'uomo. Lo studio rileva
che il numero di virus zoonotici rilevati nelle specie di mammiferi
varia positivamente con l'abbondanza delle specie globali, suggerendo che il
rischio di trasmissione del virus è stato più elevato rispetto alle specie
animali che sono aumentate in abbondanza e hanno persino ampliato il loro
raggio d'azione adattandosi ai paesaggi dominati dall'uomo. Specie domestiche,
primati e pipistrelli sono stati identificati come aventi più virus zoonotici
rispetto ad altre specie.
In
particolare lo sfruttamento della fauna selvatica attraverso la caccia e il
commercio facilita il contatto ravvicinato tra la fauna selvatica e l'uomo e i
risultati dello studio forniscono ulteriori prove che lo sfruttamento, così
come le attività antropogeniche che hanno causato perdite nella qualità
dell'habitat della fauna selvatica, hanno maggiori opportunità di interazioni
animale-uomo e facilitano la zoonosi.
Lo
studio fornisce nuove prove per valutare il rischio di ricaduta infettivo da
specie di mammiferi e evidenzia processi convergenti in base ai quali le cause
del declino della popolazione selvatica hanno facilitato la trasmissione di
virus animali agli esseri umani.
Per ulteriori
approfondimenti sul Covid19 secondo la Royal Society vedi
QUI.
VALUTAZIONE DEI LIVELLI
DI BIOSSIDO DI AZOTO COME FATTORE CHE CONTRIBUISCE ALLA MORTALITA PER COVID-19
Studio
di un ricercatore della Università Martin Lutero di Halle-Wittenberg (QUI)
Lo
studio parte dall’acquisita conoscenza per cui l'esposizione a lungo termine a Biossido
di azoto (NO2) può causare un ampio spettro di gravi problemi di salute come
ipertensione, diabete, malattie cardiache e cardiovascolari e persino la morte.
L'obiettivo
dello studio è quindi di esaminare la relazione tra l'esposizione a lungo
termine a NO2 e la mortalità per coronavirus.
Nello
studio viene utilizzato Sentinel-5P (satellite della Agenzia Spaziale Europea) per
mappare la distribuzione troposferica di NO2 e la rianalisi NCEP / NCAR [NOTA 3] per
valutare la capacità atmosferica di disperdere l'inquinamento.
L'analisi
spaziale è stata condotta su scala regionale e combinata con il numero di casi
di morte prelevati da 66 regioni amministrative in Italia, Spagna, Francia e
Germania.
I
risultati mostrano che su 4443 casi di mortalità, 3487 (78%) erano in cinque
regioni situate nel nord Italia e nella Spagna centrale. Inoltre, le stesse cinque regioni mostrano le più
alte concentrazioni di NO2 combinate con un flusso d'aria verso il basso che
impedisce un'efficace dispersione dell'inquinamento atmosferico. Questa
struttura topografica combinata con le condizioni atmosferiche di inversione
(omega positiva) previene la dispersione di inquinanti atmosferici, che può
causare un'alta incidenza di problemi respiratori e infiammazione nella
popolazione locale. Poiché studi precedenti hanno dimostrato che l'esposizione a NO2 provoca
infiammazione nei polmoni, è ora necessario esaminare se la presenza di una
condizione infiammatoria iniziale è correlata alla risposta del sistema
immunitario al coronavirus.
Questi
risultati indicano che l'esposizione a
lungo termine (lo studio usa il termine cronica) a questo inquinante può
essere uno dei più importanti fattori che contribuiscono alla mortalità causata
dal virus COVID-19 in queste regioni e forse in tutto il mondo.
Quindi,
avvelenare il nostro ambiente significa avvelenare il nostro stesso corpo e
quando si verifica uno stress respiratorio cronico, la sua capacità di
difendersi dalle infezioni è limitata.
Lo
studio conclude affermando che in base ai risultati esposti, dovrebbero essere
condotti ulteriori studi incentrati su fattori aggiuntivi quali l'età e la
presenza di malattie preesistenti e di base, nonché l'impatto della pre-esposizione
a NO2 e ipercitocinemia (reazione immunitaria potenzialmente
fatale) al fine di verificare il loro impatto sui decessi dovuti alla
Pandemia di covid19.
PROGETTO PULVIRUS: L’ITALIA
STUDIA IL RAPPORTO TRA COVID19 ED INQUINAMENTO ATMOSFERICO
Con
un comunicato stampa (QUI)
dello scorso 29 aprile ENEA, ISS ISPRA E
SNPA hanno reso pubblico l’avvio di un progetto di ricerca congiunto denominato
PULVIRUS che durerà un anno.
Il
progetto vuole approfondire:
- il
discusso legame fra inquinamento atmosferico e diffusione della pandemia,
- le
interazioni fisico-chimiche-biologiche fra polveri sottili e virus
- gli
effetti del “lock down” sull’inquinamento atmosferico e sui gas serra.
Il progetto
utilizzerà per lo studio di interazione fra particolato atmosferico e virus sia
analisi “in silico”, ossia la riproduzione dell’interazione fra virus e
particolato atmosferico mediante la simulazione matematica al computer, sia un
modello biologico rappresentativo delle caratteristiche di SARS-CoV-2.
EVOLUZIONE EMISSIONI
GAS SERRA ED EMERGENZA COVID-19
Si
tratta di un rapporto di scenario di
Italy for Climate (QUI) è una iniziativa
della Fondazione per lo sviluppo sostenibile promossa da un gruppo di
imprese e di associazioni di imprese particolarmente sensibili al tema del
cambiamento climatico. Scopo dell’iniziativa è promuovere l’attuazione di
un’Agenda italiana per il clima in linea con gli obiettivi dell’Accordo di
Parigi.
Il
Rapporto tra l’altro sottolinea come l’analisi degli effetti delle crisi
economiche dei decenni precedenti mostra sempre come, a seguito di una crisi
economica, la successiva fase di ripresa sia caratterizzata da una nuova
crescita delle emissioni, spesso maggiore di quella pre-crisi. Se non si
metteranno in campo politiche fortemente orientati a criteri green e low
carbon, il 2021 sarà caratterizzato da una crescita delle emissioni di gas serra
mai visto dal dopoguerra a oggi.
La reanalysis NCEP-NCAR è un progetto congiunto tra il National Center for
Environmental Prediction (NCEP) e il National Center for Atmospheric Research
(NCAR) . Lo scopo di questo sforzo congiunto è quello di produrre, usando dati
storici, un nuovo dataset con tutte le caratteristiche delle reanalysis
atmosferiche per un periodo di tempo molto ampio che va dal gennaio 1958 al
dicembre 1998. Il sistema di assimilazione dati ed il modello atmosferico sono
identici a quelli utilizzati dall’NCEP prima del gennaio 1995.
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