Sono
moltissime le segnalazione che mi arrivano da tutta la Liguria ma anche dalla
Toscana (ma sono certo che lo stesso accada in altre Regioni italiane) di fenomeni
odorigeni anomali prodotti da attività di vario genere: impianti industriali,
impianti di gestione rifiuti, autofficine, attività portuali etc. .
Sindaci e
burocrati dei vari enti competenti si sono sempre trincerati dietro alcuni
assunti assolutamente non fondati giuridicamente:
1. non ci
sono limiti di legge nazionali sugli odori
2. per certe
attività minori non sono previste autorizzazioni alle emissioni specifiche
3. per
dimostrare l’esistenza dell’odore sotto il profilo legale bisogna svolgere
complicate analisi e campionamenti
4. gli odori
sono un fastidio ma non costituiscono inquinamento
Vediamo specificamente come questi assunti non abbiano
alcun fondamento…
1. NON CI SONO LIMITI DI LEGGE
NAZIONALI SUGLI ODORI
È vero che
non ci sono limiti nazionali ma la normativa considera le emissioni odorigene
interne alla definizione di inquinamento atmosferico.
Nella definizione
di inquinamento atmosferico della vigente normativa (NOTA [1])
rientrano sicuramente le emissioni odorigene in quanto non vi è dubbio che
l’emissione di sostanze odorigene, e la relativa immissione di odori molesti
nell’ambiente, possano costituire pericolo per la salute o per l’ambiente e/o
compromettere gli usi legittimi dell’ambiente stesso.
Questo
significa due cose ben precise:
1. nelle
autorizzazioni a nuove attività che possono potenzialmente produrre emissioni
odorigene si possono inserire limiti alle emissioni odorigene (sia direttamente
da parte del Comune se di competenza comunale o su richiesta del Comune all’interno
del procedimento)
2. per le
attività esistenti se producono emissioni odorigene anomale, il Sindaco come
massima autorità sanitaria sul territorio può imporre limiti con ordinanza
(articolo 217 testo unico leggi sanitarie).
I limiti
regionali alle emissioni odorigene
Proprio perché
gli odori rientrano nella nozione di inquinamento ex lege le Regioni possono
regolamentare queste emissioni sia come limiti per le singole attività sia come
modalità di monitoraggio delle stesse.
La Regione
Liguria non ha attualmente alcuna regolamentazione in materia di disciplina
delle emissioni odorigene.
Questa regolamentazione
può servire per dare una adeguata risposta alle seguenti domande:
Come posso
identificare la sorgente degli odori molesti?
Come posso
monitorare la presenza degli odori molesti?
Come posso
porre dei limiti (o delle prescrizioni) per le sostanze odorigene al fine di
prevenire la generazione di odori molesti?
Come posso
coinvolgere attivamente i cittadini residenti nelle zone potenzialmente colpite
dai fenomeni odorigeni
Come posso
verificare la conformità alle prescrizioni imposte?
Normative
regionali esistono in materia ad esempio nella Regione Lombardia, Regione Puglia, Friuli Venezia Giulia.
Una strategia di valutazione percezione odori
residenti: il caso Lombardia
Le mappe di
impatto odorigeno
Secondo
la norma della Regione Lombardia dovranno essere redatte delle mappe
di impatto dove devono essere riportati i valori di concentrazione orarie
di picco di odore ( non le medie dei valori massimi di 200 unità odometriche)
al 98° percentile su base annuale, così come risultanti dalla simulazione, a 1,
3 e 5 unità odometriche per metro cubo di aria. Si tenga presente, afferma la
Regione Lombardia, che a 5 unità odometriche il 90-95% delle
popolazione percepisce l’odore.
La norma
Lombarda coordina i dati sulle emissioni odorigene con quelli delle
stazioni meteo più vicine dal sito dell’impianto.
Le fasi di
valutazione dell’impatto delle emissioni odorigene secondo la norma Lombarda
La norma
Lombarda poi individua varie fasi per affrontare il controllo
delle emissioni odorigene da impianti come quello di Saliceti.
Se
viene superata la Fase A che consiste nel preliminare accertamento
della sussistenza di
elementi
di disagio presso la popolazione. Questo disagio è nel caso di Saliceti
ampiamente dimostrato.
Quindi,
applicando la norma Lombarda, si dovrebbe passare alla Fase B verifica
dell’impatto olfattivo. Questa fase dovrà concludersi con la definizione,
attraverso le risultanze della simulazione del modello di dispersione, della
rappresentazione delle linee di iso concentrazione orarie di picco di odore al
98° percentile (mappe di impatto, ( non le medie dei valori massimi di 200
unità odometriche applicata a Saliceti), espresse in unità odometriche per
metro cubo di aria, tenendo conto dei Criteri di
Valutazione stabiliti sempre dalla norma Lombarda. I criteri di
valutazione sono quelli che affermano:
1. a 5 unità odometriche
il 90-95% delle popolazione percepisce l’odore
2. verificato l’impatto
odorigeno dell’attività sul territorio circostante, andranno caratterizzate le
sezioni dell’impianto che causano emissioni odorigene e giustificato un loro
eventuale mancato confinamento.
3. devono inoltre essere
valutate le prestazioni a carico dei sistemi di abbattimento necessari per
raggiungere i risultati calcolati.
4. in caso di nuovo impianto
dovrà essere scelto il sistema di trattamento degli effluenti opportuno per
singolo punto di emissione e indicato il valore di portata di odore massimo che
può essere emesso dalla singola emissione tale che, sommando tutte le emissioni
dello stabilimento, venga garantito il rispetto dei risultati della
simulazione. Il punto 4 appare significativo in relazione alla
questione delle “medie” poste da Acam. Questo punto afferma sempre la norma
Regionale Lombarda si applica anche agli impianti esistenti: “in caso di
conclamate problematiche olfattive che interessano il territorio”. Appare
ovvio che le problematiche siano ampiamente “conclamate” a Saliceti!
5. sulla base dei punti
precedenti si procederà ad un aggiornamento
dell’autorizzazione prescrivendo il rispetto del limite della portata d’odore
così come calcolata dalla simulazione numerica effettuata. Si potrà arrivare
anche ad obbligare il gestore dell’impianto a presentare un piano d’adeguamento
per il rispetto criteri previsti dalla presente linea guida che dovrà contenere
le azioni tecniche e gestionali e i tempi necessari per l’adeguamento (FASE C).
Il raggio di
impatto sulle unità abitative secondo la norma della Lombardia
La
norma Lombarda prevede poi come raggio di potenziale impatto rischioso
dalle emissioni odorigene quello dei 500 metri di distanza
dell’impianto da unità residenziale
Un regolamento come quello sopra descritto (sul coinvolgimento dei
cittadini nel monitoraggio delle emissioni odorigene o di altro genere) può essere predisposto anche a
livello comunale ad esempio regolamentando le industrie insalubri di prima o
seconda classe. Questo regolamento comunale potrà essere coordinato, per quanto
riguarda i limiti di emissione odorigene, con il contenuto delle autorizzazioni
alle singole attività rilasciate dalla autorità competenti: di solito Province,
Città Metropolitane)
2. PER CERTE ATTIVITÀ MINORI NON
SONO PREVISTE AUTORIZZAZIONI ALLE EMISSIONI SPECIFICHE
Anche questa “scusa” non ha alcuna fondamento. Lo dimostro
con un caso specifico.
Qualche mese fa l’assessore regionale all’Ambiente della
Liguria nel rispondere alla interrogazione dei consiglieri regionali di 5stelle
sulle emissioni odorigene proveniente dai depositi petroliferi del Fegino
(Genova) ha risposto in questo modo: "Per quanto attiene al deposito
di Fegino si segnala che, trattandosi di impianto di solo stoccaggio, questo
impianto non è soggetto a provvedimento autorizzativo ambientale per quanto
riguarda le emissioni (il comparto aria),tuttavia questa struttura è stata
oggetto di diversi accertamenti tecnici in relazione a forti problematiche di
tipo odorigeno, come segnalato dalla Consigliera interrogante."
Questa affermazioni è in palese contrasto con il dettato
della normativa.
L’articolo 269 del DLgs 152/2006: “Autorizzazione alle
emissioni in atmosfera per gli stabilimenti” al comma 10
recita: “ 10. Non sono sottoposti ad
autorizzazione gli impianti di deposito di oli minerali,
compresi i gas liquefatti. I gestori sono comunque
tenuti ad adottare apposite misure per
contenere le emissioni diffuse ed a
rispettare le ulteriori prescrizioni
eventualmente disposte, per le medesime finalità,
con apposito provvedimento dall'autorità competente"....
Risulta con chiarezza che nel caso di questi depositi ma di
molte altre attività che non richiedono autorizzazioni alle emissioni specifiche
secondo la legge, non esistano le misure contro le emissioni diffuse.
Non solo ma per gli impianti a minor impatto ambientale potenziale esiste la
autorizzazione che si chiama Autorizzazione Unica Ambientale (AUA).
L'AUA è
disciplinata dal DPR 59/2013 che all'articolo 3 prevede che l'AUA assorba tra
le altre anche la autorizzazione alle emissioni ai sensi dell'articolo 269 del
DLgs 15272006.
Quindi
l'istruttoria dovrà tenere conto dei parametri ambientali di questo ultimo
articolo che al comma 4 prevede che la autorizzazione alle emissioni preveda
particolare prescrizioni per le emissioni diffuse.
Non solo ma
il comma 6 articolo 271, anche in relazione proprio alle emissioni odorigene
(nell'attuale normativa nazionale e ligure non hanno limiti formalizzati)
afferma che: "6. Per le sostanze per cui non sono fissati valori di
emissione, l'autorizzazione stabilisce appositi valori limite con riferimento a
quelli previsti per sostanze simili sotto il profilo chimico e aventi effetti
analoghi sulla salute e sull'ambiente."
3. PER DIMOSTRARE L’ESISTENZA
DELL’ODORE SOTTO IL PROFILO LEGALE BISOGNA SVOLGERE COMPLICATE ANALISI E
CAMPIONAMENTI
Anche questo
assunto non ha alcun fondamento giuridico ed invece viene spesso usato dai
Sindaci e Province e/o Città Metropolitane come scusa per non affrontare i
fenomeni di emissioni odori genere reiterate nel tempo.
La Cassazione con sentenza n. 36905 del 14/9/2015 (vedi QUI)
ha affermato principi chiarissimi:
1. costituisce principio
consolidato di questa Suprema Corte (che va qui ribadito) che la
contravvenzione di cui all'art. 674 cod. pen. è reato configurabile in presenza
anche di "molestie olfattive" promananti da impianto munito di autorizzazione,
in quanto non esiste una normativa statale che prevede disposizioni specifiche
e valori limite in materia di odori, con conseguente individuazione del
criterio della "stretta tollerabilità" quale parametro di legalità
dell'emissione, attesa l'inidoneità ad approntare una protezione adeguata
all'ambiente ed alla salute umana di quello della "normale
tollerabilità"
2. per la realizzazione del reato ex
articolo 674 del Codice Penale è sufficiente l'apprezzamento diretto
delle conseguenze moleste da parte anche solo di alcune persone, dalla cui
testimonianza il giudice può logicamente trarre elementi per ritenere
l'oggettiva sussistenza del reato, a prescindere dal fatto che tutte le persone
siano state interessate o meno dallo stesso fenomeno o che alcune non l'abbiano
percepito affatto. Nè è necessario un accertamento tecnico.
3. laddove trattandosi di odori manchi la
possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l'intensità
delle emissioni, il giudizio sull'esistenza e sulla non tollerabilità delle
emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni dei testi, soprattutto se
si tratta di persone a diretta conoscenza dei fatti, come i vicini, o
particolarmente qualificate, come gli agenti di polizia e gli organi di
controllo della USL.
4. Ove risulti l'intollerabilità, non rileva, al
fine di escludere l'elemento soggettivo del reato, l'eventuale adozione di
tecnologie dirette a limitare le emissioni, essendo evidente che non sono state
idonee o sufficienti ad eliminare l'evento che la normativa intende
evitare e sanziona
5. la definizione di odori “normali”, quali
quelli provenienti da un impianto di rifiuti, affermata dai testimoni
favorevole alla ditta condannata, sottende questa si un giudizio soggettivo e
non si pone in logico contrasto con il fatto che un elevato numero di altre
persone fosse concretamente esposta a esalazioni nauseabonde,
6. qualsiasi monitoraggio delle emissioni
odorigene non può fondarsi su modelli astratti ma sull’applicazione dei modelli
in uso alla concreta realtà.
Non solo ma Il
Consiglio di Stato (sentenza n. 4588 del 10/9/2014
vedi QUI)
afferma il principio che a prescindere dal rispetto dei limiti inquinanti
previsti dalla normativa sulle emissioni atmosferiche, se, sulla base di
adeguata documentazione scientifica, si dimostra persistere un probabile
rischio sanitario per i cittadini residenti, l’autorità competente può negare
l’autorizzazione o revocarla in fase di revisione/adeguamento.
4. GLI ODORI SONO UN FASTIDIO
MA NON COSTITUISCONO INQUINAMENTO
Anche questa
affermazione non ha alcun fondamento.
Già nel 2008
uno dei massimi esperti italiani ed europei in materia il Prof.
Luigi Campanella (ordinario di chimica dell'ambiente alla
Università di Roma e presidente della società chimica italiana) era
intervenuto sul punto degli effetti degli odori. il Prof Campanella, nel convegno sulla Mitigazione Olfattiva del 2008 (organizzato da
Regione Lazio, ordine dei chimici , Cnr etc.): “in un sondaggio in USA su quale è il valore principale che una persona
metterebbe al centro della vita, è emerso che i valori principali equamente
preferiti sono: ambiente, salute e alimenti. Sono tutti valori pervasi
abbondantemente dagli odori che ne caratterizzano anche la correlazione con le
emozioni”.
Non solo ma
la pubblicistica scientifica seria, anche istituzionale, afferma da anni la
necessità di interventi tempestivi per eliminare emissioni odorigene
prolungate. Afferma l’Arpat QUI: “ la
percezione del disagio è esclusivamente di natura personale e può anche
diventare una componente di sofferenza psicologica. Una possibile riflessione
generale, potrebbe portare a pensare che una prolungata esposizione ad un
disturbo, può provocare una sensibilizzazione nella popolazione esposta,
generando anche importanti stati d'ansia, che a lungo andare, scalzano il
problema stesso, diventando la principale fonte di disturbo. Il
tempestivo intervento è quindi da auspicare per contenere questa possibile risposta
ansiogena, limitando la deriva e contendo così il problema all'origine."
Uno studio
commissionato dalla Regione Veneto e Provincia di Rovigo (luglio 2014, vedi QUI) ha
dimostrato che la percezione dell’odore da parte degli esseri umani avviene a
soglie di concentrazione nettamente più basse di quelle previste dai limiti
delle autorizzazioni alle emissioni.
Infine si
veda più recentemente il lavoro che sta svolgendo in questo campo la Divisione di Ingegneria Sanitaria Ambientale (SEED)
del Dipartimento di Ingegneria Civile dell'Università degli
Studi di Salerno (vedi QUI).
CONCLUSIONI
Sindaci Province e Città Metropolitane quindi non hanno scuse le
emissioni odorigene possono essere affrontate con misure sia preventive che di
mitigazione ex post. Ci vuole solo la volontà politica e mettere al lavoro i
proprio uffici e strutture in collaborazione con ASL e Arpa.
NOTE
[1] “a)
inquinamento atmosferico: ogni modificazione dell'aria atmosferica, dovuta
all'introduzione nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con
caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana
o per la qualità dell'ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o
compromettere gli usi legittimi dell'ambiente;” (lettera a) comma 1 articolo 268 DLgs
152/2006)
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