martedì 16 aprile 2019

Corte Costituzionale: le Regioni sulle distanze degli impianti rifiuti dai punti di derivazione acqua potabile


Con sentenza n° 215 (9 ottobre - 26 novembre 2018, per il testo QUI) la Corte Costituzionale ha riconosciuto il potere delle Regioni di stabilire che gli impianti di gestione rifiuti siano collocati a distanze, superiori a quelle previste dalla legge nazionale,  dai punti di captazione per la derivazioni dell’acqua potabile al fine di tutelare preventivamente la salute pubblica.


OGGETTO DEL RICORSO CONTRO LA LEGGE REGIONALE
La norma regionale contestata prevede che l'insediamento di impianti di recupero e smaltimento di rifiuti pericolosi e non pericolosi,  in  prossimità di  un'opera di captazione di acque destinate al consumo umano, è subordinato al solo rispetto di una distanza superiore a tremila metri, applicabile in modo uniforme in tutto il territorio regionale.


LE CONTESTAZIONI DELLA AVVOCATURA DI STATO
Secondo la Avvocatura di Stato si tratterebbe di una norma non coerente con le  disposizioni sulle aree di salvaguardia di cui all'art. 94 cod. ambiente che, invece, impone la regolamentazione della localizzazione in ragione delle caratteristiche idrogeologiche dei siti interessati. In particolare, secondo il ricorrente, la norma statale citata prevede che le aree  di  salvaguardia  debbano  essere definite in maniera specifica e caso per  caso, in relazione cioè alle singole captazioni o derivazioni, sulla base delle indicazioni riportate dall'art. 94 citato e alla luce dell'accordo tra Stato e Regioni del 12 dicembre  2002 (Linee Guida per la tutela della qualità delle acque destinate al consumo umano  e  criteri  generali per l'individuazione delle aree di salvaguardia delle risorse idriche (QUI).


LIMITI GENERALI DEL POTERE DI DISCIPLINA LEGISLATIVA REGIONALE NELLA MATERIA AMBIENTE
La Corte Costituzionale nella sentenza in esame, ribadendo la uniforme giurisprudenza precedente, afferma che la disciplina della gestione dei rifiuti è riconducibile alla materia “tutela dell'ambiente” e “dell'ecosistema”, riservata dall'art. 117, secondo  comma, lettera s), Cost. alla competenza esclusiva dello Stato.
La competenza esclusiva statale in detta materia, precisa la Corte Costituzionale, può incontrare altri interessi e competenze, con la conseguenza che - ferma rimanendo la riserva  allo Stato del potere di fissare livelli di  tutela uniforme sull'intero territorio nazionale – possono dispiegarsi le  competenze proprie delle Regioni per la cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali: urbanistica, igiene e sanità. Nell'esercizio di tali competenze regionali può anche esserci un'incidenza nella materia di competenza esclusiva statale, ma solo in termini di maggiore e più rigorosa tutela dell'ambiente.
Nello stesso tempo (aggiunge la Corte Costituzionale) il legislatore regionale non può, sia pure al fine di approvare norme più rigorose alla tutela dell’ambiente pregiudicare,  insieme ad altri  interessi di rilievo nazionale, il medesimo interesse della salute in un ambito territoriale extraregionale (si veda la sentenza n.54 del 2012 - QUI).


POTERI REGIONALI IN MATERIA DI GESTIONE RIFIUTI SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE
Intanto in generale, la Corte Costituzionale ricorda l'art. 3 quinquies del DLlgs. n.152 del 2006, che demanda alle Regioni (e alle Province autonome di Trento e di  Bolzano) di adottare forme di tutela giuridica dell'ambiente più restrittive, qualora lo richiedano situazioni particolari del loro territorio, purché  ciò non comporti un'arbitraria discriminazione,  anche attraverso ingiustificati aggravi procedimentali e sempre tenendo conto che i  principi contenuti nel decreto legislativo  indicato costituiscono le condizioni minime ed essenziali per assicurare la tutela dell'ambiente su tutto il territorio nazionale.
Inoltre lo stesso DLgs 152/206 (articolo 196) demanda alle Regioni la attuazione di molte parti delle competenze in materia di rifiuti a cominciare dai piani regionali compresa la definizione dei criteri per l'individuazione dei  luoghi o impianti idonei al loro smaltimento.


LA QUESTIONE AFFRONTATA DALLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE IN ESAME
L’articolo del DLgs 152/2006 che secondo la Avvocatura di Stato sarebbe stato violato dalla legge regionale impugnata è il 94. Questa norma prevede che, in assenza dell'individuazione da parte delle Regioni o delle Province autonome della zona di rispetto ai sensi del comma 1 dell'art. 94, la medesima ha un'estensione di duecento metri di raggio  rispetto  al  punto  di captazione o di derivazione.

Rispetto alla norma statale, secondo la sentenza della Corte Costituzionale, la disposizione regionale nel prevedere la localizzazione delle discariche a una distanza  superiore a tremila metri, nella specifica ipotesi di impianti collocati a monte dei punti di captazione delle acque, ha dettato un criterio più rigoroso rispetto a quello previsto dal codice dell'ambiente, non riducendo, ma anzi innalzando i livelli di tutela.
Aggiunge la Corte Costituzionale che il criterio della legge regionale sui tremila metri  
non è un unico ed  esaustivo,  che sostituisce la valutazione caso per caso  richiesta dall'art. 94 del DLgs. n.152 del 2006. La norma regionale prevede uno specifico e molto particolare criterio di localizzazione che di per sé non esclude l'applicazione degli altri criteri previsti dall'art. 94 del decreto legislativo citato, integrati dalle Linee guida adottate in sede dell'accordo tra Stato e Regioni del 12 dicembre 2002; criteri questi ultimi che, quindi, trovano parimenti applicazione in ragione della già richiamata clausola di salvezza dell'art.39 della legge regionale in questione, per cui, in generale, si applicano le disposizioni del codice dell'ambiente per quanto non espressamente disposto dalla normativa regionale.  

Conclude la Corte Costituzionale che il criterio localizzativo della distanza di tremila metri dalle zone di captazione di derivazione di impianti di gestione rifiuti, innalza lo  standard di tutela dell'ambiente quando viene in rilievo il più specifico aspetto della tutela della salute in relazione alla prevenzione del rischio di inquinamento delle falde acquifere.







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