Ci
risamo! La Regione Liguria si becca un'altra sentenza della Corte
Costituzionale che dichiara incostituzionale l’ennesimo atto legislativo in
materia ambientale (dopo gli altri 9 vedi QUI)
La Corte Costituzionale con sentenza n° 69 del 15 marzo 2022 (QUI) dichiara la incostituzionalità
di
della norma regionale ligure che allunga il periodo di caccia prevedendo che il
divieto temporaneo di caccia di una specie comporta che il periodo del divieto
deve essere recuperato successivamente allungando quindi i tempi di caccia
oltre i limiti della legge nazionale.
LA LEGGE REGIONALE IMPUGNATA
LE MOTIVAZIONI DI INCOSTITUZIONALITÀ DELLA SENTENZA DELLA CORTE
L'art.
18, comma 1, della legge n. 157 del 1992 individua cinque gruppi di specie
cacciabili e per ciascuna di esse indica uno specifico arco temporale per
l'esercizio del prelievo venatorio.
Il
successivo comma 2 autorizza le Regioni a modificare i periodi di caccia in
relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali, previa
acquisizione del parere dell'ISPRA, purché la modifica sia contenuta tra il 1°
settembre e il 31 gennaio, nel rispetto dell'arco temporale massimo di cui al
comma 1 dello stesso art. 18.
Dall'interpretazione
letterale di tali disposizioni si evince che l'arco temporale massimo è il
periodo di tempo compreso tra la data di inizio e la data di fine della caccia
riferita a ciascuna specie, periodo modificabile nell'intervallo temporale che
va dal 1° settembre al 31 gennaio senza incidere sulla sua durata, che non può
essere superiore a quella stabilita dallo Stato. Il principio è stato di
recente ribadito da questa Corte che ha precisato che «se i termini dei periodi
di caccia sono modificabili, non lo sono, invece, le relative durate, che non
possono essere superiori a quelle stabilite, e che, comunque, non possono
essere estese all'intera stagione venatoria» (sentenza n. 113 del 2021).
La
ratio di tali disposizioni va rinvenuta nella necessità di tutela delle specie
animali, a cui deve essere assicurato un adeguato periodo di tranquillità per
la nidificazione e la riproduzione, così da garantirne la conservazione, e
trova fondamento nell'art. 7 della direttiva 2009/147/CE e nel principio di
conservazione delle specie ivi declinato, per cui è esclusa la cacciabilità
degli uccelli selvatici durante la stagione riproduttiva.
Tali
esigenze di tutela comportano, nel riparto interno di competenze, l'attrazione
della disciplina dei termini per l'attività venatoria di cui all'art. 18 della
legge n. 157 del 1992 alla competenza esclusiva dello Stato in materia
ambientale, integrando tale disposizione il punto di equilibrio tra «il
primario obiettivo dell'adeguata salvaguardia del patrimonio faunistico
nazionale e l'interesse [...] all'esercizio dell'attività venatoria» (sentenza
n. 4 del 2000), con conseguente vincolo al suo rispetto per il legislatore
regionale che non può derogare in peius i livelli di tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema fissati dalla legislazione statale (sentenze n. 16 e n. 7 del
2019, n. 174 del 2017 e n. 303 del 2013).
Sulla
scorta di ciò è evidente, dunque, che, richiedendo la conservazione delle
specie un periodo continuativo di "pacificazione venatoria",
finalizzato alla riproduzione, la durata del periodo di caccia è stabilita
dallo Stato nell'esercizio della competenza esclusiva in materia ambientale, le
Regioni non possono allungarlo, né frammentarlo, con recuperi successivi alla
sua data finale, senza incorrere in un abbassamento degli standard di tutela
prescritti dalla legislazione nazionale.
Le
suesposte considerazioni non consentono di condividere l'assunto della difesa
della Regione Liguria che muove dal presupposto per cui l'arco temporale
massimo definito dal legislatore statale corrisponderebbe ad un totale di
giornate di caccia, così da ritenere del tutto indifferente e, quindi,
ammissibile, che l'eventuale sospensione di alcune giornate possa essere
oggetto di recupero anche oltre i limiti dell'arco temporale massimo, non
comportando tale recupero alcun allungamento del periodo complessivo.
Infatti,
poiché la ratio che è alla base della cacciabilità di ciascuna specie secondo
un arco temporale massimo è, come si è detto, da rinvenirsi nell'esigenza di
tutela delle stagioni di riproduzione della fauna selvatica, l'arco temporale
deve corrispondere ad un intervallo temporale continuativo e non può essere
riferito alla somma delle giornate in cui è consentito l'abbattimento nel corso
dell'intera stagione venatoria oltre i termini indicati dall'art. 18, comma 1,
della legge n. 157 del 1992.
Per
tutti i suddetti motivi la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale della
norma impugnata
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