sabato 5 gennaio 2019

Il TAR Liguria: i ritardi su Piazza Verdi frutto anche degli errori del Comune.

Ci sono due passaggi emblematici della sentenza del TAR Liguria che ha accolto solo in minima parte la richiesta milionaria di risarcimento danni contro il Ministero dei Beni Culturali nella vicenda del contestato progetto su Piazza Verdi.

Eccoli questi passaggi:
1. Il “reperimento di fondazioni di vecchi edifici ottocenteschi che avevano richiesto per due volte l’iter per l’autorizzazione alla demolizione; come precisato dalla difesa del Ministero detto rallentamento è imputabile esclusivamente al comune, che ha omesso la previa verifica -in fase progettuale- dell’interesse archeologico ai sensi degli artt. 95-96 del D.Lgs. 163/2006, con conseguente necessità di effettuare gli studi e le indagini in fase esecutiva;
2.anche in considerazione dei ritardi nei lavori direttamente imputabili all’amministrazione civica.


Questi passaggi confermano quanto da me sostenuto, come pure dal Comitato nato contro il progetto Buren – Vannetti, come spiego di seguito... 



IN RELAZIONE ALLA MANCATA VERIFICA DI INTERESSA ARCHEOLOGICO
In epoca non sospetta, come si dice, scrissi questo post (vedi QUI). Peraltro questa tesi venne confermata dallo stesso TAR Liguria (sentenza n°133 del 2016)
In particolare il TAR Liguria con questa sentenza ha respinto il ricorso del Comune contro il nuovo provvedimento della Soprintendenza che imponeva nuove prescrizioni al progetto su Piazza Verdi alla luce in primo luogo del ritrovamento di reperti di valenza archeologica ai sensi del Codice dei Beni Culturali
La sentenza del TAR afferma: “non compete a questa istanza di giurisdizione l’apprezzamento circa la natura del rilievo storico od archeologico che può attribuirsi alle fondazioni del teatro spezzino, trattandosi di un’attività connotata da discrezionalità di prevalente natura tecnica, che è stata portata a compimento dalla p.a. titolare della funzione e che nel suo svolgimento non evidenzia tratti di illogicità od irrazionalità.”
Quindi conferma che il giudice amministrativo non può sostituirsi alla Soprintendenza nel valutare il valore storico, architettonico e in questo ultimo caso anche archeologico della piazza sottoposto a vincolo ai sensi del Codice dei Beni Culturali e quindi non può, il giudice amministrativo colmare una lacuna istruttoria grave commessa dal Comune nel non aver avviato, come previsto dalla legge vigente, la verifica dell’interesse archeologico.



IN RELAZIONE AI RITARDI IMPUTABILI AL COMUNE
In relazione alla considerazione della sentenza nel punto 2 sopra riportato invece il ragionamento è più complesso e va al di la del dettato giurisprudenziale ma investe il modo di decidere e di agire della amministrazione Comunale all’epoca della vertenza sulla Piazza. Un modo di decidere e di agire amministrativo che meriterebbe un intervento della Corte dei Conti.


Infatti ci sono stati errori macroscopici della Giunta Comunale dell’epoca ma soprattutto dei dirigenti competenti li riporto a futura memoria:

Primo  errore
Se l’Amministrazione Comunale avesse avviato fin dalla autorizzazione della Soprintendenza del novembre 2012, la procedura di verifica dell’interesse culturale, il Ministero e i suoi organi periferici regionali non avrebbero potuto sospendere il cantiere nel giugno 2013. Quindi è l'inerzia del Comune e dei suoi dirigenti  che ha prodotto i motivi di illegittimità della procedura.  Tutto questo a prescindere dal contenzioso di fronte alla giustizia amministrativa che come vedremo solo in parte ha riconosciuto la legittimità dell’operato della Amministrazione Comunale e comunque non sicuramente relativamente alla tematica del vincolo archeologico esistente sulla Piazza. Resta il fatto,  amministrativamente rilevante, che senza la mancata attivazione della verifica di interesse culturale della Piazza come richiesto dalla Soprintendenza questa ultima non avrebbe avuto alcun motivo, legale, per sospendere il cantiere nel 2013.   

Secondo  errore
Se il Comune era sicuro della legittimità del suo operato avrebbe dovuto impugnare subito al TAR la sospensione del giugno 2013, chiedendo subito la sospensiva ed evitando nelle more di aprire il cantiere. Sarebbero bastate poche settimane. Invece il Comune non ha fatto ricorso, ha aperto il cantiere senza di fatto poter lavorare per molti mesi producendo un danno a tutta la collettività. 
Insomma il Comune non ha ne adempiuto alla richiesta della Soprintendenza (di svolgere la dichiarazione di interesse culturale 2012) e neppure la ha contestata dopo (con il ricorso giugno 2013), perdendo così almeno 1 anno di tempo.   

Terzo errore
Se la Direttrice delle Istituzioni Culturali non avesse sbagliato clamorosamente la data di piantumazione del filare dei pini, la Soprintendenza non avrebbe avuto molti argomenti per poter contestare il progetto e l’iter della sua elaborazione/approvazione e quindi non avrebbe potuto utilizzare questo come argomento fondante per la revoca della prima autorizzazione del novembre 2012. È sufficiente leggere in questo l’atto di avvio del procedimento di riesame e annullamento di ufficio di detta autorizzazione inviata dalla Soprintendenza in data 19/7/2013.

Quarto errore
Gran parte dei rallentamenti dei lavori del cantiere soprattutto nell’estate 2014 non sono stati determinati da nuovi ricorsi di comitati e associazioni, ma da un ulteriore errore imputabile alla sola Amministrazione Comunale. In particolare  i rallentamenti del cantiere nella parte esterna della piazza per i ritrovamenti di reperti archeologici sono il frutto, anche in questo caso, di una carenza istruttoria già rilevata dalla apposita Soprintendenza  che nel maggio del 2012 sottolineava una non adeguata procedura nella elaborazione del progetto sotto il profilo della normativa sul vincolo archeologico, ricordando che al momento dell’inizio degli scavi doveva essere coinvolta la detta Soprintendenza al fine di verificare che le suddette carenza non potessero produrre danni a beni rientranti in tale vincolo.

Quinto errore
Il quinto errore è in buona parte un aggravamento dei primi tre errori sopra elencati. Infatti aver incaricato avvocati esterni al Comune ha prodotto un ulteriore spesa per le casse comunali ed una chiara delegittimazione dell’ufficio legale del Comune.

Sesto errore
Nonostante la Nota della Direzione Regionale per i Beni Culturali che nella giornata del 21 maggio annunciava la decisione di impugnare la sentenza del TAR al Consiglio di Stato, il Comune la mattina dopo decise di tagliare tutti i pini, peraltro dopo aver annunciato formalmente alla stessa Direzione, che avrebbe tagliato solo quelli pericolanti. Non solo ma con la sua Nota la Direzione Regionale comunicava al Comune la propria interpretazione giuridico amministrativa delle conseguenze della sentenza del TAR. Affermando che occorreva comunque una nuova procedura di verifica dell’interesse culturale esistente sulla piazza (filare dei pini compreso) visto che quella precedente era stata annullata dal TAR. Per cui per abbattere i pini occorreva una autorizzazione specifica della Direzione compresi quelli presunti pericolanti.
Nonostante ciò il Comune ha deciso comunque di tagliare in una sola mattinata l’intero filare.
In questo modo, e qui sta l’errore, ennesimo di dirigenti e amministratori, si è esposto il Comune e i suoi rappresentanti al rischio di condanna per danno erariale soprattutto nel caso in cui la sentenza di merito avesse confermato il pronunciamento, in sede cautelare, del Consiglio di Stato. Ovviamente al momento del taglio le decisioni finali del Consiglio di Stato non potevano certamente essere conosciuto o conoscibili agli uffici Comunali.



CONCLUSIONI
La sentenza del TAR Liguria che contesta le "pretese" risarcitorie del Comune contiene infine un passaggio significativo sotto il profilo anche del modo di affrontare la apertura dei cantieri in aree delicate sotto il profilo della vivibilità cittadina. Afferma il TAR: "Sotto il profilo del danno va rilevato poi che la realizzazione di qualsiasi opera pubblica comporta dei disagi più o meno prolungati alla popolazione dell’area interessata, senza che ciò possa ex sé configurare l’esistenza di una posizione sostanziale tutelabile giudizialmente e l’esistenza di un danno suscettibile di ristoro.". Ecco gli amministratori pubblici riflettano bene prima di avviare decisioni che possono impattare sulla vita di migliaia di cittadini, mettano al primo posto gli interesse generali della città prima ancora dei loro intenti di "passare alla storia". La storia di una città è un bene comune come un piazza pubblica e non può essere lasciato in mano a qualche archistar, soprattutto quanto si usano soldi pubblici!





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