L’impianto
di gestione rifiuti pericolosi e non in località Cerri di Follo come risulta
dal titolo dell’articolo del Secolo XIX di ieri (pubblicato a fianco) è stato
sequestrato per i motivi che rilevano in questo post di pochi giorni fa (vedi QUI).
Tutto
questo conferma la situazione di grave illegalità in cui l’impianto ha
continuato a funzionare fino ad oggi nonostante le prescrizioni autorizzatorie
e le diffide della Provincia nonché ben due sentenze della Cassazione che
confermavano tale illegalità
In
questo quadro già di per se emblematico in Consiglio regionale ieri l’Assessore
Regionale all’Ambiente nel rispondere alla interrogazione di un Consigliere
5stelle ha svolto affermazioni molto discutibili che fanno pensare ad una
scarsa volontà di affrontare, al di la della questione specifica delle
violazioni delle prescrizioni delle autorizzazioni vigenti, una volta per tutte
la presenza di un impianto non adeguatamente (fino a oggi) valutato nei suoi
potenziali impatti e quindi non autorizzato secondo le norme di legge vigenti.
Valutazioni e autorizzazioni a norma di legge che se correttamente applicate, a
differenza di quanto sostiene l’Assessore Regionale avrebbero portato se non a chiudere l'impianto quanto meno a ridimensionarne quantità e tipologia dei rifiuti trattati nonchè la stessa struttura impiantistica.
QUESTIONE MANCATA AIA
L’Assessore
Regionale nella risposta alla interrogazione afferma testualmente: “Si precisa
infine che l’iter in questione è relativo, come più volte chiarito, ad una
autorizzazione in via ordinaria ai sensi dell’articolo 208 del DLgs 152/2006 (i
volumi trattati non raggiungono le soglie AIA)".
Per AIA si intende come è noto l’Autorizzazione Integrata Ambientale. Un tipo di autorizzazione ben più vincolante sotto il profilo della prevenzione ambientale e sanitaria della autorizzazione ordinaria citata dall’Assessore fino ad ora applicata all’impianto in questione.
Per AIA si intende come è noto l’Autorizzazione Integrata Ambientale. Un tipo di autorizzazione ben più vincolante sotto il profilo della prevenzione ambientale e sanitaria della autorizzazione ordinaria citata dall’Assessore fino ad ora applicata all’impianto in questione.
Peccato
che l’Assessore all’Ambiente della Regione Liguria non motivi il perché l’AIA
non debba applicarsi all’impianto in questione ne sotto il profilo del tipo di
lavorazione dell’impianto, ne sotto il profilo della quantità e tipologia dei
rifiuti trattati.
Come
risulta dalla autorizzazione della Provincia n° 76 del 2015, questa richiama l’autorizzazione
N°80 del 2008 secondo la quale l’impianto svolge la attività di messa in
riserva con selezione, cernita, recupero
stoccaggio di rifiuti pericolosi e non per una potenzialità massima
annua di 30.000 tonnellate ed una potenzialità media giornaliera di 100
tonnellate.
Successivamente
l’impianto ha avuto ulteriori atti autorizzatori della Provincia : n°92
del 2016, n° 2003 del 2016 , n° 1993 del 2017 che hanno confermato le
caratteristiche di lavorazione e di quantità e qualità dei rifiuti gestiti
della autorizzazione del 2008 che restano quelle di una potenzialità media di
100 tonnellate giorno
Se
andiamo a vedere gli allegati alla Parte II del DLgs 152/2006 che descrivono l’elenco delle categorie di
impianti sottoponibili, obbligatoriamente ad AIA possiamo notare che l’impianto
in questione sia per il suo ciclo di lavorazione che per le quantità e
tipologia di rifiuti trattabili, rientra pienamente tra quelli sottoponibili ad
AIA.
L’impianto
svolge, sotto il profilo del ciclo di lavorazione, attività di messa in
riserva, selezione cernita recupero e stoccaggio di rifiuti pericolosi e non.
Infatti:
1. L’impianto rientra sia nella
categoria 5.1
dell’allegato VIII alla Parte II del DLgs 152/2006. Infatti questa categoria fa
riferimento sotto il profilo del ciclo di lavorazione alla attività di recupero
dei rifiuti pericolosi . In particolare nella attività di recupero (allegato C
alla Parte IV del DLgs 152/2006) rientra anche la messa in riserva all’interno
della quale rientrano tutte le possibili attività di recupero. Per quanto riguarda la quantità trattabile il
limite è di 10 tonnellate giorno di rifiuti.
2. L’impianto rientra anche nella
categoria 5.3 lettera b) che fa riferimento alla attività di recupero di rifiuti non pericolosi con
capacità superiore a 75 tonnellate giorno.
Ora
se le cose stanno così come ho avuto modo di spiegare più volte l’impianto
andrebbe definitivamente fermato, a prescindere dal sequestro attuale che
riguarda solo lo stoccaggio e la lavorazione abusiva nel piazzale antistante l’impianto,
fino al suo adeguamento alla disciplina dell’AIA.
Infatti
secondo la vigente normativa (vigente da anni) i termini per adeguare gli
impianti esistenti all’AIA sono:
a) entro il 7 Settembre 2014 il gestore dell'impianto (ora vengono definiti installazioni) doveva presentare la domanda di AIA
b) entro il 7 luglio 2015 l'Autorità Competente deve rilasciare l'AIA.
a) entro il 7 Settembre 2014 il gestore dell'impianto (ora vengono definiti installazioni) doveva presentare la domanda di AIA
b) entro il 7 luglio 2015 l'Autorità Competente deve rilasciare l'AIA.
La Circolare
del Ministro dell’Ambiente del 17 giugno 2015 e un decreto legge del
4 luglio 2015 hanno chiarito molto
bene su come debbano essere interpretate le date suddette. La Circolare ha
chiarito con nettezza che per le installazioni che non hanno ottenuto l’AIA
entro il 7 luglio 2015 (data ormai
superata) le autorizzazioni previgenti decadono automaticamente. Quindi
non essendo più autorizzate queste installazioni non devono più
funzionare fino all’adeguamento all’AIA.
Il Decreto Legge aveva ulteriormente precisato che le installazioni suddette
potevano continuare a funzionare a condizione che il gestore (previa
verifica della autorità competente al
rilascio dell’AIA) dimostrasse che le autorizzazioni previgenti erano state
sufficientemente aggiornate per garantire il rispetto del titolo III-bis della
Parte II del DLgs 152/2006 cioè della disciplina dell’AIA. N.B. Il
Decreto Legge come da comunicato del Ministero della Giustizia (vedi QUI) non è stato convertito in legge
quindi è decaduto. Ciò è confermato anche
dal comma 3 articolo 1 Legge 6/8/2015 n. 125.
La conseguenza è che, fatti salvi i provvedimenti emessi nel periodo di vigenza del Decreto Legge (nessuno per l’impianto in oggetto), vale solo quanto chiarito nella Circolare sopra riportata per cui gli impianti che non hanno ottenuto l'AIA entro il 7 luglio 2015 decadono automaticamente dalle previgenti autorizzazioni. Peraltro è noto a tutti come la dimostrazione da parte dei gestori dell’impianto in oggetto di rispettare comunque la disciplina dell’AIA pur non avendo ancora ottenuto questa autorizzazione, non sia mai stata presentata quindi si è violato pure il suddetto Decreto Legge peraltro, come visto sopra, decaduto.
La conseguenza è che, fatti salvi i provvedimenti emessi nel periodo di vigenza del Decreto Legge (nessuno per l’impianto in oggetto), vale solo quanto chiarito nella Circolare sopra riportata per cui gli impianti che non hanno ottenuto l'AIA entro il 7 luglio 2015 decadono automaticamente dalle previgenti autorizzazioni. Peraltro è noto a tutti come la dimostrazione da parte dei gestori dell’impianto in oggetto di rispettare comunque la disciplina dell’AIA pur non avendo ancora ottenuto questa autorizzazione, non sia mai stata presentata quindi si è violato pure il suddetto Decreto Legge peraltro, come visto sopra, decaduto.
Infine,
sul punto, la infrazione della norma comunitaria dell'AIA, per l'impianto di
Saliceti, risale al 2005 e quindi non è possibile sanare, la violazione di una
norma comunitaria, con una legge intervenuta quasi 10 anni dopo, legge che
comunque abbiamo visto non c'è più.
LA RIMOZIONE DELLA VIA EX POST
L’Assessore all’Ambiente della Regione Liguria nella sua
risposta alla interrogazione afferma inoltre che: “ non si configura altresì i
presupposti normativi per avviare una procedura di Valutazione di Impatto Ambientale”.
L’Assessore
furbescamente rimuovo la parolina ex post che invece nel caso specifico è
quella che conta. Vediamo perché…
I gestori dell’impianto in questione hanno
presentato sia istanza di rinnovo della autorizzazione che una istanza di
modifica sostanziale della stessa (in data 10 agosto 2018).
Come
è noto, soprattutto alla Provincia spezzina, alla Regione e al Comune di
Follo, l’impianto in questione non
è mai stato sottoposto ad una procedura di VIA. L'impianto in questione era,
fin dall’inizio (autorizzazione del 2008), ai sensi delle lettere r) e t) del
punto 7 allegato IV alla Parte II del DLgs 152/2006, sottoponibile
quanto meno a procedura di verifica della applicabilità della VIA ordinaria. Questo avrebbe dovuto
accadere, quanto meno, già in sede di modifica della autorizzazione del 2008, trattandosi di
modifica sostanziale di impianto esistente. Sostanziale considerato che venivano modificati quantità e
tipologia di rifiuti trattati nell'impianto. A conferma delle carenze procedimentali e istruttorie
nelle procedura di autorizzazione dell’impianto in oggetto si veda
sentenza TAR Liguria n. 975 del 29 settembre 2001 che già
all’epoca rilevava: “un difetto di istruttoria” da parte della Regione
Liguria nella sua decisione di escludere l’applicazione della VIA
ordinaria all’impianto in oggetto.
Quindi
siamo di fronte attualmente ad un impianto che chiede il rinnovo della
autorizzazione e una modifica sostanziale e deve ancora avere l’AIA, senza che
detto impianto abbia mai avuto una procedura di VIA.
Sul
punto la Corte di Giustizia della UE da anni ha chiarito (da
ultimo Corte di Giustizia sentenza 28 febbraio 2018 causa C117-017 vedi QUI) che in questi casi l’impianto, insieme con il rinnovo modifica sostanziale o nuova
autorizzazione deve espletare una VIA ex post. La ratio della
giurisprudenza comunitaria in materia è quella di evitare che la VIA venga
evasa ulteriormente magari in sede di
nuove autorizzazioni e che una volta applicata la VIA ex post (fino ad
allora la mancante) questa rispetti le finalità della Direttiva
comunitaria sulla VIA secondo la quale:
1. La
VIA deve valutare preventivamente l’impatto ambientale di un progetto
2. Per
valutare l’impatto ambientale del progetto occorre considerare tutti i criteri
per misurare tale impatto a cominciare da quello della localizzazione.
Non
solo ma la Corte Costituzionale con sentenza n. 209 del 2011 (NOTA 1)ha
affermato due principi fondamentali in materia di VIA ex post o postuma:
1. la
VIA ex post serve per "vegliare" a che l'effetto utile
della direttiva n. 85/337/CEE sia comunque
raggiunto
2. la VIA ex post, cioè svolta
in occasione del rinnovo della autorizzazione o concessione di un progetto od
opera che in precedenza non aveva avuto la VIA, deve essere effettuata sempre
sull'intera opera o attività e non solo sulla parte eventualmente
modificata del progetto od opera.
Ovviamente
fino ad oggi le autorità competenti liguri (Regione in questo caso come
autorità competente alla VIA) si sono ben guardate da sollevare la
suddetta grave lacuna procedimentale prima ancora che istruttoria. Ne Provincia e
Comune di Follo hanno sollecitato in questo senso la Regione Liguria.
Guardate non
si tratta di un fatto formale ma sostanziale.
Il TAR
Toscana (sentenza n. 156 pubblicata il 30 gennaio 2018 vedi QUI) ha affermato che se la VIA o
VINCA (valutazione di incidenza) ex post dimostrino un rilevante impatto
ambientale dell’impianto/progetto esistente si può arrivare anche ad annullare
in sede di autotutela la autorizzazione
allo stesso. Aggiunge il TAR che questo può avvenire solo se si dimostra
l’esistenza di un superiore interesse pubblico (ambientale sanitario) a quello
imprenditoriale nel caso specifico.
Questo è possibile (come è avvenuto nel caso trattato dalla sentenza del TAR
Toscana) solo svolgendo una corretta e completa istruttoria di VIA/VINCA ex
post secondo i principi sopra esaminati.
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