Quante
volte comitati, associazioni ambientaliste e singoli cittadini che su territori
si battono per difendere ambiente e salute contro attività palesemente inquinanti
si sono sentiti apostrofare da burocrati degli enti pubblici come pure da amministratori
(assessori , sindaci etc.) come
“demagoghi
incompetenti”,
” produttori di allarmismo sociale gratuito”.
“delegittimatori della scienza ufficiale” etc. etc.
Questo
accade nei processi decisionali reali e ne trovo riscontro in numerose vertenze che seguo nei territori in
giro per l’Italia da ormai oltre 20 anni.
Tutta
questa delegittimazione del conflitto ambientale poi non la ritrovi in certi
documenti ufficiali di livello nazionale. Credo che la ragione di tutto ciò sia
chiara: gli interessi forti che stanno dietro la "cultura sviluppista" sono più
forti di qualsiasi elaborazione culturale, e soprattutto quando si va nel
concreto delle scelte i bei discorsi lasciano il campo ad sistema di costruzione dei processi decisionali che dei territori se ne fotte altamente.
Un
esempio concreto della contraddizione tra enunciazioni teoriche e concreta
decisione dei processi decisionali è un Documento prodotto dal sistema
agenziale, pochi mesi fa (nel 2018), con il supporto del Ministero della Salute
e pubblicato nei quaderni dell’Agenzia regionale per la prevenzione, l´ambiente e l´energia dell´Emilia-Romagna (Arpae).
Il
documento si intitola “Documento guida di comunicazione del rischio
ambientale”.
Un
documento molto interessante che pone al centro dei processi decisionali quello
che viene definita la percezione sociale del rischio. Percezione che cerca di
rispondere alla: “palese inefficacia dei
modelli di gestione del rischio fondati su mere valutazioni tecnico
scientifiche e su calcoli costi benefici” (pagina 19 del Documento in
questione).
Nella
presentazione del quaderno (vedi QUI)
si afferma quanto segue: “se da un lato
l’Europa richiede decisioni pubbliche fondate sulle evidenze scientifiche,
dall’altro è necessario, quando si parla di rischi per la salute, tenere in
debito conto anche la loro percezione e quindi utilizzare conoscenze sviluppate
nei campi della sociologia, antropologia, psicologia, nonché prodotte dalla
comunità. Il rischio è infatti un fenomeno costantemente costruito e negoziato
in quanto elemento di una rete di interazione sociale e di produzione di senso
sia nel contesto scientifico sia al suo esterno. Un fattore chiave da
considerare nell’analisi della percezione del rischio è l’outrage, il senso di
oltraggio e indignazione provocato dal rischio, strettamente collegato alla
fiducia nelle persone/enti di controllo e alla familiarità del contesto.”
Leggo le parole sopra riportate (il Documento completo vi invito a leggerlo QUI) e poi penso alle vertenze che sto seguendo ad
esempio a Borgo Val di Taro per l’impianto LaminaM, alla situazione dell’inquinamento
dei porti di Genova e Spezia, alla situazione dei depositi petroli di Multedo a
Genova, agli impianti rifiuti di Saliceti (Vezzano Ligure) , in località Cerri
di Follo, all’impianto in località Volpara a Genova etc etc…, e mi viene spontanea la domanda: ma questi
documenti i burocrati che gestiscono le istruttorie e gli amministratori
pubblici che le concludono, li leggono? Ma soprattutto la vera domanda,
arrivati a questo punto, è questi
documenti a cosa servono? A cosa servono anche i casi studio allegati al
Documento se poi restano appunto “casi studio”.
Io
dico che potrebbero servire solo ad una condizione che vengano usati per aprire
una vertenza all’interno delle istituzioni pubbliche sia quelle di controllo
che quelle di autorizzazione per cambiarne alla radice la cultura di governo
dei processi decisionali ambientali. Ma qui andiamo nel politico e come dire
qui “casca l’asino”!
Ma non
ci fermiamo di fronte a tutto ciò!
Documenti come quello che
ho citato in questo post dimostrano che dentro il sistema di potere ci sono
delle brecce vediamo di allargarle sempre di più ne va del futuro dei nostri
territori che come dimostrano le vicende dei progetti del Terzo Valico e della
TAV e mille altri in giro per l’Italia sono
sotto attacco da anni .
Perché
siamo stufi di dover subire decisione
definite strategiche in separate stanze lontane dai cittadini e dalle loro
percezioni del rischio sanitario e ambientale.
Il
tempo dei convegni e dei documenti teorici è finito ora dobbiamo mettere al
centro delle decisioni i territori perché
non vogliamo più un Paese di “SI preventivi” e di “NO postumi”!
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