sabato 3 aprile 2021

Autorizzazione impianti da Fonti Rinnovabili: quali compensazioni ambientali secondo la Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale con sentenza n°46 del 23 Marzo 2021  (QUI) è intervenuta sulle questioni di costituzionalità, sollevate con ordinanze del Consiglio di Stato, in relazione alla legittimità costituzionale della legge di bilancio del 2019 che ha disciplinato ulteriormente gli accordi di compensazioni ambientali che possono essere stipulati tra Comuni e imprese che realizzano impianti da fonti rinnovabili.

La Corte nel decidere la questione posta dalle ordinanze del Consiglio di Stato ricostruisce la evoluzione della normativa che disciplina questa tipologia di accordi.

 

LA DEFINIZIONE DI FONTE RINNOVABILE PER LA CORTE COSTITUZIONALE

La Corte ricorda, in primo luogo, che le fonti energetiche rinnovabili (FER), definite talvolta alternative, sono quelle forme di energia che per loro caratteristica intrinseca si rigenerano o non sono «esauribili» nella scala dei tempi «umani» e, per estensione, il cui utilizzo non pregiudica le risorse naturali per le generazioni future (sentenza n. 237 del 2020 - QUI).

 

IL FAVOR VERSO LE FONTI RINNOVABILI DELLA NORMATIVA INTERNAZIONALE

La normativa internazionale (Protocollo di Kyoto addizionale alla Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottato l'11 dicembre 1997, ratificato e reso esecutivo con legge 1° giugno 2002, n. 120 e Statuto dell'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili IRENA, fatto a Bonn il 26 gennaio 2009, ratificato e reso esecutivo con legge 5 aprile 2012, n. 48) e quella comunitaria manifestano un deciso favor per le fonti energetiche rinnovabili al fine di eliminare la dipendenza dai carburanti fossili (sentenze n. 237 del 2020, n. 148 del 2019 e n. 85 del 2012).

 

LA ESIGENZA DI SEMPLIFICARE I PROCEDIMENTI PER AUTORIZZARE IMPIANTI DA FONTI RINNOVABILI

Il preminente rilievo del principio della massima diffusione delle energie rinnovabili, comporta, come più volte evidenziato da questa Corte, un'esigenza di semplificazione dei relativi procedimenti autorizzatori (sentenze n. 237 del 2020, n. 148 del 2019 - QUI, n. 177 del 2018 - QUI, e n. 275 del 2012 - QUI).


LA NORMATIVA NAZIONALE DI SEMPLIFICAZIONE DEI PROCEDIMENTI DI AUTORIZZAZIONE PER IMPIANTI DA FONTI RINNOVABILI

L'art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 individua le regole fondamentali per la concessione dell'autorizzazione unica per l'esercizio di impianti di produzione di energie rinnovabili, demandandone la specificazione alle linee guida del Ministro dello sviluppo economico.

Tale previsione è funzionale al raggiungimento degli obiettivi di massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili sancito dalla normativa europea. Questa, da un lato, esige che la procedura amministrativa si ispiri a canoni di semplificazione e rapidità - esigenza cui risponde il procedimento di autorizzazione unica - e, dall'altro, richiede che in tale contesto confluiscano, per essere ponderati, gli interessi correlati alla tipologia di impianto, quale, nel caso di impianti energetici da fonte eolica, quello, potenzialmente confliggente, della tutela del territorio nella dimensione paesaggistica (sentenza n. 177 del 2018).

 

L’INTRODUZIONE DI ACCORDI DI COMPENSAZIONE AMBIENTALE NELLE AUTORIZZAZIONI DEGLI IMPIANTI DA FONTI RINNOVABILI

Il provvedimento di autorizzazione è adottato dalla Regione (o dalla Provincia delegata) e, secondo quanto previsto dal comma 6 del predetto art. 12, non può essere subordinato né contemplare misure compensative a favore della Regione o della Provincia. Successivamente però l'art. 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia) ha previsto: “… regioni, gli enti pubblici territoriali e gli enti locali territorialmente interessati dalla localizzazione di nuove infrastrutture energetiche ovvero dal potenziamento o trasformazione di infrastrutture esistenti hanno diritto di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale”. La disposizione non si applicava inizialmente agli impianti da fonti rinnovabili ma questa lacuna è stata ritenuta costituzionalmente illegittima da questa Corte, poiché la stessa si risolve: “nella imposizione al legislatore regionale di un divieto di prendere in considerazione una serie di differenziati impianti, infrastrutture ed attività per la produzione energetica, ai fini di valutare il loro impatto sull'ambiente e sul territorio regionale (che, in caso di loro concentrazione sul territorio, può anche essere considerevole) solo perché alimentati da fonti energetiche rinnovabili. Tale disposizione eccede il potere statale di determinare soltanto i principî fondamentali della materia, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., determinando una irragionevole compressione della potestà regionale di apprezzamento dell'impatto che tali opere possono avere sul proprio territorio, in quanto individua puntualmente ed in modo analitico una categoria di fonti di energia rispetto alle quali sarebbe preclusa ogni valutazione da parte delle Regioni in sede di esercizio delle proprie competenze costituzionalmente garantite” (sentenza n. 383 del 2005 - QUI).

 

I CRITERI OPERATIVI PER DEFINIRE IL CONTENUTO DEGLI ACCORDI DI COMPENSAZIONE AMBIENTALE PER GLI IMPIANTI DA FONTI RINNOVABILI

Con il Decreto Ministero Sviluppo Economico 10 settembre 2010 (QUI) sono state approvate le Linee guida per l’autorizzazione agli impianti da Fonti Rinnovabili e all’Allegato 2 sono stati definiti  i criteri per la fissazione delle misure di compensazione.

Sul piano procedimentale, le Linee guida di tale decreto hanno stabilito che eventuali misure di compensazione devono essere definite nell'ambito della conferenza di servizi, sentiti i Comuni interessati, i quali, pertanto, non possono concordarle autonomamente con gli operatori economici, ma devono farlo nel contesto procedimentale finalizzato all'emanazione del provvedimento di autorizzazione unica.

I criteri per definire le compensazioni ambientali sono tra gli altri i seguenti:

a) non da luogo a misure compensative, in modo automatico, la semplice circostanza che venga realizzato un impianto  di  produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni e dal suo impatto  sull'ambiente; 

b) le misure di compensazione e di riequilibrio ambientale  e territoriale sono determinate in  riferimento a concentrazioni territoriali di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale, con specifico riguardo alle opere in  questione; 

c) le misure compensative devono essere concrete e realistiche, cioè determinate tenendo conto   delle specifiche  caratteristiche dell'impianto e del suo specifico impatto ambientale e territoriale;

d) secondo l'articolo 1, comma 4, lettera  f)  della  legge  239  del 2004, le misure compensative sono solo "eventuali", e correlate  alla circostanza che esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e  infrastrutture ad elevato impatto territoriale.

Infine secondo la lettera h) dell’Allegato 2 alle suddette Linee Guidale eventuali misure di compensazione ambientale e territoriale definite nel rispetto dei criteri di cui alle lettere precedenti non possono comunque essere superiore al 3 per cento dei proventi, comprensivi degli incentivi vigenti, derivanti dalla valorizzazione dell'energia elettrica prodotta annualmente dall'impianto.

Successivamente, l'art. 38, comma 10, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164, ha aggiunto, tra gli enti che hanno diritto a stipulare accordi con i soggetti proponenti, anche gli enti pubblici territoriali, così peraltro confermando, pur dopo le sopra indicate Linee guida del 2010, la possibilità di accordi aventi ad oggetto misure di compensazione e riequilibrio ambientale.

 

LA NATURA  ED EFFICACIA GIURIDICA DELLE LINEE GUIDA DEL 2010

La sentenza qui esaminata ricorda un precedente pronunciamento della Corte Costituzionale (sentenza n° 106 del 2020 - QUI) che ha chiarito come i regimi abilitativi degli impianti per la produzione di energia rinnovabile sono regolati dalle Linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, adottate in attuazione del comma 10 dell'art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, e richiamate nel decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), ossia da atti di normazione secondaria, che costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria. Pertanto essi rappresentano un corpo unico con la disposizione legislativa che li prevede e che ad essi affida il compito di individuare le specifiche tecniche che mal si conciliano con il contenuto di un atto legislativo e che necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale (sentenze n. 69 del 2018 e n. 99 del 2012) ed hanno carattere vincolante (sentenza n. 106 del 2020).

 

LE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE NELLE MORE DELLA APPROVAZIONE DELLE LINEE GUIDA DEL 2010

La sentenza n° 119 del 22 marzo 2010 (QUI) ha avuto ad oggetto una disposizione di una legge della Regione Puglia che autorizzava la Giunta regionale a stipulare accordi nei quali, a compensazione di riduzioni programmate delle emissioni da parte degli operatori industriali, era previsto il rilascio di autorizzazioni per l'installazione e l'esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili ovvero altre misure di riequilibrio ambientale. La Corte ha ritenuto non fondate le censure mosse dal Governo ricorrente confermando che: “devono [...] ritenersi ammessi gli accordi che contemplino misure di compensazione e riequilibrio ambientale» e che «per misure di compensazione s'intende, in genere, una monetizzazione degli effetti deteriori che l'impatto ambientale determina». Ciò che non è consentito è «l'imposizione di corrispettivo (le cosiddette misure di compensazione patrimoniale) quale condizione per il rilascio di titoli abilitativi per l'installazione e l'esercizio di impianti da energie rinnovabili”. Questo condizionamento, vietato dall'art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, in attuazione dell'art. 6 della direttiva 2001/77/CE, non sussisteva nell'impugnata norma regionale, che quindi ha superato il vaglio di costituzionalità.

Invece esito diverso ha avuto il sindacato sulla norma di una legge della Regione Calabria, oggetto della seconda pronuncia (sentenza n. 124 del 24 marzo 2010 - QUI), che ha riguardato, tra l'altro, le disposizioni che stabilivano una serie di condizioni e di oneri economici per il rilascio dell'autorizzazione unica per l'installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. In particolare si prevedeva che alla domanda di autorizzazione fosse allegato un atto con il quale il richiedente si impegnava, tra l'altro, a versare a favore della Regione una determinata somma per ogni KW eolico di potenza elettrica nominale autorizzata.

Era quindi contemplata una misura di compensazione che condizionava il rilascio dell'autorizzazione. Ciò le disposizioni regionali censurate non potevano prevedere e quindi questa Corte, nel ribadire comunque, anche testualmente, i principi già affermati nella sentenza n. 119 del 2010, è giunta all'opposta conclusione della dichiarazione di illegittimità costituzionale. Siffatte misure - ha affermato la pronuncia – “si configurano quali compensazioni di carattere economico espressamente vietate dal legislatore statale”.

 

LA INTERPRETAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA SULLE NORMA CHE DISCIPLINANO GLI ACCORDI DI COMPENSAZIONE

La giurisprudenza amministrativa ha poi chiarito che, nel contesto normativo sopra descritto, è incompatibile un procedimento di gara ad evidenza pubblica o di tipo concessorio, essendo il procedimento esclusivamente autorizzatorio (Consiglio di Stato, parere n. 2849 del 14 ottobre 2008 - QUI) e che illegittima è la previsione unilaterale di misure compensative da parte di Comuni in delibere di Giunta recanti il disciplinare dell'attività di gestione di areogeneratori (Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Bari, sentenza 1° aprile 2008, n. 709 - QUI); sono state ritenute illegittime anche una convenzione non seguita poi dal rilascio dell'autorizzazione unica (TAR Puglia, sezione distaccata di Lecce, sentenza 7 giugno 2013, n. 1361 - QUI) ovvero superata da una successiva convenzione in sede di conferenza di servizi (TAR Puglia, sezione distaccata di Bari, sentenza 24 maggio 2018, n. 737 - QUI), tutte le sentenze del TAR Puglia citate non sono state appellata.

 

LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE SULLA QUESTIONE DI COSTITUZIONALITÀ SOLLEVATA DAL CONSIGLIO DI STATO SULLA NORMATIVA CHE DISCIPLINA GLI ACCORDI DI COMPENSAZIONE SOPRA RICOSTRUITA

La Corte considera le norme nazionale sopra esaminate, ed in particolare quella oggetto delle ordinanze di rinvio del Consiglio di Stato, costituzionalmente legittime per le seguenti ragioni.

Le citate Linee guida del 2010, di natura regolamentare, segnano un netto cambiamento nell'evoluzione della disciplina di settore nella misura in cui pongono più in dettaglio la regolamentazione delle misure di compensazione, prevedendo criteri marcatamente limitativi per la loro fissazione.

Sono soprattutto due le prescrizioni che costituiscono una discontinuità rispetto al passato, tracciando uno spartiacque temporale tra prima e dopo l'entrata in vigore delle Linee guida.

Da una parte, si è previsto espressamente che non è dovuto alcun corrispettivo monetario in favore dei Comuni, ma l'autorizzazione unica può prevedere l'individuazione di misure compensative, «a carattere non meramente patrimoniale», a favore degli stessi Comuni. Tali misure compensative sono definite in sede di conferenza di servizi, sentiti i Comuni interessati, anche sulla base di quanto stabilito da eventuali provvedimenti regionali, ma non possono essere fissate unilateralmente da un singolo Comune.

D'altra parte, le misure compensative non possono essere comunque superiori al tre per cento dei proventi.

Quindi non sono più stati possibili né accordi bilaterali direttamente tra Comune (o, più in generale, ente locale) e operatore economico, né misure compensative esclusivamente monetarie, ossia solo per equivalente, dovendo essere invece "a carattere non meramente patrimoniale" e quindi almeno miste, in parte specifiche e in parte per equivalente, e con il tetto massimo pari al tre per cento dei proventi, nonché convenute esclusivamente in sede di conferenza di servizi per il rilascio dell'autorizzazione unica.

Per altro verso, però, questa normativa regolamentare determinava che gli stessi operatori economici, nel medesimo settore delle energie rinnovabili erano soggetti a regole diverse, quanto alle misure compensative e di riequilibrio ambientale.

Costituiva, in particolare, fattore distorsivo del mercato l'applicazione solo alle nuove autorizzazioni e alle nuove convenzioni, successive al 3 ottobre 2010 (entrata in vigore delle Linee Guida), delle prescrizioni relative alle misure compensative e di riequilibrio ambientale.

Il riallineamento è infine previsto proprio dalla censurata disposizione della legge di bilancio del 2018, il cui fulcro è costituito dall'obbligo di revisione degli accordi - quelli di cui all'art. 1, comma 5, della legge n. 239 del 2004, stipulati prima del 3 ottobre 2010 (data di entrata in vigore delle Linee guida) - per metterli in linea, e quindi conformi, a queste ultime e segnatamente ai criteri contenuti nell'allegato 2 del decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010.

Nel loro insieme queste misure (obbligo di revisione dei "vecchi" accordi pro futuro, mantenimento della loro efficacia per il passato, deducibilità fiscale dei proventi corrisposti come costi del reddito d'impresa) convergono verso l'obiettivo, perseguito dal legislatore, a un tempo di garantire la concorrenza, riallineando le condizioni degli operatori del settore, quanto all'onere delle misure compensative e di riequilibrio ambientale, e altresì di promuovere la tutela dell'ambiente e del paesaggio con misure compensative specifiche e non già (solo) per equivalente.

Ciò assicura la ragionevolezza complessiva della norma.

In conclusione, va dichiarata non fondata la questione sollevata dal Consiglio di Stato in riferimento all'art. 3 Cost.


Secondo la nuova sentenza qui esaminata non è fondata, infine, la censura che investe l'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018, rispetto all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli obblighi assunti sul piano internazionale ed europeo (ed in particolare agli artt. 6 della direttiva 2001/77/CE e 2 del Protocollo di Kyoto dell'11 dicembre 1997 sui cambiamenti climatici), anche sotto il distinto profilo del contrasto con il preminente principio di massima diffusione delle energie rinnovabili, più volte richiamato nella giurisprudenza costituzionale (ex multis, sentenze n. 237 del 2020, n. 148 del 2019, n. 177 del 2018, n. 275 del 2012 e n. 282 del 2009). Ciò in quanto i Comuni - pur partecipando alla conferenza di servizi - non hanno alcuna competenza in ordine al rilascio dell'autorizzazione all'esercizio di impianti di produzione di energia rinnovabile, demandata dall'art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 alla Regione (ovvero alla Provincia delegata), sicché il "regime" delle convenzioni in esame, frutto di un libero accordo tra le parti, non può incidere negativamente sulla massima diffusione delle energie da fonti rinnovabili, in quanto è "esterno" al procedimento di autorizzazione.

 

 

  

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