La Corte di Giustizia della UE accogliendo in gran parte le
tesi della Avvocatura UE (di cui avevo trattato QUI) ha fatto chiarezza, con la sentenza dello scorso 6 ottobre
2015 causa C-71/14, su quali siano i costi addebitabili al
cittadino che chiede di accedere alle informazioni ambientali in possesso della
Pubblica Amministrazione degli Stati membri.
La questione trattata dalla sentenza riguarda una domanda
pregiudiziale posta alla Corte di Giustizia al fine di chiarire
l’interpretazione di due norme della Direttiva UE 2003/4 sull’accesso del
pubblico all'informazione ambientale (di seguito Direttiva, per il testo vedi QUI) secondo i principi della Convenzione di Aarhus
sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi
decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale.
Questa
in sintesi la sentenza che merita però una analisi più
approfondita che sviluppo di seguito in questo post…..
LE NORME EUROPEE DA INTERPRETARE
L’articolo 5, paragrafo 1, della Direttiva stabilisce il principio secondo il quale l’accesso a tutti
i registri o elenchi pubblici dell’informazione ambientale e l’esame in situ di
siffatta informazione sono gratuiti.
L’articolo 5, paragrafo 2, della Direttiva consente tuttavia alle autorità pubbliche di applicare
una tassa per la fornitura dell’informazione ambientale su
richiesta, purché tale tassa non superi un importo ragionevole.
L’articolo 6 della
Direttiva richiede agli Stati membri di procedere al riesame, in sede
amministrativa e giurisdizionale, delle decisioni delle autorità pubbliche
relative all’accesso all’informazione ambientale.
LE QUESTIONI DA INTERPRETARE SULLA BASE DELLE
NORME EUROPEE
Sono state sollevate questioni in ordine ai seguenti
punti:
1. se, ai
sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, un’autorità pubblica possa recuperare parte
del costo per la manutenzione di una banca dati che essa utilizza per
rispondere a richieste di particolari tipi di informazione ambientale e i costi
generali attribuibili alle ore lavorative del personale,
2. se gli
articoli 5, paragrafo 2, e 6 ostino a una norma nazionale secondo la quale
un’autorità pubblica può applicare una tassa per la fornitura dell’informazione
ambientale che “(…) non eccede l’importo
che l’autorità pubblica ritiene essere ragionevole”, qualora la decisione
dell’autorità pubblica in merito al concetto di «importo ragionevole» sia
soggetta a riesame in sede amministrativa e giurisdizionale come previsto dalla
legislazione nazionale.
I PRINCIPI
AFFERMATI DALLA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
Distinguere la informazione ambientale
dall’accesso all’atto e/o al documento
L’articolo
5 paragrafi 1 e 2 distinguono tra la pubblicazione di
registri e banche dati generali sulle informazioni ambientali in possesso
di una Amministrazione Pubblica dall’accesso alla singola
informazione richiesta specificamente dal cittadino e/o associazione
comitato. La pubblicazione deve essere gratuita, l’accesso può
prevedere un costo da pagare secondo i successivi principi di seguito
descritti. La pubblicazione è obbligatoria a prescindere dalla richiesta
del cittadino associato o singolo, l’accesso solo su richiesta. Quindi secondo
la Corte di Giustizia: “Sarebbe contraddittorio se le autorità
pubbliche potessero ripercuotere tali spese sulle persone che hanno presentato
richieste di informazione sul fondamento dell’articolo 5, paragrafo 2, della
direttiva 2003/4, mentre la consultazione in situ delle informazioni figuranti
nella banca dati è gratuita conformemente all’articolo 5, paragrafo 1, di tale
direttiva.”
Definizione larga di accesso a registri e
banche dati
L’accesso alla singola informazione e/o
documento differisce dall’atto di raccogliere, tenere e diffondere informazioni
ambientali o di comunicare al pubblico dove trovare tali informazioni,
Definizione di
costi relativi alla «fornitura» dell’ informazione ambientale
I
costi relativi alla «fornitura» dell’ informazione ambientale, esigibili in
base all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2003/4, comprendono:
1. le spese postali e di
fotocopia,
2. i costi imputabili al
tempo dedicato dal personale dell’autorità pubblica interessata a rispondere ad
una richiesta di informazione individuale, compreso, segnatamente, il tempo per
cercare le informazioni in questione e porle nel formato richiesto.
I
costi di cui al punto 2, secondo la Corte di Giustizia, non risultano
dall’istituzione e dalla manutenzione dei registri e degli elenchi
dell’informazione ambientale detenuta né dagli uffici per la consultazione di
tali informazioni. Tale conclusione è peraltro confortata dal considerando 18
di tale direttiva secondo cui, in linea di principio, le tasse non possono
eccedere i «costi effettivi» di produzione del materiale in questione.
Tenuto
conto dell’utilizzo della nozione di «costi effettivi» in detto considerando,
occorre constatare che spese generali, prese adeguatamente in considerazione,
possono, in linea di principio, essere incluse nel calcolo della tassa prevista
dall’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2003/4. Infatti, come ha rilevato
il giudice del rinvio, l’inclusione delle spese generali nel calcolo di tale
tassa corrisponde ai principi contabili abituali. Tuttavia, tali spese possono
essere incluse nel calcolo di detta tassa solo in quanto sono imputabili ad un
elemento di costo rientrante nella «fornitura» dell’informazione ambientale.
Definizione di
costo ragionevole della fornitura di informazioni ambientali
La Corte di Giustizia ribadisce: “che si
deve escludere qualsiasi interpretazione della nozione di «importo ragionevole»
che possa produrre un effetto dissuasivo sulle persone che intendono ottenere
informazioni o limitare il diritto delle medesime di accedervi (v., in tal
senso, sentenza Commissione/Germania C‑217/97, EU:C:1999:395, punto 47)”.
Come il costo
applicato alla fornitura delle informazioni ambientali può non essere
considerato dissuasivo per il cittadino che vuole accedere
Secondo
la Corte di Giustizia: “Per valutare se
una tassa applicata in virtù dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva
2003/4 abbia effetto dissuasivo, occorre tener conto tanto della situazione
economica del richiedente l’informazione quanto dell’interesse generale legato
alla tutela dell’ambiente. Tale valutazione non può, quindi, essere effettuata
unicamente rispetto alla situazione economica dell’interessato, ma deve basarsi
anche su un’analisi obiettiva dell’importo di tale tassa. In tale misura, detta
tassa non deve oltrepassare le capacità finanziaria dell’interessato né
apparire, in ogni caso, oggettivamente irragionevole”.
Il costo
ragionevole per la fornitura delle informazioni ambientali secondo l’Avvocatura
UE
Nel
corso del dibattimento che ha portato alla sentenza della Corte da UE Giustizia,
qui esaminata, l’Avvocatura UE ha
precisato che, in base ai parametri di diritto UE, è
ragionevole la tassa che:
1. viene fissata in base a fattori obiettivi che sono
conosciuti e possono essere controllati da un terzo;
2. viene
calcolata indipendentemente dal soggetto che chiede l’informazione e dal fine
per cui tale informazione è richiesta;
3. viene
fissata a un livello tale da garantire gli obiettivi del diritto di accesso
all’informazione ambientale su richiesta e quindi non dissuade le persone dal
chiedere l’accesso né limita il loro diritto di accesso;
4. non
è superiore a un importo adeguato al motivo per cui gli Stati membri sono
autorizzati ad applicare tale tassa (ossia, la presentazione da parte di un
membro del pubblico di una richiesta di fornitura dell’informazione ambientale)
e direttamente correlato all’atto di fornire tale informazione.
5. non
dipende dal soggetto che richiede la fornitura dell’informazione né il motivo
di tale richiesta, questo perché la richiesta di fornitura dell’informazione
non comporta l’obbligo per il richiedente di dichiarare il proprio
interesse
6. tiene conto del fatto che l’accesso
all’informazione ambientale, attraverso la fornitura di tale informazione,
contribuisce a sensibilizzare maggiormente il pubblico alle questioni
ambientali, a favorire il dibattito e la partecipazione del pubblico al
processo decisionale in materia e, infine, a migliorare l’ambiente
7. include
i costi delle ore lavorative del personale impiegate per la ricerca e per la
produzione dell’informazione richiesta nonché il costo della produzione di
quest’ultima nella forma richiesta (che può essere di vari tipi). Tuttavia,
precisa l’Avvocatura UE, non è ammissibile che una tassa sia anche
finalizzata a recuperare le spese generali quali il riscaldamento,
l’elettricità e i servizi interni. Sebbene una parte di tali spese generali
possa essere effettivamente attribuita al processo di creazione delle
condizioni che consentono all’autorità di dare accesso all’informazione
ambientale su richiesta, dette spese (al pari dei costi per il mantenimento e
per l’accesso ai registri e agli elenchi dell’informazione ambientale) non sono
sostenute unicamente in connessione con la fornitura dell’informazione in
risposta a una richiesta specifica.
Deve essere garantito al cittadino di ricorrere ai giudici nazionali contro
decisioni delle Autorità Pubbliche degli Stati membri che stabiliscano costi di
accesso in contrasto con i principi di diritto UE
Infine la Corte di Giustizia afferma che l’articolo 6, paragrafi 1 e 2,
della Direttiva impone allo Stato membro di garantire lo svolgimento di un
riesame (dapprima) in sede amministrativa e (successivamente) in sede
giurisdizionale della questione se la decisione di un’autorità pubblica sul
concetto di tassa ragionevole sia conforme al significato del termine
«ragionevole» ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della Direttiva, stabilito
autonomamente nell’ambito del diritto dell’Unione. Pertanto, lo Stato membro
deve garantire che la procedura di riesame, dallo stesso prevista, consenta di
valutare la ragionevolezza di una particolare tassa in base al criterio di
ragionevolezza stabilito, per tasse di tal genere, dal diritto dell’Unione.
Spetta al giudice nazionale competente interpretare il diritto nazionale in
modo tale da prevedere detto riesame.
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