L’attacco al Paesaggio si accompagna
ormai da tempo ad un continuo tracimante intervento di modifica legislativa sia
al Codice del Paesaggio che alle norme ad esso coordinate come la legge
241/1990 sul procedimento amministrativo.
A questo si accompagna una logica decisionista anche a livello degli
Enti Locali e delle Regioni che tende sempre di più ad escludere le comunità
locali e soprattutto i cittadini attivi da un coinvolgimento nelle decisioni
che riguardano la tutela del Paesaggio, la identità di parti storiche di città
e borghi.
L’ultimo esempio è il decreto sblocca
Italia ora convertito in legge definitivamente, di cui tratterò in questa sede solo per la parte paesaggistica anche se
novità negative per la tutela del territorio, intesa anche in senso estetico
paesaggistico e culturale e non solo strettamente ambientale, si trovano in
questo decreto nel Capo V sulle misure per il rilancio della edilizia, solo
leggermente modificate nella legge di conversione.
Ma il modello del Decreto Sblocca Italia
va al di la della questione Paesaggistica anzi, usa l’obiettivo specifico di
rimozione degli ostacoli procedurali a scelte anti paesaggistiche, per definire
un nuovo modello di governo degli usi del territorio fondato sulla
emergenzialità e l’accentramento dei
poteri verso il Governo come spiego alla fine di questo post.
Vediamo di seguito le novità della legge di conversione del Decreto Sblocca Italia....
ELIMINAZIONE DELLA AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA PER NUOVE TIPOLOGIE DI
INTERVENTI
Il Decreto Sblocca Italia all’articolo 25 (vedi QUI) rinvia ad un nuovo regolamento per escludere la
autorizzazione paesaggistica per nuove tipologie di interventi minori e per
quelli di lieve entità ulteriori rispetto all’elenco previsto dal DPR n.139 del 2010. Ora questo
DPR già semplificava notevolmente le
procedure di rilascio della autorizzazione paesaggistica per numerosissimi
interventi c.d. di lieve entità ma che "comportino
un'alterazione dei luoghi o dell'aspetto esteriore degli edifici".
In
cosa consiste la semplificazione in vigore dal 2010 con il sopra citato DPR n.
139:
1. si
prevede una relazione paesaggistica semplificata (articolo 2)
2. i
termini per la conclusione del procedimento sono ridotti (articolo 3)
3. vengono
previsti semplificazioni procedurali per il rilascio della autorizzazione
paesaggistica (articolo 4)
4. vengono
individuati appositi funzionari presso ogni soprintendenza per seguire la
procedura semplificata (articolo 5)
5. immediata
applicazione delle procedure semplificate nelle Regioni a statuto ordinario
(articolo 6)
Ma questa semplificazione, esistente
come abbiamo visto da oltre 4 anni, non è sufficiente perché è chiaro
l’intento di questo Governo depotenziare sempre di più lo strumento
autorizzazione paesaggistica lasciandolo peraltro nelle mani della politica
amministrativa locale ed ora nazionale come vedremo di seguito in questo post, e sempre meno dei tecnici delle Soprintendenze.
Peraltro abbiamo un precedente di proposta di provvedimento (un DPR) che mirava ad
allargare l’elenco delle opere per le quali si prevedeva la autorizzazione
paesaggistica semplificata, passato dal parere della Conferenza Unificata Stato
Regioni Città il 24 gennaio 2013 e poi arenatosi.
Ebbene
il Consiglio di Stato su quello
schema di provvedimento espresse un parere il 13 marzo 2013 con il quale mise
in rilievo la necessità di circoscrivere gli interventi che godono della
semplificazione per evitare abusi.
SILENZIO ASSENSO PER IL PARERE DELLA SOPRINTENDENZA NELLA AUTORIZZAZIONE
PAESAGGISTICA
Così sempre l’articolo 25 del Decreto
sblocca Italia, modificando il comma 9 dell’articolo 146 del Codice del
Paesaggio, prevede che se entro 60 giorni dalla ricezione degli atti relativi
alla domanda di autorizzazione paesaggistica la Soprintendenza non si
esprima attraverso la conferenza dei servizi, l’amministrazione
competente (leggi il Comune di solito o comunque l’ente subdelegato
dalla Regione: Provincia Ente Parco) provvede comunque al rilascio
della autorizzazione paesaggistica. La norma precedente ora abrogata
prevedeva che se il Soprintendente non avesse fornito nei termini il proprio
parere si passava attraverso una conferenza dei servizi con la partecipazione
del soprintendente o l’invio di un parere scritto dello stesso. Solo dopo la
conferenza dei servizi se nulla era arrivato dalla Soprintendenza l’autorità
competente rilasciava la autorizzazione paesaggistica. Quindi una forma indiretta di silenzio
assenso era già stata introdotta nel testo del Codice dei Beni Culturali
con la modifica del DLgs 157 del 2006,
ma almeno il silenzio della Soprintendenza veniva verificata in una apposita
riunione pubblica formalmente convocata: la conferenza dei servizi. Con il
Decreto Sblocca Italia invece l’autorità competente rilascia l’autorizzazione
paesaggistica senza neppure sollecitare una volta la Soprintendenza.
Siamo quindi di fronte ad un vero e
proprio silenzio assenso diretto per i beni paesaggistici.
D’altronde del perché possa fare paura
ai “semplificatori dell’uso del territorio” il Parere della
Soprintendenza lo ha spiegato, paradossalmente, lo stesso Ministero
dell’Ambiente con una Circolare del 22/1/2010 secondo la quale,
relativamente alle finalità del parere: “il parere reso dai Soprintendenti
riguarda anche il merito della trasformazione del territorio oggetto
della richiesta di autorizzazione ed è, al momento, non soltanto obbligatorio
ma anche vincolante e sarà tale fino a che, con riferimento a tutte le
fonti del vincolo paesaggistico che in concreto assumono rilevanza per il
progetto di trasformazione del territorio sottoposto ad autorizzazione, non
ricorrano le condizioni indicata dal Codice.”.
Non solo ma la Circolare del Ministero
dell’Ambiente prevede l’obbligatorietà
del parere ancorché si entrerà nel regime per cui tutti i piani urbanistici
interessati da interventi in aree a vincolo paesaggistico siano stati
dichiarati compatibili con i nuovi piani paesaggistici regionali da parte degli
organi ministeriali. Quindi
nessuna ipotesi di autorizzazione senza parere della Soprintendenza.
Ovviamente il
signor Renzi non si è mai preoccupato del vero blocco alla realizzazione dei
progetti in aree vincolate che consiste proprio nel fatto che fino ad ora
solo due Regioni (Toscana e Puglia) hanno co-pianificato con il Ministero
l’uso del loro paesaggio aprendo alla semplificazione delle procedura sopra
descritta.
La modifica del Decreto Sblocca Italia sopra descritta ha un unico scopo: depotenziare ulteriormente il ruolo di
controllo delle Soprintendenze nelle aree a vincolo paesaggistico.
La semplificazione è peraltro una scusa
visto che i commi 10 e 11 dell’articolo 146 del Codice del Paesaggio
disciplinano le procedure sostitutive a salvaguardia proprio
di chi ha presentato la domanda di autorizzazione paesaggistica. Tali procedure
sostitutive consistono:
a) l'inutile
scadenza dei 60 giorni sopraindicati senza che l’Amministrazione
competente per delega abbia adottato il provvedimento definitivo consente
all'interessato di rivolgersi in via sostitutiva alla Regione che provvederà
entro 60 giorni dalla ricezione dell'istanza. Per tale attività la Regione può
anche avvalersi di un Commissario ad acta,
b) In
tutti i casi nei quali la Ragione abbia mantenuto a sé le competenze
paesaggistiche e non provveda ad adottare il provvedimento, l'interessato può
presentare al Soprintendente la richiesta di autorizzazione paesaggistica,
affinché questo ultimo si pronunci in via sostitutiva, entro gli stessi termini
indicati. (Circolare Ministero Beni Culturali 22/1/2010).
LA NUOVA
DISCIPLINA DELLA CONFERENZA DEI SERVIZI IN CASO DI DISSENSO DI AMMINISTRAZIONI
PREPOSTE ALLA TUTELA AMBIENTALE E PAESAGGISTICA
Ma
la legge di conversione non si accontenta di quanto aveva già fatto il decreto
legge e quindi va a modificare anche la disciplina sulla conferenza dei servizi
all’interno della quale possano essere coinvolti gli enti preposti alla tutela
del paesaggio a cominciare ovviamente dalle Soprintendenze. In particolare
viene modificato il comma 3 dell’articolo 14quater della legge 241/1990 (Effetti del dissenso espresso nella conferenza di
servizi).
Il
comma 3 dell’articolo 14quater
disciplina il caso del dissenso, espresso in conferenza dei
servizi, da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale,
paesaggistico - territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela
della salute e della pubblica
incolumità.
La norma era già stata modificata nel 2010 (legge 122/2010) prevedendo che il
conflitto, in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e
dell'articolo 120 della
Costituzione, venga rimesso dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio
dei Ministri, che si pronuncia entro
sessanta giorni, previa intesa:
1. con la Regione o le Regioni e le
Province autonome interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione
statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali,
2. ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in
caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o
tra più enti locali.
Già la legge del 2010 modificava in modo significativo il comma 3 dell’articolo 14 quater della legge
241/1990, rispetto al testo precedente; infatti
se nel nuovo testo (post 2010) la
questione del dissenso di un’amministrazione preposte a tutela di interessi
ambientali e/o paesaggistici viene rinviata sempre al Consiglio dei Ministri,
nella vecchia versione (ante 2010) invece la questione era così rimessa :
1. al Consiglio dei ministri, in caso di dissenso tra amministrazioni
statali;
2. alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, in caso di dissenso tra
un’amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali;
3. alla Conferenza
unificata Stati Regioni Città in caso di dissenso tra un’amministrazione
statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali.
Sempre
secondo il comma 3 dell’articolo 14quater della legge 241/1990 se l'intesa non é raggiunta nei successivi
trenta giorni (allo scadere dei 60
giorni di cui sopra), la deliberazione
del Consiglio dei ministri può essere comunque adottata. Se il motivato
dissenso é espresso da una Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie di propria
competenza, il Consiglio dei Ministri delibera in esercizio del proprio potere
sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province
autonome interessate. L’ulteriore novità
è che nel caso di non raggiungimento dell’Intesa Stato- Regione nel caso di un
motivato dissenso espresso da una Regione in una materia di propria competenza
il Consiglio dei Ministri delibera con potere sostitutivo sia pure con la
partecipazione non vincolante della Regione interessata, mentre nel vecchio
testo invece la decisione era provvisoriamente inviata alla competente Giunta regionale
che doveva assumere la determinazione sostitutiva
nei successivi trenta giorni; solo qualora la Giunta regionale non provvedeva
entro il termine predetto, la decisione era rimessa al Consiglio dei ministri, che
deliberava con la partecipazione dei Presidenti delle regioni interessate.
Come si vede il quadro
emerso dalla riforma del 2010 forniva già ampi poteri al Consiglio dei
Ministri, ma il Decreto Sblocca Italia vuole ulteriormente rafforzare tale
potere e lo fa con due modifiche apparentemente
piccole ma in realtà moto significative.
1. Intanto definisce la decisione del Consiglio dei Ministri
che “risolve” il conflitto ad esempio con una Soprintendenza (tanto per non
fare nomi) o (ma la vedo più difficile conoscendo la cultura di molti
amministratori e burocrati locali) ad un
Comune particolarmente attento alla tutela del paesaggio, questa decisione ha natura di atto di alta amministrazione.
Ora come è noto gli atti di alta amministrazione rientrano nella categoria
degli atti politici. La definizione applicata al caso in esame crea il dubbio
che si sia voluto utilizzarla per applicare l’articolo 7 del Codice del
Processo Amministrativo secondo il quale: “Non sono impugnabili gli atti o
provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio
del potere politico”. L’utilizzo però
della categoria degli atti di alta amministrazione appare poco adatta la caso
in esame considerato che tali atti esprimono la funzione di indirizzo politico
non quella esecutiva del Governo, in altri termini L’alta amministrazione si esprime attraverso atti
normativi, atti di carattere generale, di programmazione e di indirizzo,
incapaci tuttavia di produrre effetti giuridici diretti nelle situazioni
giuridiche soggettive.
D’altra parte la Corte Costituzionale sul punto ha avuto modo di chiarire, con sentenza n. 81 del 2012, che: “gli spazi della discrezionalità politica trovano
i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a
livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore
predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in
ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto. Nella misura in cui
l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che
connota un’azione di governo, è circoscritto da vincoli posti da norme
giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto
di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità
dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate.” In altri termini e
traducendo al caso in esame se la decisione di alta amministrazione del
Consiglio dei Ministri risultasse in contrasto con norme di legge, ad es. il
Codice del Paesaggio, sarebbe certamente impugnabile.
Resta comunque il maldestro tentativo del Governo Renzi che
potrebbe anche precludere ad un riforma del Codice del Processo Amministrativo
che aggiri i limiti posti dalla attuale normativa e soprattutto dalla Corte
Costituzionale.
2. Il decreto sblocca Italia introduce un'altra modifica al comma 3 articolo 14quater della legge
241/1990, prevedendo che una volta raggiunta l’Intesa con la Regione e con gli
enti locali interessati (nel caso di
dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più
enti locali) deliberi “motivando
un'eventuale decisione in contrasto
con il motivato dissenso”. Questa modifica appare ridondante per due
motivi:
1.se
c’è stata l’Intesa è ovvio che la deliberazione del Consiglio dei Ministri non
possa far altro che recepire la stessa
2.se
ritiene di non aderire alla Intesa e questa non è raggiunta nei termini
stabiliti dalla legge (30 giorni dalla scadenza dei 60 giorni per raggiungere
l’Intesa) avrà la possibilità di usare il potere sostitutivo come ho illustrato
in precedenza.
Salvo
che non si voglia dire che nonostante l’Intesa raggiunta il Consiglio dei
Ministri possa predisporre una propria e distinta motivazione nella sua
decisione. Ma questa sarebbe palesemente in contrasto con gli indirizzi della
Corte Costituzionale in materia di Intese Stato Regioni Città: “in caso di
contrasto tra Regione e Governo, il rinvio al Consiglio dei Ministri della
decisione finale, non può essere sostitutivo della Intesa con la Regione (sentenze n. 303/2003 ; 6/2004 ; 27/2004 su opere pubbliche ed energia).“
L’USO ABNORME DEL POTERE SOSTITUIVO DEL
GOVERNO RISPETTO A REGIONI ED ENTI LOCALI
Il
riferimento costituzionale del potere sostitutivo da parte del Governo, di cui
sopra, è nel comma 2 dell’articolo 120
della Costituzione, che recita: “
Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città
metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di
norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di
pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo
richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in
particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi
locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri
sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del
principio di leale collaborazione”.
Una
norma apparentemente simile si trova
nell’articolo 72 della Costituzione federale tedesca secondo il quale il
Parlamento nazionale interviene con
propria legge tra l’altro “ in quanto ….. 3) lo richiedono la tutela
dell’unità giuridica o dell’unità economica , ed in particolare modo la tutela
dell’uniformità delle condizioni di vita, prescindendo dai confini territoriali
d’ogni singolo Land ”. La differenza
con l’Italia è che però l’articolo 72
della legge tedesca si riferisce esplicitamente al potere legislativo dello
Stato (il Parlamento) mentre l’articolo 120 comma 2 nuova versione della
Costituzione italiana si riferisce ai poteri sostitutivi del Governo . Quindi
si viene a determinare ( a differenza del sistema tedesco) uno spostamento della titolarità della competenza , visto che in molti casi in cui occorreranno interventi
legislativi non disponibili da parte del Governo se non nella forma limitata
del decreto legge . Non solo ma la dizione “tutela
dell’unità giuridica o dell’unità economica “ è talmente ampia che potrà
spianare la strada ad interventi pesanti
del Governo .
Sul
punto autorevole dottrina (A. Azon in “La Riforma dell’ordinamento regionale”
pag. 65 ed. Giuffrè 2001) ha affermato che la formula dell’articolo 120
prefigura la possibilità che lo Stato si appropri di competenze delle regioni con un mero atto amministrativo
, privo di garanzie adeguate ( tra tutte , la specifica base legislativa),
introducendo uno strumento ben più pericoloso per l’assetto dei rapporti Stato
Regioni di quanto sia attualmente il tanto criticato ricorso all’interesse
nazionale, che almeno avviene con legge e con i limiti e controlli elaborati
dalla Corte Costituzionale. Il nuovo potere sostitutivo si presenta come un
grimaldello capace di aprire qualsiasi varco e di consegnare nelle mani del
Governo nazionale la disponibilità della linea di distinzione tra le competenze nazionali e locali, finendo
così per svalutare quella che viene presentata come la novità più spiccatamente
federalista della riforma in esame, il rovesciamento del criterio
dell’enumerazione delle competenze.
La modifica apportata
dal Decreto Sblocca Italia (ma anche dalla normativa precedente) relativamente alla
disciplina del dissenso in sede di Conferenza dei Servizi, che ho descritto
sopra è un esempio di come il rischio teorico insito nell’attuale versione dell’articolo
120 della Costituzione stia diventando prassi della legge ordinaria.
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