Oggi su La
Nazione (titolo a fianco) esce la notizia di un disegno di legge regionale che
avrebbe l’obiettivo di vietare sul territorio ligure impianti di generazione
elettrica da fonti fossili. Si fa riferimento ad una legge regionale del Lazio
che afferma una sorte di divieto alle centrali da fonti fossili in quel
territorio.
Per capire l’utilità
di questa legge regionale occorre però ricostruire la normativa nazionale
vigente in materia di Intesa Stato Regioni sugli impianti energetici nonché come
la Corte Costituzionale l’ha interpretata con sentenze univoche e chiarissime.
Nel post
spiego come funziona questa Intesa secondo la Corte Costituzionale, la recente
riforma della legge nazionale che disciplina questa Intesa e soprattutto che la
legge della Regione Lazio, sempre che passi il vaglio di costituzionalità (è
stata impugnata per moltissimi articoli vedi ricorso 64/2021 QUI), non
cambia la procedura della Intesa come spiego nell’ultima parte del post.
Questo vuol dire che la Regione non ha ruolo? Assolutamento no il ruolo lo ha proprio utilizzando la procedura di Intesa , motivando il no alla Intesa sul piano energetico e gli argomenti ci sono tutti come ho spiegato QUI, ma senza scorciatoie legislative a mio avviso.
La Corte
Costituzionale in varie sentenze che vado ad illustrare ha interpretato la
applicazione della legge ordinaria in materia: la legge 55/2002 (QUI)
confermata da legge successiva (legge 290/2003 QUI ).
Queste leggi
sono stato oggetto di sentenze della Corte Costituzionali anche e soprattutto
proprio sulla interpretazione della efficacia giuridica della Intesa della
Regione su progetti di impianti energetici per fonti fossili.
Analizziamo
sinteticamente cosa ha deciso la Corte Costituzionale in queste sentenze…
SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE N° 6 DEL 2004 (QUI)
La sentenza
ha riconosciuto la legittimità costituzionale della legge 55/2002. Questa legge
prevede che progetti come quello della centrale a gas siano autorizzati dal
Ministero dello Sviluppo Economico previa intesa con la Conferenza Stato
Regioni.
La Corte
Costituzionale dichiarando la legittimità costituzionale di questa legge ha
avuto modo di affermare che l’Intesa regionale è una intesa forte, quindi
se negata comporta che il Ministero dello Sviluppo Economico non possa
rilasciare la autorizzazione finale.
Apparentemente
se uno si limita a leggere questo passaggio della sentenza sembrerebbe che la
negazione della Intesa abbia un valore assoluto nel bloccare qualsiasi progetto
di impianto non voluto dalla Regione territorialmente interessata.
Ma la sentenza
non si limita a fare la suddetta affermazione spiega anche la natura
giuridica del potere di Intesa riconosciuto alla Regione. Afferma la Corte
Costituzionale: “le singole amministrazioni regionali - che si volessero
attributarie delle potestà autorizzatorie contemplate dalla disciplina
impugnata - sfuggirebbe la valutazione complessiva del fabbisogno nazionale di
energia elettrica e l'autonoma capacità di assicurare il soddisfacimento di
tale fabbisogno“. In altri termini già nel 2004 la Corte Costituzionale
chiarisce che il potere di Intesa della Regione non può trasformarsi in una
sorta di sostituzione del Ministero dello Sviluppo Economico nella decisione su
autorizzare o meno una centrale termoelettrica superiore a i 300 MW. L’Intesa
va quindi vista all’interno del principio di leale collaborazione Stato Regioni,
come affermato da una sentenza successiva sempre della Corte Costituzionale e
sempre sulla materia Intesa regionale su impianti e infrastrutture energetiche
SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE 383/2005 (QUI)
La sentenza
giudica il ricorso della Regione Toscana che ha impugnato un comma di un
articolo della legge 239/2003 (già citato in precedenza) secondo il quale per
le autorizzazioni delle centrali sopra i 300MW si applica la procedura della
legge 55/2002. Come abbiamo visto la sentenza n° 6 del 2004 aveva dichiarato la
legittimità della norma del 2002 proprio perché prevede l’Intesa con la Regione,
ma la nuova sentenza del 2005 ha precisato che: “la chiamata in sussidiarietà
da parte dello Stato dei poteri amministrativi di determinazione delle
linee generali di sviluppo della rete di trasmissione nazionale dell'energia
elettrica debba essere accompagnata dalla previsione di idonei moduli
collaborativi nella forma dell'intesa in senso forte fra gli organi statali e
la Conferenza unificata, rappresentativa dell'intera pluralità degli enti
regionali e locali. Analogamente si deve ritenere per i poteri statali
concernenti la determinazione dei criteri generali per le nuove concessioni di
distribuzione dell'energia elettrica e per il rilascio delle autorizzazioni
relative alle grandi centrali di produzione, per i quali non può essere
ritenuto sufficiente il semplice parere della Conferenza unificata previsto
dalla norma impugnata”.
In sostanza
secondo la Corte Costituzionale il percorso che porta alla decisione sulla
Intesa da parte della Regione deve essere ispirato al principio di
collaborazione tra Stato e Regione e non deve quindi essere
visto come una sorta di potere di veto della Regione a priori vale a dire da
decidere autonomamente senza alcun confronto con lo Stato.
Come deve
essere esercitata questa collaborazione? Lo spiega la Sentenza Corte Costituzionale
del 2019 n° 224 (QUI)
La sentenza chiarisce
come l’Intesa debba essere esercitata in chiave collaborativa Stato-Regione.
Afferma la sentenza: “La natura dell’intesa fa sì che l’eventuale diniego non
possa mai avere carattere generale”, altrimenti si porrebbe in contrasto “con
la ratio stessa del principio di leale collaborazione, che esige il rispetto,
caso per caso, di una procedura articolata, nonché l’enunciazione dei motivi di
un eventuale diniego, il quale non può risolversi in un mero rifiuto (in tal
senso anche le sentenze n. 114 del 2017 e n. 142 del 2016); in assenza di tale
enunciazione, infatti, sarebbe frustrata la stessa fase di trattative tesa a
superare il dissenso regionale, di cui non sarebbero desumibili le ragioni.
L’atto d’intesa, quindi, è il risultato di un apposito procedimento, che trova
nella legge e nei principi costituzionali la sua disciplina e i suoi limiti.”
Aggiunge la
Corte Costituzionale: “Com'é noto, infatti, nel rispetto della potestà legislativa
concorrente Stato-Regioni in materia energetica, la Regione non gode di un
potere di veto sui progetti in materia di idrocarburi (è richiamata, ex
multis, la sentenza di questa Corte n. 131 del 2016). Nel caso di specie,
invece, la ricorrente avrebbe abusato del potere attribuitole dalla legge,
pretendendo illegittimamente di esercitare un potere di veto sul progetto (si
richiama la sentenza di questa Corte n. 239 del 2013). Infatti, il fatto
che la Regione abbia opposto un rifiuto aprioristico e non abbia compiuto
alcuna attività volta al raggiungimento dell'intesa avrebbe reso di per sé
illegittima la deliberazione della Giunta regionale n. 1528 del 2016,
considerata altresì la mancanza, nella relativa motivazione, di adeguate
evidenze circa il necessario previo esperimento delle trattative imposte
dall'indole bilaterale dell'intesa”.
La sentenza sopra
riportata fa riferimento alle funzioni statali in materia di prospezione,
ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia
mineraria ma il principio vale ovviamente anche per le altre funzioni in
materia energetica su cui è richiesta intesa con la regione in coerenza con le
precedenti sentenze sopra citate.
AD ULTERIORE CONFERMA SI VEDA LA SENTENZA DELLA CORTE
COSTITUZIONALE CHE DICHIARA INCOSTITUZIONALE UNA LEGGE REGIONALE CHE
OBBLIGA IN MODO PREVENTIVO E ASSOLUTO A NEGARE L’INTESA IN MATERIA ENERGETICA
La sentenza n°
117 del 2013 ha giudicato la legittimità costituzionale dell’articolo 37
della legge regionale della Basilicata che affermava: “Articolo 37
- Provvedimenti urgenti in materia di governo del territorio e per la
riduzione del consumo di suolo. 1. La Regione
Basilicata nell’esercizio delle proprie competenze in materia di governo
del territorio ed al fine di assicurare processi di sviluppo sostenibile, a far
data dall’entrata in vigore della presente norma non rilascerà l’intesa,
prevista dall'art. 1, comma 7, lettera n) della legge 23 agosto 2004, n. 239,
di cui all’accordo del 24 aprile 2001, al conferimento di nuovi titoli minerari
per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi”.
Quindi si
tratta di una legge che impegna la Regione e negare l’Intesa a priori a
prescindere da ogni processo/procedimento collaborativo con lo Stato
e senza neppure dover motivare tale diniego.
La sentenza
della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima questa norma
regionale perché: “si pone in contrasto con la ratio stessa del principio
di leale collaborazione, che esige il rispetto, caso per caso, di una procedura
articolata, nonché l’enunciazione dei motivi di un eventuale diniego, il quale
non può risolversi in un mero rifiuto (in tal senso anche le sentenze n. 114
del 2017 e n. 142 del 2016); in assenza di tale enunciazione, infatti, sarebbe
frustrata la stessa fase di trattative tesa a superare il dissenso regionale,
di cui non sarebbero“ desumibili le ragioni.”
MA NON FINISCE QUI: PERCHE' LA LEGGE STESSA STABILISCE (IN COERENZA
CON LE SENTENZE SOPRA ESPOSTE) CHE DOPO IL DINIEGO DI INTESA DA PARTE DELLA
REGIONE NON SI BLOCCHI TUTTO
Qui occorre
leggere il comma 8-bis articolo 1 legge 239/2004 (QUI) intitolata Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il
riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia” introdotto
dall'art. 38, comma 1, legge n. 134 del 2012.
Questo comma
afferma: “8-bis. Fatte salve le disposizioni in materia di valutazione di
impatto ambientale, nel caso di mancata espressione da parte delle
amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa, comunque
denominati, inerenti alle funzioni di cui ai commi 7 e 8 del presente articolo,
entro il termine di centocinquanta giorni dalla richiesta nonché nel caso di
mancata definizione dell’intesa di cui al comma 5 dell’articolo
52-quinquies del testo unico di cui al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, e nei casi
di cui all’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 1º giugno 2011, n. 93,
il Ministero dello sviluppo economico invita le medesime a provvedere entro un
termine non superiore a trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da parte
delle amministrazioni regionali interessate lo stesso Ministero rimette gli
atti alla Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale, entro sessanta
giorni dalla rimessione, provvede in merito con la partecipazione della regione
interessata. Le disposizioni del presente comma si applicano anche ai
procedimenti amministrativi in corso e sostituiscono il comma 6 del
citato articolo 52-quinquies del testo unico di cui al d.P.R. 8 giugno
2001, n. 327.”
Rilevo che il suddetto comma 8-bis fa riferimento alle funzioni di cui al comma 8 articolo 1 della legge 239/2004 tra le quali rientrano al punto 7: “7) la definizione dei criteri generali per le nuove concessioni di distribuzione dell'energia elettrica e per l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti di generazione di energia elettrica di potenza termica superiore ai 300 MW”.
Questo punto è tutt’ora in vigore in quanto la sentenza della Corte
Costituzionale n° 383 del 2005 ha dichiarato incostituzionale solo la parte in
cui al posto della Intesa si prevedeva solo un mero parere della Conferenza
Stato Regioni.
Insomma la
legge è chiara, anche per le centrali termoelettriche sopra i 300 MW, se la
Regione nega l’Intesa la questione va in Consiglio dei Ministri. Questo
significa che la vecchia legge 55 del 2002 (citata all’inizio quando ho scritto
della sentenza della Corte Costituzionale n° 6 del 2004) quando afferma la
necessaria Intesa non vuole significare che se questa viene negata ogni
decisione si ferma, ma piuttosto si avvia un confronto collaborativo tra
Governo e Regione secondo le indicazioni delle sentenze della Corte
Costituzionale sopra descritte.
SUL RAPPORTO TRA VARIANTE URBANISTICA E INTESA STATO REGIONI
Sul punto
la Corte Costituzionale con sentenza n° 383 del 2005 afferma: “L'ambito materiale
cui ricondurre le competenze relative ad attività che presentano una diretta od
indiretta rilevanza in termini di impatto territoriale, va ricercato non
secondo il criterio dell'elemento materiale consistente nell'incidenza delle
attività in questione sul territorio, bensì attraverso la valutazione
dell'elemento funzionale, nel senso della individuazione degli interessi
pubblici sottesi allo svolgimento di quelle attività, rispetto ai quali
l'interesse riferibile al “governo del territorio” e le connesse competenze non
possono assumere carattere di esclusività, dovendo armonizzarsi e coordinarsi
con la disciplina posta a tutela di tali interessi differenziati.”
Insomma la
destinazione urbanistica dell’area per potere pesare nella decisione sulla
installazione di nuovi impianti non può essere posta autonomamente
dal Comune ma inserita nel percorso di confronto tra interessi pubblici
differenziati che sottende proprio alla procedura di Intesa Stato Regioni in
materia di energia come descritta sopra.
LA RECENTE RIFORMA DELLA LEGGE SULLA INTESA STATO REGIONI IN MATERIA
DI IMPIANTI ENERGETICI
L’articolo 31 del Decreto Legge 77/2021 convertito nella
legge 108/2021 (QUI) al
comma 1 modifica l’articolo 1 della legge 55/2002 (misure urgenti per garantire
la sicurezza del sistema elettrico nazionale). Il comma 1 di questo articolo 1
prevede l’Intesa con la Regione per la autorizzazione di impianti superiori ai
300 Mwe.
Secondo la modifica introdotta dall’articolo 31 del Decreto Legge
77/2021 in caso di mancata definizione dell'intesa con la regione o le regioni
interessate per il rilascio dell'autorizzazione di cui al comma 1 entro i
novanta giorni successivi al termine di cui al comma 2 [NOTA 1],
si applicano le disposizioni di cui all'articolo 1-sexies, comma 4-bis, del
decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239, convertito, con
modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2003, n.290. Sostanzialmente questo
rinvio alla legge 290 del 2003 (QUI) conferma
la necessità della Intesa con la Regione prima del rilascio della
autorizzazione ministeriale (ora competenza del MITE).
La nuova norma chiarisce la necessità del parere del Comune
territorialmente interessato, sulla conformità urbanistica. Il rilascio del
parere comunale non può incidere sul rispetto del termine entro il quale é
prevista la conclusione del procedimento. In altri termini se non viene
rilasciato entro il termine di conclusione del procedimento di autorizzazioni
decade il diritto del Comune a presentarlo.
Sempre secondo il sopra richiamato articolo 1-sexies dalla data
della comunicazione dell'avviso dell'avvio del procedimento ai comuni
interessati, é sospesa ogni determinazione comunale in ordine alle domande
di permesso di costruire nell'ambito delle aree potenzialmente impegnate, fino
alla conclusione del procedimento autorizzativo. In ogni caso la misura di
salvaguardia perde efficacia decorsi tre anni dalla data della comunicazione
dell'avvio del procedimento, salvo il caso in cui il Ministero dello sviluppo
economico ne disponga, per una sola volta, la proroga di un anno per
sopravvenute esigenze istruttorie. In altri termini la destinazione urbanistica
dell’area interessata dal progetto di centrale è congelata almeno per quattro
anni dall’avvio del procedimento di autorizzazione successivo alla conclusione
del procedimento di VIA.
IL CASO DELLA LEGGE REGIONE LAZIO DELLO SCORSO AGOSTO 2021
La legge regionale in questione (QUI) all’articolo
75 afferma:
I punti
significativi di questa norma regionale sono che il divieto di autorizzazione
ad impianti energetici da fonti fossili è comunque legato alla procedura di
intesa stato regioni e alla verifica della potenza installata sul territorio
regionale. Sul secondo punto nasce il primo problema: una cosa è la potenza
installata altra cosa è la produzione di energia elettrica. Questo aspetto per
poter rendere fondata costituzionalmente la norma regionale in questione deve
legarsi all’altro riferimento che viene fatto dal legislatore del Lazio e cioè
il Piano Energetico Regionale dal quale si deve evincere che comunque viene
garantita tra potenza installata e potenza di generazione la stabilità del
sistema elettrico non solo regionale ma quanto meno del comparto in cui si
colloca la Regione in questione.
Quindi sostanzialmente questa norma regionale pur affermando
apparentemente un divieto generalizzato a nuovi impianti da fonti fossili lo
inserisce nel quadro della procedura di Intesa affermando: ”il divieto di
autorizzazione alla costruzione e all’esercizio, con effetto ostativo anche ai
fini del rilascio dell’intesa…”. Ora l’Intesa è disciplinata, come abbiamo
visto da norma nazionale dichiarata costituzionale più volte dalla Corte, vedi
analisi nei paragrafi precedenti di questo post, quindi il divieto della legge
regionale non può cambiare la norma nazionale e l’affermazione di vietare gli
impianti dovrà poi comportare l’avvio di un confronto con il governo secondo le
procedure della legge 55/2002 e gli indirizzi della Corte Costituzionale sopra
esposti.
CONCLUDENDO...
Comunque alla fine la questione finirà in Consiglio
dei Ministri che vedrà certamente la partecipazione della Regione ma che
comporterà la applicazione, in caso di mancato accordo Stato Regioni, di una
sorta di potere sostitutivo del Governo motivato ma che vede come decisioni
ultima quella dello Stato.
Voglio ricordare a questo proposito che gli impianti di cui tratta questa legge regionale, come pure quello previsto a Spezia rientrano nella strategia del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC). Ora la legge sulla governance del PNRR e del PNIEC (legge 108/2021) prevede una procedura precisa in caso di dissenso di una Regione per i progetti del PNRR/PNIEC che è la seguente:
1. la Segreteria tecnica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri propone al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, entro i successivi cinque giorni, di sottoporre la questione alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per concordare le iniziative da assumere, che devono essere definite entro il termine di quindici giorni dalla data di convocazione della Conferenza.
2. Decorso tale termine, in mancanza di soluzioni condivise che consentano la sollecita realizzazione dell'intervento, il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero il Ministro per gli affari regionali e le autonomie nei pertinenti casi, propone al Consiglio dei ministri le opportune iniziative ai fini dell'esercizio dei poteri sostitutivi.
Per questi
motivi il Governo non ha impugnato la
norma regionale laziale perché nella sostanza non cambia la procedura per
arrivare alla decisione finale degli impianti energetici di potenza superiore
ai 300MWe come quello previsto a Spezia.
Questo vuol dire che la Regione non ha ruolo? Assolutamento no il ruolo lo ha proprio utilizzando la procedura di Intesa , motivando il no alla Intesa sul piano energetico e gli argomenti ci sono tutti come ho spiegato QUI, ma senza scorciatoie legislative a mio avviso.
[NOTA 1] L'istruttoria
si conclude una volta acquisita la VIA in ogni caso entro il termine
di centottanta giorni dalla data di presentazione della richiesta, comprensiva
del progetto preliminare e dello studio di impatto ambientale.
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