venerdì 3 dicembre 2021

UNA LEGGE REGIONALE CONTRO LA CENTRALE A GAS SPEZZINA? LA CORTE COSTITUZIONALE SU INTESA STATO REGIONI E IL CASO DELLA LEGGE REGIONE LAZIO

Oggi su La Nazione (titolo a fianco) esce la notizia di un disegno di legge regionale che avrebbe l’obiettivo di vietare sul territorio ligure impianti di generazione elettrica da fonti fossili. Si fa riferimento ad una legge regionale del Lazio che afferma una sorte di divieto alle centrali da fonti fossili in quel territorio.

Per capire l’utilità di questa legge regionale occorre però ricostruire la normativa nazionale vigente in materia di Intesa Stato Regioni sugli impianti energetici nonché come la Corte Costituzionale l’ha interpretata con sentenze univoche e chiarissime.

Nel post spiego come funziona questa Intesa secondo la Corte Costituzionale, la recente riforma della legge nazionale che disciplina questa Intesa e soprattutto che la legge della Regione Lazio, sempre che passi il vaglio di costituzionalità (è stata impugnata per moltissimi articoli vedi ricorso 64/2021 QUI), non cambia la procedura della Intesa come spiego nell’ultima parte del post.

Questo vuol dire che la Regione non ha ruolo? Assolutamento no il ruolo lo ha proprio utilizzando la procedura di Intesa , motivando il no alla Intesa sul piano energetico e gli argomenti ci sono tutti come ho spiegato QUI, ma senza scorciatoie legislative a mio avviso. 

 

La Corte Costituzionale in varie sentenze che vado ad illustrare ha interpretato la applicazione della legge ordinaria in materia:  la legge 55/2002 (QUI) confermata da legge successiva  (legge 290/2003  QUI ).

Queste leggi sono stato oggetto di sentenze della Corte Costituzionali anche e soprattutto proprio sulla interpretazione della efficacia giuridica della Intesa della Regione su progetti di impianti energetici per fonti fossili.

Analizziamo sinteticamente cosa ha deciso la Corte Costituzionale in queste sentenze…

 

SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE N° 6 DEL 2004  (QUI)

La sentenza ha riconosciuto la legittimità costituzionale della legge 55/2002. Questa legge prevede che progetti come quello della centrale a gas siano autorizzati dal Ministero dello Sviluppo Economico previa intesa con la Conferenza Stato Regioni.

La Corte Costituzionale dichiarando la legittimità costituzionale di questa legge ha avuto modo di affermare che l’Intesa regionale è una intesa forte, quindi se negata comporta che il Ministero dello Sviluppo Economico non possa rilasciare la autorizzazione finale.

Apparentemente se uno si limita a leggere questo passaggio della sentenza sembrerebbe che la negazione della Intesa abbia un valore assoluto nel bloccare qualsiasi progetto di impianto non voluto dalla Regione territorialmente interessata.

Ma la sentenza non si limita a fare la suddetta affermazione spiega anche  la natura giuridica del potere di Intesa riconosciuto alla Regione. Afferma la Corte Costituzionale: “le singole amministrazioni regionali - che si volessero attributarie delle potestà autorizzatorie contemplate dalla disciplina impugnata - sfuggirebbe la valutazione complessiva del fabbisogno nazionale di energia elettrica e l'autonoma capacità di assicurare il soddisfacimento di tale fabbisogno“. In altri termini già nel 2004 la Corte Costituzionale chiarisce che il potere di Intesa della Regione non può trasformarsi in una sorta di sostituzione del Ministero dello Sviluppo Economico nella decisione su autorizzare o meno una centrale termoelettrica superiore a i 300 MW. L’Intesa va quindi vista all’interno del principio di leale collaborazione Stato Regioni, come affermato da una sentenza successiva sempre della Corte Costituzionale e sempre sulla materia Intesa regionale su impianti e infrastrutture energetiche

 

SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE 383/2005 (QUI)

La sentenza giudica il ricorso della Regione Toscana che ha impugnato un comma di un articolo della legge 239/2003 (già citato in precedenza) secondo il quale per le autorizzazioni delle centrali sopra i 300MW si applica la procedura della legge 55/2002. Come abbiamo visto la sentenza n° 6 del 2004 aveva dichiarato la legittimità della norma del 2002 proprio perché prevede l’Intesa con la Regione, ma la nuova sentenza del 2005 ha precisato che: “la chiamata in sussidiarietà da parte dello Stato dei poteri amministrativi di determinazione delle linee generali di sviluppo della rete di trasmissione nazionale dell'energia elettrica debba essere accompagnata dalla previsione di idonei moduli collaborativi nella forma dell'intesa in senso forte fra gli organi statali e la Conferenza unificata, rappresentativa dell'intera pluralità degli enti regionali e locali. Analogamente si deve ritenere per i poteri statali concernenti la determinazione dei criteri generali per le nuove concessioni di distribuzione dell'energia elettrica e per il rilascio delle autorizzazioni relative alle grandi centrali di produzione, per i quali non può essere ritenuto sufficiente il semplice parere della Conferenza unificata previsto dalla norma impugnata”.

In sostanza secondo la Corte Costituzionale il percorso che porta alla decisione sulla Intesa da parte della Regione deve essere ispirato al principio di collaborazione tra Stato e Regione e non  deve quindi essere visto come una sorta di potere di veto della Regione a priori vale a dire da decidere autonomamente senza alcun confronto con lo Stato.

 

Come deve essere esercitata questa collaborazione? Lo spiega la Sentenza Corte Costituzionale del 2019 n° 224 (QUI)

La sentenza chiarisce come l’Intesa debba essere esercitata in chiave collaborativa Stato-Regione. Afferma la sentenza: “La natura dell’intesa fa sì che l’eventuale diniego non possa mai avere carattere generale”, altrimenti si porrebbe in contrasto “con la ratio stessa del principio di leale collaborazione, che esige il rispetto, caso per caso, di una procedura articolata, nonché l’enunciazione dei motivi di un eventuale diniego, il quale non può risolversi in un mero rifiuto (in tal senso anche le sentenze n. 114 del 2017 e n. 142 del 2016); in assenza di tale enunciazione, infatti, sarebbe frustrata la stessa fase di trattative tesa a superare il dissenso regionale, di cui non sarebbero desumibili le ragioni. L’atto d’intesa, quindi, è il risultato di un apposito procedimento, che trova nella legge e nei principi costituzionali la sua disciplina e i suoi limiti.”

Aggiunge la Corte Costituzionale: “Com'é noto, infatti, nel rispetto della potestà legislativa concorrente Stato-Regioni in materia energetica, la Regione non gode di un potere di veto sui progetti in materia di idrocarburi (è richiamata, ex multis, la sentenza di questa Corte n. 131 del 2016). Nel caso di specie, invece, la ricorrente avrebbe abusato del potere attribuitole dalla legge, pretendendo illegittimamente di esercitare un potere di veto sul progetto (si richiama la sentenza di questa Corte n. 239 del 2013). Infatti, il fatto che la Regione abbia opposto un rifiuto aprioristico e non abbia compiuto alcuna attività volta al raggiungimento dell'intesa avrebbe reso di per sé illegittima la deliberazione della Giunta regionale n. 1528 del 2016, considerata altresì la mancanza, nella relativa motivazione, di adeguate evidenze circa il necessario previo esperimento delle trattative imposte dall'indole bilaterale dell'intesa”.

La sentenza sopra riportata fa riferimento alle funzioni statali in materia di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria ma il principio vale ovviamente anche per le altre funzioni in materia energetica su cui è richiesta intesa con la regione in coerenza con le precedenti sentenze sopra citate.

 

 

AD ULTERIORE CONFERMA SI VEDA LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE CHE DICHIARA INCOSTITUZIONALE UNA LEGGE REGIONALE CHE OBBLIGA IN MODO PREVENTIVO E ASSOLUTO A NEGARE L’INTESA IN MATERIA ENERGETICA

La sentenza n° 117 del 2013 ha giudicato la legittimità costituzionale dell’articolo 37 della legge regionale della Basilicata che affermava: “Articolo 37 - Provvedimenti urgenti in materia di governo del territorio e per la riduzione del consumo di suolo. 1. La Regione Basilicata nell’esercizio delle proprie competenze in materia di governo del territorio ed al fine di assicurare processi di sviluppo sostenibile, a far data dall’entrata in vigore della presente norma non rilascerà l’intesa, prevista dall'art. 1, comma 7, lettera n) della legge 23 agosto 2004, n. 239, di cui all’accordo del 24 aprile 2001, al conferimento di nuovi titoli minerari per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi”.

Quindi si tratta di una legge che impegna la Regione e negare l’Intesa a priori a prescindere da ogni processo/procedimento collaborativo con lo Stato e  senza neppure dover motivare tale diniego.

La sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima questa norma  regionale perché: “si pone in contrasto con la ratio stessa del principio di leale collaborazione, che esige il rispetto, caso per caso, di una procedura articolata, nonché l’enunciazione dei motivi di un eventuale diniego, il quale non può risolversi in un mero rifiuto (in tal senso anche le sentenze n. 114 del 2017 e n. 142 del 2016); in assenza di tale enunciazione, infatti, sarebbe frustrata la stessa fase di trattative tesa a superare il dissenso regionale, di cui non sarebbero“ desumibili le ragioni.

 

 

MA NON FINISCE QUI: PERCHE' LA LEGGE STESSA STABILISCE (IN COERENZA CON LE SENTENZE SOPRA ESPOSTE) CHE DOPO IL DINIEGO DI INTESA DA PARTE DELLA REGIONE NON SI BLOCCHI TUTTO

Qui occorre leggere il comma 8-bis articolo 1 legge 239/2004 (QUI) intitolata Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia” introdotto dall'art. 38, comma 1, legge n. 134 del 2012.

Questo comma afferma: “8-bis. Fatte salve le disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale, nel caso di mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di intesa, comunque denominati, inerenti alle funzioni di cui ai commi 7 e 8 del presente articolo, entro il termine di centocinquanta giorni dalla richiesta nonché nel caso di mancata definizione dell’intesa di cui al comma 5 dell’articolo 52-quinquies del testo unico di cui al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, e nei casi di cui all’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 1º giugno 2011, n. 93, il Ministero dello sviluppo economico invita le medesime a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali interessate lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale, entro sessanta giorni dalla rimessione, provvede in merito con la partecipazione della regione interessata. Le disposizioni del presente comma si applicano anche ai procedimenti amministrativi in corso e sostituiscono il comma 6 del citato articolo 52-quinquies del testo unico di cui al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.”


Rilevo che il suddetto comma 8-bis fa riferimento alle funzioni di cui al comma 8 articolo 1 della legge 239/2004 tra le quali rientrano al punto 7: “7) la definizione dei criteri generali per le nuove concessioni di distribuzione dell'energia elettrica e per l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti di generazione di energia elettrica di potenza termica superiore ai 300 MW”. 

Questo punto è tutt’ora in vigore in quanto la sentenza della Corte Costituzionale n° 383 del 2005 ha dichiarato incostituzionale solo la parte in cui al posto della Intesa si prevedeva solo un mero parere della Conferenza Stato Regioni.

Insomma la legge è chiara, anche per le centrali termoelettriche sopra i 300 MW, se la Regione nega l’Intesa la questione va in Consiglio dei Ministri. Questo significa che la vecchia legge 55 del 2002 (citata all’inizio quando ho scritto della sentenza della Corte Costituzionale n° 6 del 2004) quando afferma la necessaria Intesa non vuole significare che se questa viene negata ogni decisione si ferma, ma piuttosto si avvia un confronto collaborativo tra Governo e Regione secondo le indicazioni delle sentenze della Corte Costituzionale sopra descritte.

 

 

SUL RAPPORTO TRA VARIANTE URBANISTICA E INTESA STATO REGIONI

Sul punto la Corte Costituzionale con sentenza n° 383 del 2005 afferma: “L'ambito materiale cui ricondurre le competenze relative ad attività che presentano una diretta od indiretta rilevanza in termini di impatto territoriale, va ricercato non secondo il criterio dell'elemento materiale consistente nell'incidenza delle attività in questione sul territorio, bensì attraverso la valutazione dell'elemento funzionale, nel senso della individuazione degli interessi pubblici sottesi allo svolgimento di quelle attività, rispetto ai quali l'interesse riferibile al “governo del territorio” e le connesse competenze non possono assumere carattere di esclusività, dovendo armonizzarsi e coordinarsi con la disciplina posta a tutela di tali interessi differenziati.

Insomma la destinazione urbanistica dell’area per potere pesare nella decisione sulla installazione di nuovi impianti  non può essere posta autonomamente dal Comune ma inserita nel percorso di confronto tra interessi pubblici differenziati che sottende proprio alla procedura di Intesa Stato Regioni in materia di energia come descritta sopra.

 

LA RECENTE RIFORMA DELLA LEGGE SULLA INTESA STATO REGIONI IN MATERIA DI IMPIANTI ENERGETICI

L’articolo 31 del Decreto Legge 77/2021 convertito nella legge 108/2021 (QUI) al comma 1 modifica l’articolo 1 della legge 55/2002 (misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale). Il comma 1 di questo articolo 1 prevede l’Intesa con la Regione per la autorizzazione di impianti superiori ai 300 Mwe.

Secondo la modifica introdotta dall’articolo 31 del Decreto Legge 77/2021 in caso di mancata definizione dell'intesa con la regione o le regioni interessate per il rilascio dell'autorizzazione di cui al comma 1 entro i novanta giorni successivi al termine di cui al comma 2 [NOTA 1], si applicano le disposizioni di cui all'articolo 1-sexies, comma 4-bis, del decreto-legge 29   agosto 2003, n. 239, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2003, n.290. Sostanzialmente questo rinvio alla legge 290 del 2003 (QUI) conferma la necessità della Intesa con la Regione prima del rilascio della autorizzazione ministeriale (ora competenza del MITE).

La nuova norma chiarisce la necessità del parere del Comune territorialmente interessato, sulla conformità urbanistica. Il rilascio del parere comunale non può incidere sul rispetto del termine entro il quale é prevista la conclusione del procedimento. In altri termini se non viene rilasciato entro il termine di conclusione del procedimento di autorizzazioni decade il diritto del Comune a presentarlo.

Sempre secondo il sopra richiamato articolo 1-sexies dalla data della comunicazione dell'avviso dell'avvio del procedimento ai comuni interessati, é sospesa ogni determinazione comunale in ordine alle domande di permesso di costruire nell'ambito delle aree potenzialmente impegnate, fino alla conclusione del procedimento autorizzativo. In ogni caso la misura di salvaguardia perde efficacia decorsi tre anni dalla data della comunicazione dell'avvio del procedimento, salvo il caso in cui il Ministero dello sviluppo economico ne disponga, per una sola volta, la proroga di un anno per sopravvenute esigenze istruttorie. In altri termini la destinazione urbanistica dell’area interessata dal progetto di centrale è congelata almeno per quattro anni dall’avvio del procedimento di autorizzazione successivo alla conclusione del procedimento di VIA.

 

IL CASO DELLA LEGGE REGIONE LAZIO DELLO SCORSO AGOSTO 2021

La legge regionale in questione (QUI) all’articolo 75 afferma: 1. Al fine di dare immediato impulso alla transizione ecologica e al perseguimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2050, tenuto conto della potenza installata sul territorio regionale, il piano energetico regionale (PER) contiene, nelle “Norme Tecniche di Attuazione” e, in particolare, nel relativo “Disciplinare di Attuazione, Aggiornamento e Monitoraggio del Piano”, il divieto di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio, con effetto ostativo anche ai fini del rilascio dell’intesa di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 (Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale) convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2002, n. 55, di nuovi impianti di produzione di energia elettrica alimentati a combustibili fossili, anche in caso di sostituzione, modifica o riconversione di impianti esistenti.

I punti significativi di questa norma regionale sono che il divieto di autorizzazione ad impianti energetici da fonti fossili è comunque legato alla procedura di intesa stato regioni e alla verifica della potenza installata sul territorio regionale. Sul secondo punto nasce il primo problema: una cosa è la potenza installata altra cosa è la produzione di energia elettrica. Questo aspetto per poter rendere fondata costituzionalmente la norma regionale in questione deve legarsi all’altro riferimento che viene fatto dal legislatore del Lazio e cioè il Piano Energetico Regionale dal quale si deve evincere che comunque viene garantita tra potenza installata e potenza di generazione la stabilità del sistema elettrico non solo regionale ma quanto meno del comparto in cui si colloca la Regione in questione.

Quindi sostanzialmente questa norma regionale pur affermando apparentemente un divieto generalizzato a nuovi impianti da fonti fossili lo inserisce nel quadro della procedura di Intesa affermando: ”il divieto di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio, con effetto ostativo anche ai fini del rilascio dell’intesa…”. Ora l’Intesa è disciplinata, come abbiamo visto da norma nazionale dichiarata costituzionale più volte dalla Corte, vedi analisi nei paragrafi precedenti di questo post, quindi il divieto della legge regionale non può cambiare la norma nazionale e l’affermazione di vietare gli impianti dovrà poi comportare l’avvio di un confronto con il governo secondo le procedure della legge 55/2002 e gli indirizzi della Corte Costituzionale sopra esposti.


CONCLUDENDO...

Comunque alla fine la questione finirà in Consiglio dei Ministri che vedrà certamente la partecipazione della Regione ma che comporterà la applicazione, in caso di mancato accordo Stato Regioni, di una sorta di potere sostitutivo del Governo motivato ma che vede come decisioni ultima quella dello Stato.

Voglio ricordare a questo proposito che gli impianti di cui tratta questa legge regionale, come pure quello previsto a Spezia rientrano nella strategia del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC). Ora la legge sulla governance del PNRR e del PNIEC (legge 108/2021) prevede una procedura precisa in caso di dissenso di una Regione per i progetti del PNRR/PNIEC che è la seguente:

1. la Segreteria tecnica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri propone al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, entro i successivi cinque giorni, di sottoporre la questione alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per concordare le iniziative da assumere, che  devono essere definite entro il termine di quindici giorni dalla data di convocazione della Conferenza.

2. Decorso tale termine, in mancanza di soluzioni condivise  che consentano la sollecita realizzazione dell'intervento, il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero il Ministro per gli affari regionali e le autonomie nei pertinenti casi, propone al Consiglio dei ministri le opportune iniziative ai fini dell'esercizio dei poteri sostitutivi.

Per questi motivi il Governo  non ha impugnato la norma regionale laziale perché nella sostanza non cambia la procedura per arrivare alla decisione finale degli impianti energetici di potenza superiore ai 300MWe come quello previsto a Spezia.

Questo vuol dire che la Regione non ha ruolo? Assolutamento no il ruolo lo ha proprio utilizzando la procedura di Intesa , motivando il no alla Intesa sul piano energetico e gli argomenti ci sono tutti come ho spiegato QUI, ma senza scorciatoie legislative a mio avviso. 



[NOTA 1] L'istruttoria si conclude una volta acquisita la VIA in ogni caso entro il termine di centottanta giorni dalla data di presentazione della richiesta, comprensiva del progetto preliminare e dello studio di impatto ambientale.

 

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