La Corte Costituzionale
con sentenza n° 158 del 20 luglio 2020 (QUI) ha dichiarato non fondate le questioni di
costituzionalità di due norme regionali:
1. la prima norma regionale è quella secondo cui nei parchi regionali e nelle aree protette, il soggetto gestore adotta piani di controllo degli ungulati che tengono conto delle densità sostenibili di cui al comma 1 e degli effettivi danneggiamenti alle coltivazioni agricole, anche limitrofi ai propri confini, e ai boschi. In caso di inadempienza e in presenza di danni alla produzione agricola, anche nelle aree limitrofe, la Giunta regionale interviene con potere sostitutivo.
2. la seconda la norma regionale è quella per cui il
limite al prelievo delle specie in deroga non si cumula con il numero totale di
capi di fauna migratoria stabilito dalla legge regionale sul Calendario
venatorio.
RELATIVAMENTE ALLA PRIMA
NORMA REGIONALE IMPUGNATA
Secondo la sentenza della
Corte Costituzionale la norma regionale rispetta la centralità della pianificazione,
infatti, è ribadita dalla previsione di uno specifico piano per il controllo
degli ungulati che, rispetto al singolo provvedimento amministrativo di
autorizzazione agli abbattimenti e ai prelievi selettivi, incrementa il livello
di tutela, essendo il piano frutto di un'istruttoria ad ampio spettro e di una
ponderazione complessiva degli interessi per il raggiungimento di obiettivi di
lungo e medio periodo. Pertanto secondo la sentenza, la previsione della norma
impugnata, nel disporre un ulteriore strumento di pianificazione, è conforme
alla norma interposta e, quindi, non è sotto tale aspetto costituzionalmente
illegittima.
Quanto alle esigenze di
tutela delle attività agricole richiamate dalla norma regionale impugnata la
sentenza in esame, la sentenza ricorda come le linee guida per la gestione dei
cinghiali nelle aree protette, elaborate dall'Istituto superiore per la
protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e dal Ministero dell'ambiente
(odierno Ministero della transizione ecologica), hanno evidenziato che la
dizione "ricomposizione degli squilibri ecologici", di cui all'art.
22, comma 6, della legge n. 394 del 1991 (legge quadro parchi) on può prescindere dalla
considerazione dei danni provocati dagli stessi animali alle attività agricole
in relazione al fatto che “l'integrazione tra uomo e ambiente naturale e la
salvaguardia delle attività agro-silvo-pastorali vengono annoverate tra
le finalità istitutive più significative di un'area protetta”.
Da quanto sopra, secondo
la sentenza, discende che una disciplina regionale che, come quella censurata,
si fa carico di tali esigenze all'interno di uno specifico strumento di
pianificazione, quale il piano di controllo degli ungulati, non comporta un
abbassamento del livello di tutela ambientale prescritto dal legislatore
statale, ponendosi, anzi, in un'ottica di maggiore garanzia della conservazione
degli equilibri complessivi dell'area protetta che includono la presenza
dell'uomo.
Riguardo all'intervento
sostitutivo della Giunta regionale, va ricordato che l'art. 19 della legge n.
157 del 1992 attribuisce alla stessa la competenza in materia di controllo
faunistico anche a tutela delle coltivazioni agricole. Ora, queste ultime,
gravemente danneggiate dal proliferare dei cinghiali, sono situate, sia
all'interno sia all'esterno dell'area protetta, e le coltivazioni contigue ai
parchi e alle riserve naturali non potrebbero essere protette dalle incursioni
dei cinghiali provenienti dalle suddette aree. Pertanto, a fronte
dell'inadempienza del soggetto gestore del parco relativamente all'attività di
controllo degli ungulati, il legislatore regionale è opportunamente
intervenuto, tutelando così sia gli equilibri ecologici all'interno delle aree
protette, sia le produzioni agricole nelle aree limitrofe, gli uni e le altre
compromesse dall'eccessiva proliferazione dei cinghiali.
Conclude quindi la
sentenza della Corte Costituzionale:la norma regionale impugnata, quindi,
integrando le prescrizioni statali mediante la previsione di uno specifico
strumento pianificatorio di controllo, che è rimesso in prima battuta al
soggetto gestore del parco e solo eventualmente all'attività della Giunta
regionale, individua un meccanismo di chiusura del sistema idoneo a
fronteggiare eventuali situazioni di carenza di controllo e a bilanciare le contrapposte
esigenze in modo conforme alla Costituzione.
RELATIVAMENTE ALLA SECONDA
NORMA REGIONALE IMPUGNATA
Secondo la sentenza della
Corte Costituzionale L'art. 19-bis della legge n. 157 del 1992 (legge quadro caccia) prevede,
infatti, che le deroghe possono essere disposte dalle regioni e province
autonome, con atto amministrativo, in via eccezionale e per periodi limitati,
previa analisi puntuale dei presupposti e delle condizioni che le giustificano
e con specifica indicazione delle specie cacciabili, dei mezzi, degli impianti
e dei metodi di prelievo autorizzati, nonché delle condizioni di rischio e
delle circostanze di tempo e di luogo del prelievo, del numero dei capi
giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, dei controlli che
verranno effettuati e degli organi a ciò incaricati.
Inoltre, lo stesso art.
19-bis prevede che le Regioni dispongano sistemi periodici di verifica allo
scopo di sospendere tempestivamente il provvedimento di deroga qualora sia
accertato il raggiungimento del numero di capi autorizzato al prelievo o dello
scopo, in data antecedente a quella originariamente prevista.
Sono, dunque, le
specifiche esigenze in vista delle quali viene disposta la deroga a
caratterizzare l'istituto di cui all'art. 19-bis della legge n. 157 del 1992 e
a condizionare il computo dei capi da abbattere, nonché a determinare,
eventualmente, la sospensione dell'efficacia della deroga, qualora sia
accertato l'avvenuto raggiungimento dello scopo perché la consistenza della
popolazione da prelevare si sia ridotta per effetto di altri fattori, quali,
eventualmente, lo stesso esercizio della caccia.
L'art. 18 legge n. 157 del
1992, che lo Stato ha indicato quale norma interposta, disciplina, invece,
l'esercizio dell'attività venatoria, indicando le specie cacciabili e i periodi
in cui può essere esercitata; il comma 4 di detto art. 18 impone alle Regioni di
indicare il numero massimo di capi da abbattere per ciascuna giornata di
attività venatoria, in coerenza con il regime della caccia programmata a cui è
informata la legge n.157 del 1992, che mira a contemperare le esigenze di
tutela della fauna selvatica e la necessità della conservazione delle sue
capacità riproduttive e del mantenimento di una densità ottimale con la
disciplina dell'esercizio venatorio.
Pertanto, il numero dei
capi complessivi giornalieri cacciabili con riferimento alle specie nocive
oggetto della deroga non debbono essere computati nel numero massimo dei capi
previsti giornalmente dalla caccia programmata giacché altrimenti i cacciatori
sarebbero disincentivati all'abbattimento dei capi nocivi in favore di altre
specie più appetibili.
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