giovedì 12 agosto 2021

La Corte Costituzionale sul potere sostitutivo della Giunta Regionale nella caccia selettiva nei Parchi

La Corte Costituzionale con sentenza n° 158 del 20 luglio 2020 (QUI) ha dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità di due norme regionali:

1. la prima norma regionale è quella secondo cui nei parchi regionali e nelle aree protette, il soggetto gestore adotta piani di controllo degli ungulati che tengono conto delle densità sostenibili di cui al comma 1 e degli effettivi danneggiamenti alle coltivazioni agricole, anche limitrofi ai propri confini, e ai boschi. In caso di inadempienza e in presenza di danni alla produzione agricola, anche nelle aree limitrofe, la Giunta regionale interviene con potere sostitutivo.

2. la seconda la norma regionale è quella per cui il limite al prelievo delle specie in deroga non si cumula con il numero totale di capi di fauna migratoria stabilito dalla legge regionale sul Calendario venatorio.

 

 

RELATIVAMENTE ALLA PRIMA NORMA REGIONALE IMPUGNATA

Secondo la sentenza della Corte Costituzionale la norma regionale rispetta la centralità della pianificazione, infatti, è ribadita dalla previsione di uno specifico piano per il controllo degli ungulati che, rispetto al singolo provvedimento amministrativo di autorizzazione agli abbattimenti e ai prelievi selettivi, incrementa il livello di tutela, essendo il piano frutto di un'istruttoria ad ampio spettro e di una ponderazione complessiva degli interessi per il raggiungimento di obiettivi di lungo e medio periodo. Pertanto secondo la sentenza, la previsione della norma impugnata, nel disporre un ulteriore strumento di pianificazione, è conforme alla norma interposta e, quindi, non è sotto tale aspetto costituzionalmente illegittima.

Quanto alle esigenze di tutela delle attività agricole richiamate dalla norma regionale impugnata la sentenza in esame, la sentenza ricorda come le linee guida per la gestione dei cinghiali nelle aree protette, elaborate dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e dal Ministero dell'ambiente (odierno Ministero della transizione ecologica), hanno evidenziato che la dizione "ricomposizione degli squilibri ecologici", di cui all'art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991 (legge quadro parchi) on può prescindere dalla considerazione dei danni provocati dagli stessi animali alle attività agricole in relazione al fatto che “l'integrazione tra uomo e ambiente naturale e la salvaguardia delle attività agro-silvo-pastorali vengono annoverate tra le finalità istitutive più significative di un'area protetta”.

Da quanto sopra, secondo la sentenza, discende che una disciplina regionale che, come quella censurata, si fa carico di tali esigenze all'interno di uno specifico strumento di pianificazione, quale il piano di controllo degli ungulati, non comporta un abbassamento del livello di tutela ambientale prescritto dal legislatore statale, ponendosi, anzi, in un'ottica di maggiore garanzia della conservazione degli equilibri complessivi dell'area protetta che includono la presenza dell'uomo.

Riguardo all'intervento sostitutivo della Giunta regionale, va ricordato che l'art. 19 della legge n. 157 del 1992 attribuisce alla stessa la competenza in materia di controllo faunistico anche a tutela delle coltivazioni agricole. Ora, queste ultime, gravemente danneggiate dal proliferare dei cinghiali, sono situate, sia all'interno sia all'esterno dell'area protetta, e le coltivazioni contigue ai parchi e alle riserve naturali non potrebbero essere protette dalle incursioni dei cinghiali provenienti dalle suddette aree. Pertanto, a fronte dell'inadempienza del soggetto gestore del parco relativamente all'attività di controllo degli ungulati, il legislatore regionale è opportunamente intervenuto, tutelando così sia gli equilibri ecologici all'interno delle aree protette, sia le produzioni agricole nelle aree limitrofe, gli uni e le altre compromesse dall'eccessiva proliferazione dei cinghiali.

Conclude quindi la sentenza della Corte Costituzionale:la norma regionale impugnata, quindi, integrando le prescrizioni statali mediante la previsione di uno specifico strumento pianificatorio di controllo, che è rimesso in prima battuta al soggetto gestore del parco e solo eventualmente all'attività della Giunta regionale, individua un meccanismo di chiusura del sistema idoneo a fronteggiare eventuali situazioni di carenza di controllo e a bilanciare le contrapposte esigenze in modo conforme alla Costituzione.

 

 

RELATIVAMENTE ALLA SECONDA NORMA REGIONALE IMPUGNATA

Secondo la sentenza della Corte Costituzionale L'art. 19-bis della legge n. 157 del 1992 (legge quadro caccia) prevede, infatti, che le deroghe possono essere disposte dalle regioni e province autonome, con atto amministrativo, in via eccezionale e per periodi limitati, previa analisi puntuale dei presupposti e delle condizioni che le giustificano e con specifica indicazione delle specie cacciabili, dei mezzi, degli impianti e dei metodi di prelievo autorizzati, nonché delle condizioni di rischio e delle circostanze di tempo e di luogo del prelievo, del numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, dei controlli che verranno effettuati e degli organi a ciò incaricati.

Inoltre, lo stesso art. 19-bis prevede che le Regioni dispongano sistemi periodici di verifica allo scopo di sospendere tempestivamente il provvedimento di deroga qualora sia accertato il raggiungimento del numero di capi autorizzato al prelievo o dello scopo, in data antecedente a quella originariamente prevista.

Sono, dunque, le specifiche esigenze in vista delle quali viene disposta la deroga a caratterizzare l'istituto di cui all'art. 19-bis della legge n. 157 del 1992 e a condizionare il computo dei capi da abbattere, nonché a determinare, eventualmente, la sospensione dell'efficacia della deroga, qualora sia accertato l'avvenuto raggiungimento dello scopo perché la consistenza della popolazione da prelevare si sia ridotta per effetto di altri fattori, quali, eventualmente, lo stesso esercizio della caccia.

L'art. 18 legge n. 157 del 1992, che lo Stato ha indicato quale norma interposta, disciplina, invece, l'esercizio dell'attività venatoria, indicando le specie cacciabili e i periodi in cui può essere esercitata; il comma 4 di detto art. 18 impone alle Regioni di indicare il numero massimo di capi da abbattere per ciascuna giornata di attività venatoria, in coerenza con il regime della caccia programmata a cui è informata la legge n.157 del 1992, che mira a contemperare le esigenze di tutela della fauna selvatica e la necessità della conservazione delle sue capacità riproduttive e del mantenimento di una densità ottimale con la disciplina dell'esercizio venatorio.

Pertanto, il numero dei capi complessivi giornalieri cacciabili con riferimento alle specie nocive oggetto della deroga non debbono essere computati nel numero massimo dei capi previsti giornalmente dalla caccia programmata giacché altrimenti i cacciatori sarebbero disincentivati all'abbattimento dei capi nocivi in favore di altre specie più appetibili.


Nessun commento:

Posta un commento