La legge 128/2019
all’articolo 14-bis (QUI) modifica l’articolo 184-ter del DLgs 152/2006 (parametri normativi per
definire la cessazione della qualifica
di rifiuto). In particolare:
1. Si
stabilisce che tra le condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto la
sostanza o l'oggetto devono essere destinate ad essere utilizzate per scopi
specifici (mentre nella versione precedente si faceva riferimento al termine
più blando “comune utilizzo per scopi
specifici”.
2. La seconda modifica prevede che, in assenza di norme specifiche
comunitarie o di decreti ministeriali che per singole tipologie di rifiuto
definiscano quando il rifiuto cessa di essere tale dopo attività di recupero,
sono validi i criteri definiti nell’ambito delle procedure autorizzatorie per le attività di recupero.
I criteri definiti nelle procedure autorizzatorie
(secondo la modifica introdotta dalla nuova legge) devono contenere:
a) materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell'operazione
di recupero;
b) processi e tecniche di trattamento consentiti;
c) criteri di qualità per i
materiali di cui è cessata
la qualifica di rifiuto ottenuti dall'operazione di recupero
in linea con le norme di prodotto
applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario;
d) requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei
criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto,compresi il controllo della qualità, automonitoraggio el'accreditamento, se del caso;
e) un requisito relativo alla dichiarazione di conformità.
Il comma 19 articolo della legge 55/2019 (conversione in legge del Decreto Legge 18 aprile 2019, n. 32 - QUI) ha modificato il coma 3 dell’articolo 184-ter del DLgs 152/2006 che disciplina i parametri per la definizione delle condizioni di cessazione della qualifica di rifiuto. Il nuovo comma 3 afferma che in attesa dei decreti che devono, in attuazione del comma 1 articolo 184-ter, definire le condizioni della cessazione di qualifica di rifiuto per singole tipologie di rifiuto, restano per le procedure semplificate di recupero in vigore i decreti esistenti come quello del 5/2/1988.
Secondo la modifica spetta ad
Ispra e alle Arpa territorialmente competenti controllare la coerenza tra le
autorizzazioni rilasciate dalle autorità competenti e i criteri definiti come
sopra riportato. Questa verifica viene comunicata al Ministero dell’Ambiente
che deve avvallare le nuove autorizzazioni e relativi criteri. Qui sorge un problema: i controlli Ispra/Arpa sono a campione, il che
potrebbe comportare che chi non è controllato fa come gli pare e chi è
controllato visti i tempi dei passaggi prima ad Ispra e poi al Ministero
dell’Ambiente potrebbe attendere mesi se non anche 1 anno (visti i tempi
burocratici peraltro non bene definiti dalla riforma) per lavorare con certezza
di essere nel diritto.
Quindi questa modifica permette
di dichiarare la cessazione della qualifica di rifiuto anche con criteri
definiti a livello regionale in sede appunto di autorizzazione delle singole attività
di recupero anche con specifiche linee guida regionali.
La nuova normativa supera la
sentenza del Consiglio di Stato n°1229
del 2018 (QUI)
dove si afferma che le Regioni non possono autonomamente fissare
criteri per far cessare la qualifica di rifiuto attraverso singole procedure
autorizzatorie. Il Consiglio di Stato, con
questa sentenza non aveva fatto altro che applicare quanto previsto dai commi 1
e 2 dell’articolo 184-ter del
DLgs 152/2006 nella versione precedente alla modifica ora introdotta.
Quello che non pare superare la
nuova normativa è invece la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE.
LE CONTRADDIZIONI DELLA NUOVA NORMATIVA CON LA RECENTE
GIUISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
Quanto sopra non risulta
coerente con la sentenza della Corte di Giustizia del 28/3/2019 causa C-60-18 (per il testo QUI).
La sentenza deriva da un
quesito posto dalla autorità giudiziaria dello Stato membro. Il quesito rivolto
alla Corte europea riguardava la possibilità di ottenere, caso per caso, in
assenza di un atto comunitario e di un regolamento ministeriale, una
dichiarazione di fine-rifiuto dalla parte della Agenzia per l’ambiente
nazionale applicando direttamente l’art. 6, comma 4 della direttiva sui
rifiuti 2008/98, secondo il quale “se non sono stati stabiliti criteri a
livello comunitario in conformità della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2,
gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto
abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile”.
La Corte di Giustizia UE
pronunciandosi sul quesito ha così statuito:
1. “L’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva
2008/98 non osta quindi ad una normativa nazionale in forza della
quale, in mancanza di criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto
stabiliti a livello di Unione con riferimento a un determinato tipo di
rifiuti, detta cessazione dipende dalla sussistenza per tale tipo di
rifiuti di criteri di portata generale stabiliti mediante un atto giuridico
nazionale.”
2. l’art.
6, comma 4 della direttiva comunitaria non consente al detentore di un rifiuto
“di esigere l’accertamento della
cessazione della qualifica di rifiuto da parte dell’autorità competente
dello Stato membro o da parte di un giudice di tale Stato membro ”.
Aggiunge inoltre la Corte
di Giustizia: “risulta dalla
formulazione dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98 che gli
Stati membri possono prevedere la possibilità di decisioni relative a casi
individuali, in particolare sulla base delle domande presentate dai detentori
della sostanza o dell’oggetto qualificati come « rifiuti », ma possono
anche adottare una norma o una regolamentazione tecnica relativa ai
rifiuti di una determinata categoria o di un determinato tipo di rifiuti.
Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 49 delle sue
conclusioni, l’obbligo, contenuto in tale disposizione, di notificare siffatte
misure alla Commissione allorché la direttiva 98/34, come modificata dalla
direttiva 98/48, lo richiede riguarda i progetti di regola tecnica e non le
decisioni individuali”.
La Corte quindi fa
esplicito riferimento alla possibilità di criteri nazionali di esclusione dalla
definizione di rifiuto solo con un “atto giuridico nazionale”.
La Corte esclude un potere
decisionale sulla esclusione dalla definizione di rifiuto da parte di una
autorità competente alla gestione dei rifiuti (in Italia Regioni e Province)
come pure da parte di un giudice nazionale.
La Corte aggiunge che si
possa derogare a tali divieti con provvedimenti (regole
tecniche) anche per casi singoli. Ma questo dipende dalla
legislazione nazionale.
Non mi pare che la norma
ora introdotta che ha cambiato il 184-ter segua questo indirizzo.
P.S. come scrisse Gianfranco Amendola su Lexambiente del 30 novembre 2018: "Le vie degli inquinatori sono infinite. Tanto più se si tratta della nostra povera Italia, il paese dei magliari."
P.S. come scrisse Gianfranco Amendola su Lexambiente del 30 novembre 2018: "Le vie degli inquinatori sono infinite. Tanto più se si tratta della nostra povera Italia, il paese dei magliari."
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