La discussione sulla riforma elettorale in Parlamento è tutta
dentro il paradigma della “governabilità”; ma la governabilità senza
una adeguata rappresentanza non raggiunge proprio l'obiettivo dei
decisionisti: decisioni rapide ed efficienti....ovviamente se si rimane nel
quadro democratico.......
Allo stesso tempo è un errore pensare che la rappresentanza si
salvi solo con una difesa del proporzionale o del bicameralismo cioè con una
difesa tutta dentro il vecchio quadro della democrazia rappresentativa del 900
.
LA NUOVA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE
Oggi perfino la giurisprudenza
della Corte Costituzionale ha dovuto riconoscere che, nelle
democrazie moderne, la attività discrezionale della P.A. comporta che ogni singola amministrazione non sia più un centro d’imputazione attributario della cura di uno
specifico e ben definito interesse, ma è sempre più spesso una figura
soggettiva chiamata ad operare scelte dispositive (distributive) di risorse
limitate, dopo aver condotto una propedeutica valutazione di compatibilità fra
– plurimi - interessi pubblici, e fra questi e quelli dei privati, in relazione
ai vari, possibili usi di tali risorse, ciascuno corrispondente ad un dato
interesse. Aggiungo che in tali interessi da confrontare sono ormai unanimemente
compresi anche quelli c.d. diffusi (ad esempio quelli ambientali e di tutela
della salute o della informazione trasparente etc.), basti vedere la
normativa, comunitaria e nazionale, sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico
ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale e la
trasparenza.
Quindi
il vero problema se vogliamo salvare rappresentanza e decisione è quello di
affiancare alla futura legge elettorale istituti di democrazia partecipativa riconosciuti formalmente.
LE RIMOZIONI
NEL DIBATTITO SULLA RIFORMA DELLA LEGGE ELETTORALE
Quello
che mi preoccupa non è solo il dibattito sul merito della riforma della legge
elettorale (con i suoi premi di maggioranza eccessivi, la impossibilità di dare
le preferenze ai singoli candidati, la fine del bicameralismo), ma anche e soprattutto l’assenza di una
discussione vera e di proposte precise sull’allargamento
verso il basso, verso i cittadini singoli e associati fuori dagli schemi
partitici, dei processi decisionali e del modello di governo.
LA CULTURA
DECISIONISTA…..NON PRODUCE DECISIONI MA ACCELERA LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA
RAPPRESENTATIVA
Insomma
più che la legge elettorale mi preoccupa la
pseudo cultura decisionista che in realtà nasconde un dato di fatto: oggi
nelle società delle reti informative senza consenso reale costruito sui
territori non si realizza nulla o quasi.
Ad esempio è stato presentato all’inizio
dello scorso mese di febbraio l’ottavo Rapporto sulla attuazione della
legge obiettivo quella sulle c.d. opere pubbliche strategiche. Dal
Rapporto risulta che solo il 13% di queste opere è stato ultimato
rispetto alle scadenze previste e, sempre secondo, il Rapporto la ragione di
questo fallimento sta nelle procedure, nei criteri di selezione delle opere non
certo nei conflitti locali.
O vogliamo parlare dei dati
della Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici secondo la quale 6 gare
su dieci finiscono nel nulla relative alle opere pubbliche con finanza di
progetto? O vogliamo ancora parlare dei 5 miliardi di euro
di opere pubbliche bloccate dai vincoli del Patto di Stabilità per gli
enti locali (dati Ance: Associazione costruttori edili)?
E comunque se vogliamo parlare
seriamente di conflitti forse al teorema del “non nel mio giardino”
dovremmo in buona parte sostituire quello “non nel mio mandato
amministrativo”. Infatti secondo il rapporto 2013 del Nimby
Forum [[1]] sui
conflitti che bloccano opere di interesse pubblico ben il 30% sono contestate
da Amministrazioni Comunali e non da comitati di cittadini.
Ma
forse a forza di scaricare la responsabilità delle non decisioni sui conflitti, si vuole raggiungere l’obiettivo
vero che non è quello dell’abolizione del Senato o del premio di maggioranza ma
di costruire una democrazia autoritaria e plebiscitaria fondata sul leaderismo
personale e sulla rimozione emarginazione e a volte criminalizzazione del conflitto.
RECUPERARE LA
RAPPRESENTANZA PER RAFFORZARE LE ISTITUZIONI DI GOVERNO
Invece
che puntare tutto sulla “cultura della
decisione” bisognerebbe puntare sul recupero
della rappresentanza. I dati statistici sono li a dimostrare questa esigenza, come una recente ricerca del Censis su “I valori
degli italiani. 2013”, secondo la quale:”oggi
il 67% degli italiani non si sente rappresentato da nessuno”, istituzioni o
partiti cambia poco. A conferma dello
spessore della questione recupero della
rappresentanza si veda il secondo rapporto "Late lessons
from early warnings" ([2]) diffuso il 23
gennaio 2013, secondo il quale è crollata la fiducia dei cittadini nei
Governi (legati a politiche ambientali a breve termine) e nelle aziende, troppo
legate al profitto a scapito dell'ambiente.
Eppure
studi autorevoli dimostrano che i cittadini non sono presi, almeno nella loro
stragrande maggioranza da una sorta di anarchismo distruttivo verso le
istituzioni. Si vedano i vari Rapporti
della Luiss ( “Generare classe
dirigente” Lussi University Press-Il Sole 24 ore dal 2007 in poi), dai quali
emerge che la maggioranza degli italiani
ritiene che le classi dirigenti dovrebbero avere
1.
visione strategica
2.
competenza
3.
senso di responsabilità e di legalità nella gestione della cosa pubblica.
In
altri termini l’auspicio che emerge dalla maggioranza degli italiani è che sia
in particolare il potere politico
istituzionale a contare di più domani rispetto ad oggi, evidenziando l’aspettativa sociale di un ritorno
dell’autorità come guida.
Ma
tali messaggi sono interpretati, in una logica totalmente autoreferenziale da parte dei ceti dirigenti
come dimostra il sopra riportato dibattito sulla riforma della legge
elettorale. Un modello di governo degli
attuali ceti dirigenti (nazionali ma anche comunitari) espressione di chi vuole
governare senza popolo e quindi senza
politica , come afferma Jacques
Ranciere in “L’odio per la democrazia” : “dichiarandosi
semplici gestori delle ricadute locali e
della necessità storica mondiale i nostri governi si industriano a eliminare il
supplemento democratico: inventando istituzioni sovra statali non
responsabili direttamente verso il popolo, depoliticizzando le questioni politiche sistemandole in luoghi non
luoghi che non lasciano spazio alla invenzione democratica di luoghi polemici “; “così
“ conclude lo studioso francese “ le
elite statali e i loro esperti possono intendersela tranquillamente tra loro”.
L’analisi
di Ranciere , che condivido pienamente, spiega l’accanimento verso un ruolo
attivo delle comunità locali dimostrato in questi anni dai governo nazionali ma
spesso anche locali.
DEMOCRAZIA DEI
CITTADINI – RUOLO DEL LOCALE – PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ
Tutto
ciò dimostra la assoluta necessità che il tema del recupero della
rappresentanza entri nel dibattito della riforma
istituzionale compreso quello sulla
riforma delle competenze stato regioni. Esiste una esigenza di definire meglio
la ripartizione delle competenze ma questo non può passare attraverso un nuovo
centralismo statalista; centralismo che
rimuove una questione fondamentale che emerge da tutti gli studi sui conflitti
ambientali compresi quelli da fonte confindustriale[3] e cioè che la centralizzazione delle decisioni rimuovendo il livello locale del
consenso rimuove anche la concertazione del costo
sociale e la sua inclusione tra i costi tecnici di realizzazione di un’opera,
quale questione fondamentale per prevenire i conflitti
Anche
in questo caso i principi che soccorrono sono quelli della sussidiarietà orizzontale
e verticale previsti dal Trattato UE (articolo 5) e dalla nostra Costituzione
(articolo 118).
In
particolare una applicazione specifica della sussidiarietà è nel principio di
correzione alla fonte dei danni ambientali (paragrafo 2 articolo 174 Trattato)
la cui applicazione richiede infatti la necessità di chiarire il livello
istituzionale adeguato per garantire la tutela necessaria per impedire un danno all’ambiente o un’ impoverimento
potenziale delle sue risorse ( vedi sentenza Corte di Giustizia del 9/7/1992 causa C-2/1990). Correzione alla fonte richiede in
particolare un legame con concetti e
strumenti quali quello di norma di qualità ambientale, di specificità
del sito più che di standard di emissioni astratti slegati dalle specificità
territoriali e/o locali nonché del ciclo produttivo interessato.
Ecco
che strumenti di governo delle politiche ambientali, decentramento delle
decisioni, prevenzione dei conflitti attraverso il coinvolgimento, informato
delle comunità locali, si tengono insieme ……….. quanta distanza dal dibattito
che gira in Parlamento sulla riforma elettorale in questi giorni!
[2] Scienza, precauzione,
innovazione http://www.reteambiente.it/repository/normativa/17907_rapportoeea_completo.pdf
[3]: "Il punto è la qualità dei
progetti: le opere vanno spesso a gara con informazioni e dati insufficienti
per una valutazione corretta di costi e benefici da parte della collettività e
una analisi tecnico amministrativa carente. Le amministrazioni tendono a
risparmiare sulle indagini preliminari ma poi si ritrovano davanti criticità
realizzative e contenziosi. La questione del consenso si potrebbe risolvere se
solo si informasse al meglio la popolazione e le si desse la opportunità di
esprimersi in merito". vicepresidente di Confindustria per Infrastrutture - Logistica – Mobilità –
Corriere della Sera 13 gennaio 2009
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