La Cassazione in sede
penale con sentenza n° 14246 del 11
maggio 2020 (QUI) è intervenuta sulla questione della applicabilità delle sanzioni
penali in materia di divieto di caccia, previste dalla normativa sulle aree
protette (QUI) e sulla
caccia (QUI),
anche ai siti di tutela della biodiversità: zone umide, le zone di protezione
speciale, le zone speciali di conservazione ed altre aree naturali protette
così come disciplinate dalle Direttive 1992/43/CEE (QUI)
e 79/409/CEE (QUI)
e norme nazionali attuative.
IL DIVIETO DI
CACCIA NEI PARCHI E AREE PROTETTE NAZIONALI
E REGIONALI
1.
secondo le lettera a) ed f) comma 3 dell’articolo 11 legge 394/1991 (aree protette) è fatto
divieto:
“a) la cattura, l'uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie
animali;…
f) l'introduzione,
da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura,
se non autorizzati;…”
2.
secondo il comma 6 articolo 22 legge 394/1991: “6. Nei parchi
naturali regionali e nelle riserve naturali regionali l'attività venatoria è
vietata, salvo eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi
necessari per ricomporre squilibri ecologici. Detti prelievi ed abbattimenti
devono avvenire in conformità al regolamento del parco o, qualora non esista,
alle direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza
dell'organismo di gestione del parco e devono essere attuati dal personale da
esso dipendente o da persone da esso autorizzate”.
3.
secondo la lettera b) comma 1 articolo 21 legge 157/1992: “b) l'esercizio venatorio nei parchi nazionali, nei parchi naturali
regionali e nelle riserve naturali conformemente alla legislazione nazionale in
materia di parchi e riserve naturali. Nei parchi naturali regionali costituiti
anteriormente alla data di entrata in vigore della legge 6 dicembre 1991, n.
394, le regioni adeguano la propria legislazione al disposto dell'articolo 22,
comma 6, della predetta legge entro il 1 gennaio 1995, provvedendo nel
frattempo all'eventuale riperimetrazione dei parchi naturali regionali anche ai
fini dell'applicazione dell'articolo 32, comma 3, della legge medesima;”.
4.
secondo la lettera c) comma 1 articolo 21 legge 157/1992 (legge quadro caccia): “c) l'esercizio venatorio nelle oasi di protezione e nelle zone di
ripopolamento e cattura, nei centri di riproduzione di fauna selvatica, nelle
foreste demaniali ad eccezione di quelle che, secondo le disposizioni
regionali, sentito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica,
non presentino condizioni favorevoli alla riproduzione ed alla sosta della
fauna selvatica;”.
SANZIONI PENALI PER VIOLAZIONE DIVIETO
CACCIA NELLE AREE PROTETTE
Secondo il comma 1
articolo 30 sempre della legge 394/1991 chi viola il suddetto divieto è: “punito con l'arresto fino a sei mesi o con
l'ammenda da lire duecentomila a lire venticinquemilioni. Le pene sono
raddoppiate in caso di recidiva.”.
La Cassazione nella
sentenza in esame ricorda inoltre che l’articolo 30 suddetto: “…sanziona altresì penalmente, da un lato, la
violazione delle misure di salvaguardia adottate, ai sensi dell’art. 6, con
riguardo alle aree da proteggere di nuova individuazione, misure efficaci sino
alla formale istituzione dell’area (art. 6, comma 2) ed eventualmente anche
successivamente sino all’entrata in vigore della disciplina specifica di
ciascuna area protetta (art. 8, comma 5); d’altro lato, una volta istituite le
aree e prima dell’approvazione del relativo regolamento, si prevede altresì tutela
penale per la violazione dei divieti previsti dall’art. 11 della legge (art. 6,
comma 4).”.
SANZIONI PER VIOLAZIONI DEL DIVIETO DI
CACCIA ESTENDIBILI ALLE AREE PROTETTE DIVERSE DAI PARCHI NAZIONALI
Secondo il comma 7
articolo 30 legge 394/1991 le sanzioni penali per violazioni del divieto di
caccia: “…si applicano anche nel caso di violazione
dei regolamenti e delle misure di salvaguardia delle riserve naturali statali.”.
Non solo ma in relazione
alle aree protette regionali il comma 8 articolo 30 legge 394/1991 prevede che le sanzioni penali per violazione
del divieto di caccia: “…si applicano
anche in relazione alla violazione alle disposizioni di leggi regionali che
prevedono misure di salvaguardia in vista della istituzione di aree protette e
con riguardo alla trasgressione di regolamenti di parchi naturali regionali.”.
AREE PROTETTE E SITI DI
TUTELA DELLA BIODIVERSITÀ
La sentenza della
Cassazione ricorda che il concetto di "aree naturali protette" è più
ampio di quello comprendente le categorie dei parchi nazionali, riserve
naturali statali, parchi naturali interregionali, parchi naturali regionali e
riserve naturali regionali, in quanto ricomprende anche le zone umide, le zone
di protezione speciale, le zone speciali di conservazione ed altre aree
naturali protette , così come confermato
dalle seguenti sentenze della Cassazione: Sez. 3, n. 14488 del
28/09/2016, Sez. 3 n. 44409 del 07/10/2003.
Non solo ma la Deliberazione Ministero Ambiente del 2
dicembre 1996 (QUI)
all’articolo 1 classifica come aree
protette ai sensi della legge 394/1991 anche:
“f)
zona umida di
importanza internazionale (ai
sensi della convenzione di
Ramsar, di cui al
decreto del presidente
della Repubblica n. 448 del 13 marzo 1976);
g) zona di protezione
speciale (ZPS), (ai
sensi della direttiva 79/409/CEE
concernente la conservazione degli uccelli selvatici);
h) zona speciale di
conservazione (ZSC), (ai sensi della
direttiva 92/43/CEE relativa alla
conservazione degli habitat
naturali e seminaturali e della
flora e della fauna selvatiche);”.
CONDIZIONI PER APPLICARE IL DIVIETO DI
CACCIA NEI SITI PER LA TUTELA DELLA BIODIVERSITÀ
1. Non esiste un divieto assoluto di caccia nei siti di
tutela della biodiversità
Il Decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare 17 ottobre 2007 “Criteri minimi
uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali
di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS)” (QUI),
non prevede, tuttavia, il divieto
assoluto di caccia nei siti stessi né, conseguentemente, il divieto di
introdurvi armi.
L’art. 5 del decreto,
infatti, demanda a regioni e province autonome di prevedere divieti parziali all’esercizio
dell’attività venatoria anche per le ZPS, quindi in queste aree saranno le
Regioni a regolamentare il divieto di caccia che invece per i parchi nazionali
è assoluto e per i parchi regionali è ammesso solo in relazione al prelievo
selettivo.
2. Il divieto di caccia, nei siti di tutela della
biodiversità, si applica secondo la regolamentazione regionale
Quindi secondo la sentenza della Cassazione in
generale: “Stante anche la necessità
del rispetto del principio di tassatività che vige in materia penale, la
conseguenza – a parere del Collegio – è che non siano nella specie applicabili
le sanzioni penali previste, nei soli casi più sopra individuati, dall’art. 30
l. 394/1991”.
Aggiunge però la Cassazione che, nel caso
esaminato, l’ordinanza della Regione impugnata attesta che: “… l’art. 14 del calendario venatorio regionale
2019/2020, salvo eccezioni che nel caso di specie non rilevano, vieta
espressamente l’attività venatoria nel sito protetto in cui il ricorrente è
stato sorpreso.”; quindi aggiunge la
Cassazione: “sussiste il fumus del reato
di cui all’art. 30, comma 1, lett. d, in relazione al divieto posto dall’art.
21, comma 1, lett. b) e/o c), l. 157/1992, dovendo ritenersi che le suddette
aree protette rientrino nel concetto di parchi
naturali regionali o riserve naturali in
cui, conformemente alla disciplina in materia, è vietata la caccia, o,
quantomeno, nelle oasi di protezione”.
3. La tabellazione dei perimetri delle aree protette ai
fini della applicazione del divieto di caccia non serve ex lege solo per i
parchi nazionali
Secondo la sentenza della
Cassazione in esame: “solo i parchi
nazionali, essendo stati istituiti e delimitati con appositi provvedimenti
pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, non necessitano della tabellazione
perimetrale prevista dall’art. 10 della legge n. 157 del 1992 al fine di
individuarli come aree in cui non si può svolgere l’attività venatoria,
gravando in tal caso su chi esercita la caccia l’individuazione dei confini
dell’area protetta all’interno della quale si configura il reato di cui
all’art. 30, comma 1, lettera d), della richiamata legge n. 157;”.
4. La prova della conoscenza della tabellazione
perimetrale nei parchi non nazionali
Secondo la sentenza della Cassazione in esame: “la prova della conoscenza deve risultare in base ad elementi di fatto quali, esemplificativamente, la conoscenza della zona dovuta al dimorare nella medesima o in luoghi prossimi ad essa, l’abituale esercizio della caccia in quei siti, la preesistenza di cartelli successivamente rimossi o danneggiati, magari proprio per eludere il divieto normativo e, in genere, le peculiari modalità dell’azione…”.
Secondo la sentenza della Cassazione in esame: “la prova della conoscenza deve risultare in base ad elementi di fatto quali, esemplificativamente, la conoscenza della zona dovuta al dimorare nella medesima o in luoghi prossimi ad essa, l’abituale esercizio della caccia in quei siti, la preesistenza di cartelli successivamente rimossi o danneggiati, magari proprio per eludere il divieto normativo e, in genere, le peculiari modalità dell’azione…”.
Nel caso esaminato dalla
sentenza della Cassazione: “l’ordinanza
reputa sussistente la prova della conoscenza in base al fatto che la perimetrazione
della zona ZPS in cui la caccia era vietata risultava dalla cartografia
pubblicata sul sito Internet richiamato nel piano venatorio faunistico
regionale…”.
Nessun commento:
Posta un commento