mercoledì 3 giugno 2020

Informazione e diritto dei cittadini di impugnare decisioni in materia di VIA e tutela delle acque


La Corte di Giustizia, con sentenza 28 maggio 2020  causa C535/18 (QUI), interviene sulla interpretazione di due articoli della Direttiva  quadro sulla VIA (Direttiva 2011/92/UE - [NOTA 1]):
-        articolo 6 sul dovere di consultazione del pubblico nel procedimento di VIA
-          articolo 11 sul dovere degli stati membri di mettere il pubblico in condizione di ricorrere ad organo giurisdizionale contro decisioni sulla VIA ritenute lesive di un loro diritto

La sentenza interpreta anche la Direttiva quadro sulla tutela delle acque 2000/60/CE [NOTA 2] in relazione al rispetto degli obiettivi ambientali per impedire il deterioramento delle acque superficiali  e sotterranee secondo l’articolo 4 di detta Direttiva.

La sentenza affronta una serie di questioni pregiudiziali [NOTA 3] sollevate dal giudice nazionale (il caso nasce in Germania) che si descrivono di seguito distintamente compresa la decisione interpretativa della Corte di Giustizia:
 

PRIMA QUESTIONE PREGIUDIZIONALE: “Se l’articolo 11, paragrafo 1, lettera b), della direttiva [2011/92] debba essere interpretato nel senso che sia ad esso conforme una norma nazionale, in base alla quale un ricorrente, che non sia un’associazione ambientalista riconosciuta, possa agire ai fini dell’annullamento di una decisione per vizi procedurali nel solo caso in cui il vizio gli abbia impedito la partecipazione, prevista dalla legge, al processo decisionale.”
Oggetto della controversia nazionale è in relazione alla decisione di approvare un tratto di  autostrada. In tale processo decisionale è risultato che prima dell’adozione della decisione controversa, nessuna documentazione concernente l’impatto del progetto sulle acque e il rispetto degli obblighi derivanti, in particolare, dall’articolo 4 della direttiva 2000/60 è stata resa accessibile al pubblico.  Neppure sono stati resi pubblici i controlli sui corpi idrici interessati dal progetto svolti prima della decisione. Al contempo rileva il giudice nazionale che la decisione finale, nonostante dette lacune procedurali, ha comunque rispettato l’articolo 4della Direttiva 2000/60 imponendo limiti di tutela dei corpi idrici.
Quindi, conclude la Corte di Giustizia UE sulla prima questione pregiudiziale, occorre rispondere alla prima questione sollevata dichiarando che l’articolo 11, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/92 deve essere  interpretato nel senso che consente agli Stati membri di prevedere che, qualora un vizio procedurale che inficia la decisione di autorizzazione di un progetto non sia tale da modificarne il senso, la domanda di annullamento di tale decisione sia ricevibile soltanto se l’irregolarità di cui trattasi abbia privato il ricorrente del suo diritto di partecipare al processo decisionale in materia ambientale, garantito dall’articolo 6 di tale direttiva.


SECONDA QUESTIONE PREGIUDIZIALE: “se l’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/60 debba essere interpretato nel senso che osta a che il controllo del rispetto degli obblighi da esso previsti possa intervenire soltanto dopo che il progetto è stato autorizzato.”
La Corte di Giustizia ricorda che risulta che, nel corso della procedura di autorizzazione di un  progetto, e quindi prima dell’adozione della decisione, le autorità competenti sono tenute, in forza dell’articolo 4 della direttiva 2000/60, a controllare se tale progetto possa comportare effetti negativi sull’acqua che siano contrari agli obblighi di impedire il deterioramento e di migliorare lo stato dei corpi idrici superficiali e sotterranei. Tale disposizione osta, di conseguenza, a che un siffatto controllo intervenga soltanto dopo tale momento. Quindi, conclude la Corte di Giustizia sulla seconda questione, l’articolo 4 della direttiva 2000/60 deve essere interpretato nel senso che osta a che l’autorità competente effettui il controllo del rispetto degli obblighi da esso previsti, tra i quali quello di impedire il deterioramento dello stato dei corpi idrici, sia superficiali sia sotterranei, interessati da un progetto, soltanto dopo l’autorizzazione dello stesso.


TERZA QUESTIONE PREGIUDIZIALE: “Se del caso, il giudice del rinvio chiede inoltre se l’articolo 6 della direttiva 2011/92 debba essere interpretato nel senso che le informazioni da mettere a disposizione del pubblico nel corso della procedura di autorizzazione di un progetto debbano sempre includere documenti che comportano un esame di tale progetto alla luce degli obblighi stabiliti dalla direttiva 2000/60.”
La Corte di Giustizia sul punto ricostruisce il principio fondante della procedura di VIA: valutare preventivamente gli impatti di un progetto prima della decisione. Al contempo ricorda come queste elementi di valutazione preventiva debbano essere messi a disposizione del pubblico. Afferma sul punto la Corte  che, in forza della direttiva 2011/92 e, in particolare, dei suoi articoli 3, 5 e 6, le informazioni messe a disposizione del pubblico a fini di consultazione prima dell’autorizzazione di un progetto devono contenere i dati necessari alla valutazione dell’impatto di quest’ultimo sulle acque alla luce dei criteri e degli obblighi previsti, segnatamente, all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2000/60.  Inoltre, se è vero che dagli articoli 5 e 6 della direttiva 2011/92 non può desumersi che i dati che consentono di valutare l’impatto di un progetto sull’acqua debbano necessariamente figurare in un solo documento, come una relazione o uno studio tecnico, il pubblico interessato, come richiesto dall’articolo 6, paragrafi 4 e 6, di tale direttiva, deve avere la possibilità effettiva di partecipare al processo decisionale e di prepararsi debitamente a tal fine. Pertanto, occorre che gli elementi del fascicolo messo a disposizione del pubblico consentano a quest’ultimo di ottenere una visione precisa dell’impatto del progetto di cui trattasi sullo stato dei corpi idrici interessati, affinché esso possa verificare il rispetto degli obblighi derivanti, in particolare, dall’articolo 4 della direttiva 2000/60. In particolare, i dati forniti devono essere tali da far apparire se, alla luce dei criteri stabiliti da tale direttiva, il progetto in questione possa comportare un deterioramento di un corpo idrico. In ogni caso, un fascicolo incompleto o dati ripartiti, senza coerenza, in una moltitudine di documenti non sono tali da consentire al pubblico interessato di partecipare utilmente al processo decisionale e, pertanto, non soddisfano i requisiti derivanti dall’articolo 6 della direttiva 2011/92. Inoltre, conformemente all’articolo 5, paragrafo 3, lettera e), di tale direttiva, spetta al committente redigere una «sintesi non tecnica» delle informazioni di cui alle lettere da a) a d) di tale paragrafo 3, il che include i dati necessari per individuare e valutare i principali effetti che il progetto può avere sull’ambiente. Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera a), di detta direttiva, anche tale sintesi deve essere messa a disposizione del pubblico. 
Quindi conclude la Corte di Giustizia, sulla terza questione pregiudiziale, l’articolo 6 della direttiva 2011/92 deve essere interpretato nel senso che le informazioni da mettere a disposizione del pubblico nel corso della procedura di autorizzazione di un progetto devono includere i dati necessari al fine di valutare l’impatto di quest’ultimo sull’acqua alla luce dei criteri e degli obblighi previsti, segnatamente, all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2000/60. 


QUARTA QUESTIONE PREGIUDIZIALE: “ il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2000/60, letto alla luce dell’articolo 19 TUE e dell’articolo 288 TFUE, debba essere interpretato nel senso che i membri del pubblico interessato da un progetto devono poter far valere, dinanzi ai giudici nazionali competenti, la violazione degli obblighi di impedire il deterioramento dei corpi idrici e di migliorarne lo stato”.
La Corte di Giustizia conclude sulla quarta questione pregiudiziale che l’articolo 1, primo comma, lettera b), e secondo comma, primo trattino, nonché l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2000/60, letti alla luce dell’articolo 19 TUE e dell’articolo 288 TFUE, devono essere interpretati nel senso che i membri del pubblico interessato da un progetto devono poter far valere, dinanzi ai giudici nazionali competenti, la violazione degli obblighi di impedire il deterioramento dei corpi idrici e di migliorare il loro stato, se tale violazione li riguarda direttamente.

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