Il Consiglio di Stato con
sentenza n°1004 pubblicata lo scorso 10
febbraio (QUI)
ha ribadito in modo ancor più chiaro che la VIA c.d. ex post o postuma si
applica non solo agli impianti esistenti ma anche a quelli già autorizzati e in
corso di realizzazione. Vediamo come, anche alla luce della giurisprudenza precedente della Corte di Giustizia UE ...
P.S.
Del tema ho trattato più
volte anche in relazione alle assurde interpretazioni della Regione Liguria che
ritiene (in modo totalmente illegittimo) che essendo stata abrogata la norma
della legge ligure sulla VIA che disciplinava la VIA ex post questa non è più
applicabile. Il caso emblematico in Liguria è quello della Italiana coke di Cairo
Montenotte in provincia di Savona di cui ho trattato QUI
, ma anche in Toscana ci sono casi simili come quello della discarica di rifiuti
pericolosi ex cava Fornace in provincia di Massa Carrara QUI.
Più in generale e anche
recentemente la Corte di Giustizia della UE ha confermato la necessità di
applicare la VIA ex-post in tutti i casi in cui un progetto sottoponibile a VIA
non aveva avuto l’applicazione di questa procedura al momento della sua
autorizzazione . Questo obbligo scatta anche per i progetti e impianti che
non avevano avuto la VIA perché all’epoca della loro prima autorizzazione non
era in vigore la normativa europea su questa procedura di valutazione ma che poi erano oggetto di nuove richieste di
autorizzazione per modifiche rispetto all’assetto originario. Sul punto da
ultimo vedi QUI.
Il caso trattato dalla nuova sentenza
del Consiglio di Stato riguarda un impianto di produzione di energia elettrica
alimentato con biomasse solide e combustibile solido secondario (CSS, già CDR,
combustibile derivato dai rifiuti) che aveva
ottenuto le autorizzazioni necessarie alla realizzazione e all’esercizio
dell’impianto (con espressa esenzione dall’obbligo di verifica e Valutazione
d’Impatto Ambientale – VIA, in applicazione dell’allora vigente disciplina
statale e regionale), quando, durante i lavori di costruzione dell’impianto,
sopravveniva la sentenza della Corte di Giustizia
dell’Unione Europea, 23 novembre 2006, in causa C-486/04 (QUI),
con la quale era rilevato un contrasto tra la normativa italiana sulla VIA e la
direttiva comunitaria 85/337/CEE, nella parte in cui la normativa italiana
escludeva dalla VIA gli impianti del tipo in oggetto con capacità superiore a
100 tonnellate al giorno.
La
realizzazione dell’impianto era già in corso ma i lavori sono stati sospesi per
avviare il procedimento di VIA ordinario.
La
sentenza tratta anche altri aspetti che qui non rilevo e che sono consequenziali
all’allungamento dei tempi di realizzazione dell’impianto a causa della
necessità di colmare la grave lacuna procedurale della mancata VIA.
La sentenza in esame afferma, relativamente all'applicazione della VIA ex post che alla data in cui sono
intervenute le due note regionali che chiedevano al gestore dell’impianto di
avviare la procedura di VIA ex post, poi impugnate, la legge statale prevedeva ancora
l’esclusione della procedura di VIA per gli impianti della tipologia di quello in
oggetto, ma i relativi provvedimenti di esenzione ed i provvedimenti
autorizzativi rilasciati in mancanza di Valutazione di Impatto Ambientale erano
da considerare illegittimi per violazione della Direttiva Comunitaria,
definitivamente accertata dalla Corte di Giustizia. In altri termini il fatto che l’impianto sia
autorizzato non sana la mancata applicazione della VIA se non si recupera con la
VIA ex-post.
Il
Consiglio di Stato, nella sentenza in esame, non si limita a citare la normativa comunitaria e la
giurisprudenza della Corte di Giustizia UE ma ricorda anche cosa afferma il
testo unico ambientale al comma 3 dell’articolo 29 DLgs 152/2006 che recita:
“3. Nel caso di progetti a cui si applicano
le disposizioni del presente decreto realizzati senza la previa sotto-posizione
al procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA, al procedimento di VIA
ovvero al procedimento unico di cui all'articolo 27 o di cui all'articolo
27-bis, in violazione delle disposizioni di cui al presente Titolo III, ovvero
in caso di annullamento in sede giurisdizionale o in autotutela dei
provvedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA o dei provvedimenti di VIA
relativi a un progetto già realizzato o in corso di realizzazione, l'autorità
competente assegna un termine all'interessato entro il quale avviare un nuovo
procedimento e può consentire la prosecuzione dei lavori o delle attività a condizione
che tale prosecuzione avvenga in termini di sicurezza con riguardo agli
eventuali rischi sanitari, ambientali o per il patrimonio culturale. Scaduto
inutilmente il termine assegnato all'interessato, ovvero nel caso in cui il
nuovo provvedimento di VIA, adottato ai sensi degli articoli 25, 27 o 27-bis,
abbia contenuto negativo, l'autorità competente dispone la demolizione delle
opere realizzate e il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione
ambientale a cura e spese del responsabile, definendone i termini e le
modalità. In caso di inottemperanza, l'autorità competente provvede d'ufficio a
spese dell'inadempiente. Il recupero di tali spese è effettuato con le modalità
e gli effetti previsti dal testo unico delle disposizioni di legge relative
alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato approvato con regio
decreto 14 aprile 1910, n. 639.”
Il Consiglio di Stato
riportando il testo del comma di cui sopra aggiunge: “estendendo quindi l’istituto della VIA c.d. postuma agli impianti già
realizzati o in corso di realizzazione”.
La sentenza fa un'altra importante
affermazione per cui essendo: “…il procedimento di VIA
conforme alla normativa comunitaria, ed anzi da questa imposto, la sua pretesa
da parte dell’amministrazione non è qualificabile come illegittima e, pertanto,
produttiva di responsabilità, con conseguente obbligo risarcitorio.”. Come dire quando una
Amministrazione pubblica motivatamente impone l’avvio di una VIA postuma o ex-post
non può certo incorrere in una causa di risarcimento danni per allungamento dei
tempi di realizzazione di un impianto.
Semmai il problema di un eventuale risarcimento si potrebbe
porre non nel caso di imposizione legittima di una procedura di VIA ex-post ma
nel caso del mancato tempestivo
adeguamento della normativa interna alla direttiva comunitaria che ha indotto
una data impresa a fare affidamento sulla legittimità dei provvedimenti di
esenzione dalla VIA.
Infine la sentenza
conferma che la VIA postuma si applica a impianti che non avendo avuto la VIA in fase di autorizzazione iniziale, nel caso in cui presentino una proposta di modifica devono
recuperare la lacuna procedurale con, appunto, la VIA ex post. Qui la sentenza
cita un parere dell’Avvocatura di Stato secondo il quale: “, l’aumento di potenza dell’impianto, l’ha
fatto ricadere nell’ambito applicativo della summenzionata procedura”.
Concludendo, la sentenza del
Consiglio di Stato e la norma nazionale (ma abbiamo visto al’inizio del post
anche la giurisprudenza comunitaria) sono chiarissime e si pone per l’ennesima
volta la domanda perché la Regione Liguria continua a sostenere che la VIA ex
post non è più applicabile perché non esiste una normativa nazionale e
regionale che la disciplini?
P.S.
applicare la VIA ex post non è un orpello formalistico ma vuol dire che l'impianto esistente o in fase di realizzazione che non ha avuto una corretta valutazione di impatto ambientale funzionerà senza avere subito un verifica complessiva dell'impatto che lo stesso ha sull'ambiente circostante e la salute dei cittadini residenti nella zona, a precindere dal fatto che rispetti o meno singole prescrizioni sulle sue emissioni inquinanti. Della serie rispetta i limiti di legge sui singoli inquinanti ma è complessivamente incompatibile con quel sito, ecco la VIA ex post serve proprio ad evitare questo rischio se svolta correttamente!
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