Due
recenti sentenze del Consiglio di Stato
hanno affrontato il tema della legittimazione ad impugnare atti a rilevanza
ambientale da parte di singoli cittadini e/o comitati spontanei quindi non da
associazioni ambientalisti riconosciute.
La prima sentenza riguarda la legittimazione, di un gruppo di cittadini non residenti
nel Comune di interessato e relativo comitato spontaneo, ad impugnare l’autorizzazione
integrata ambientale per l'esercizio della piattaforma per il trattamento di
rifiuti mediante la termovalorizzazione con il recupero di energia.
La seconda sentenza riguarda le modalità di dimostrazione del danno subito al fine di
legittimare, da parte di cittadini residenti nel Comune interessato, le
autorizzazioni di un forno crematorio.
LA QUESTIONE DELLA
RESIDENZA DEI CITTADINI RICORRENTI
Secondo
il Consiglio di Stato (sentenza n° 2466 pubblicata lo scorso 17
aprile - QUI)
il terzo interessato, nel caso specifico un gruppo di cittadini residenti in
Comune limitrofo a quello dove deve essere collocato l’impianto, può agire in
giudizio alle seguenti condizioni:
1. non come se fosse titolare di
una frazione dell'interesse pubblico, bensì quale individuo titolare di una
posizione differenziata e qualificata, rispetto alla quale deve essersi
prodotta una lesione potenziale (pericolo di danno) o effettuale (danno), il
cui onere di allegazione e di prova incombe, secondo le regole ordinarie, su
colui che afferma il fatto costitutivo del danno ingiusto (si veda anche: Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza n. 5269/2019 - QUI; Consiglio di Stato Sezione IV, sentenza n.
5229/2019 - QUI).
I ricorrenti
quindi devono fornire prova almeno in termini di principio del danno ambientale
e/o sanitario o alla loro proprietà potenziale.
2. Tale onere -trattandosi di
soggetti che agiscono uti singuli ( a titolo individuale) ed a
tutela di un interesse proprio- va soddisfatto in termini rigorosi, implicando
il dovere di allegare e di provare in qual modo (sul piano del nesso di
causalità) ed in quale misura (ai fini della quantificazione del pregiudizio
subito) si sia verificata una lesione alla propria sfera personale (salute) e
patrimoniale (proprietà) o sussista un concreto rischio che tale lesioni si
determini.
COME DEVE ESSERE DIMOSTRATO IL POTENZIALE
DANNO PER LEGITTIMARE LA IMPUGNAZIONE
La seconda sentenza Consiglio di Stato n° 2176 , pubblicata IL 2 aprile 2019 QUI,
chiarisce meglio come il danno ambientale, sanitario e
alle proprie proprietà debba essere dimostrato ai fini della legittimazione ad
impugnare atti a rilevanza ambientale (nel caso di specie la autorizzazione ad
un forno crematorio).
La sentenza quindi costituisce
specificazione di quanto affermato dalla sentenza precedente del 2020 sopra
analizzata e vale sia che i ricorrenti siano residenti che non dal punto di
vista della dimostrazione del danno subito ai fini della legittimazione ad
impugnare.
Secondo la sentenza la
legittimazione ad agire contro provvedimenti di approvazione di progetti di
opere ed impianti potenzialmente impattanti sul territorio, dal punto di vista
ambientale, urbanistico e paesaggistico non richiede una dimostrazione puntuale
della concreta dannosità dell’impianto che, in quanto ancora da realizzare si
tradurrebbe in una prova di carattere diabolico, ma anche soltanto una
prospettazione plausibile delle ripercussioni negative (da ultimo in questo
senso vedi le seguenti sentenze del Consiglio di Stato: 1 marzo 2019, n. 1423 -
QUI;
24 maggio 2018, n. 3109 - QUI
; 28 luglio 2015, n. 3711 QUI
; 23 marzo 2015, n. 1564 – QUI
; 31 maggio 2012, n. 3254 - QUI).
Nell’ambito dell’indirizzo giurisprudenziale ora richiamato si è evidenziato
che irrigidimenti sul piano probatorio in simili fattispecie potrebbe
vanificare la tutela giurisdizionale, con violazione dei principi
costituzionali sanciti dall’art. 24 [NOTA 1] e
113 [NOTA 2] della Costituzione.
Aggiunge la sentenza qui esaminata: Non va infatti dimenticato che la legittimazione ad agire costituisce una condizione dell’azione giurisdizionale e che pertanto pretendere ai fini della dimostrazione di essa una prova effettiva del danno prospettato si traduce nell’errore di sovrapporre un accertamento proprio del merito, eventualmente rilevante per fare emergere le illegittimità dedotte dei provvedimenti abilitativi impugnati e/o ai fini del risarcimento del danno. Se dunque nell’ambito del doveroso accertamento della legittimazione, finalizzato ad evitare che sia consentito l’accesso in giudizio di soggetti portatori di interessi di mero fatto, può esigersi una prospettazione plausibile dei pregiudizi potenziali di un impianto solo progettato, alla luce della sua collocazione territoriale e delle sue caratteristiche tecniche e funzionali, non può invece pretendersi una dimostrazione puntuale dei danni da esso in ipotesi derivanti.
Aggiunge la sentenza qui esaminata: Non va infatti dimenticato che la legittimazione ad agire costituisce una condizione dell’azione giurisdizionale e che pertanto pretendere ai fini della dimostrazione di essa una prova effettiva del danno prospettato si traduce nell’errore di sovrapporre un accertamento proprio del merito, eventualmente rilevante per fare emergere le illegittimità dedotte dei provvedimenti abilitativi impugnati e/o ai fini del risarcimento del danno. Se dunque nell’ambito del doveroso accertamento della legittimazione, finalizzato ad evitare che sia consentito l’accesso in giudizio di soggetti portatori di interessi di mero fatto, può esigersi una prospettazione plausibile dei pregiudizi potenziali di un impianto solo progettato, alla luce della sua collocazione territoriale e delle sue caratteristiche tecniche e funzionali, non può invece pretendersi una dimostrazione puntuale dei danni da esso in ipotesi derivanti.
LA LEGITTIMAZIONE EX LEGE DELLE ASSOCIAZIONI
RICONOSCIUTE DAL MINISTERO DELL’AMBIENTE
Ovviamente i limiti visti sopra in
relazione alla residenzialità dei ricorrenti non si applicano sicuramente
quando a ricorrere sono le associazioni ambientaliste riconosciute ex lege dal
Ministero dell’Ambiente
Si veda a titolo di esempio la sentenza
del TAR Sicilia (PA) Sez. I n. 2233 del 23 settembre 2019 - QUI, secondo la quale l’associazione
ambientalista è pacificamente legittimata ad agire in giudizio non solo per la
tutela degli interessi ambientali “in senso stretto” ma anche per quelli
ambientali “in senso lato”, comprendenti, cioè, la conservazione e
valorizzazione dell'ambiente in senso ampio, del paesaggio urbano, rurale,
naturale nonché dei monumenti e dei centri storici, intesi tutti quali beni e
valori idonei a caratterizzare in modo originale, peculiare ed irripetibile un
certo ambito geografico territoriale rispetto ad altri, atteso che la
legittimazione ad agire della stessa discende direttamente dalla legge e resta in capo all'ente di carattere
nazionale accreditato in sede ministeriale, ai sensi dell'art. 13 [NOTA 3],
Legge 8 luglio 1986 n. 349.
Articolo 24
Tutti possono agire in
giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi [cfr.
art. 113].
La difesa è diritto
inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non
abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni
giurisdizione.
La legge determina le
condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
Articolo 113
Contro gli
atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale
dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione
ordinaria o amministrativa [cfr. artt. 24
c.1, 103
c.1,2, 125
c.2 ].
Tale tutela
giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di
impugnazione o per determinate categorie di atti.
La legge
determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della
pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge
stessa.
Art. 13. 1. Le associazioni di protezione ambientale a
carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni sono individuate
con decreto del Ministro dell'ambiente sulla base delle finalità programmatiche
e dell'ordinamento interno democratico previsti dallo statuto, nonché della
continuità dell'azione e della sua rilevanza esterna, previo parere del
Consiglio nazionale per l'ambiente da esprimere entro novanta giorni dalla
richiesta. Decorso tale termine senza che il parere sia stato espresso, il
Ministro dell'ambiente decide
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