Il
Secolo XIX di oggi pubblica un paginone sulla vicenda di Piazza Verdi.
Nella
parte finale di uno degli articoli del paginone si traggono però conclusioni
giuridiche che non corrispondono neppure al testo della sentenza del Consiglio
di Stato. Mi riferisco alla natura e
agli effetti legali del tweet del Ministro Bray che avrebbe "convinto" la Soprintendenza a fare
marcia indietro e a sospendere il cantiere.
In
realtà sotto il profilo giurisprudenziale (questo il Secolo XIX curiosamente
non lo scrive) il Consiglio di Stato ha respinto l'appello incidentale del
Comune che chiedeva la riforma della sentenza del TAR Liguria nella parte in
cui non aveva annullato il "famoso"
tweet.
Non
solo,
ma il Consiglio di Stato nella parte finale della sentenza (non citata
curiosamente dall’articolo del Secolo, forse non hanno avuto sufficiente spazio) afferma: “il Collegio
osserva che gli atti dell’autorità politica, limitati all’indirizzo, controllo
e nomina ai sensi del decreto legislativo n.165 del 2001, debbono pur sempre
concretarsi nella dovuta forma tipica dell’attività della pubblica
amministrazione (Cons. Stato, V, 24 settembre 2003, n.5444, Cassazione civile,
sezione II, 30 maggio 2002, n.7913; III, 12 febbraio 2002, n.1970), anche, e a
maggior ragione, nell’attuale epoca di comunicazioni di massa, messaggi,
cinguettii, seguiti ed altro, dovuti alle nuove tecnologie e alle nuove e
dilaganti modalità di comunicare l’attività politica.”
Quindi il Consiglio di Stato sostanzialmente dice che per avere
valore giuridico amministrativo il “tweet” deve tradursi in un atto
amministrativo. È proprio quello che è avvenuto da parte della Direzione
Regionale e della Soprintendenza.
Quindi dove sta il problema?
In realtà se come poi è avvenuto, sotto il profilo giuridico, le
decisioni della Soprintendenza sono risultate illegittime per TAR e Consiglio
di Stato, l’azione del Ministero non è stata oggetto di alcun annullamento
diretto. Questo perché non c’era alcun motivo per farlo, essendo il concetto di
“spia da eccesso di potere”, riferito al tweet di Bray, rimasto allo stato della semplice descrizione
nelle motivazioni del Consiglio di Stato.
In realtà su questo punto voglio svolgere un ragionamento più
articolato sotto il profilo giuridico amministrativo. Per una ragione molto semplice. Ci lamentiamo
sempre che il livello politico non esercita la sua funzione di vigilanza sugli
atti degli organi burocratici che dirige, vigilanza riconosciuta dalla legge
soprattutto ad un Ministro.
Bene in questo caso Bray lo ha fatto, che poi i successivi atti siano
stati dichiarati illegittimi è un altro discorso, ma resta il fatto che il Ministro
ha esercitato un suo potere ex lege come preciso di seguito.
ll Ministro ha sui Beni Culturali
un potere di vigilanza generale di cui all’articolo 18 del Codice.
Questo potere il Ministero ha esercitato segnalando la potenziale lacuna
istruttoria e chiedendo che Direzione Regionale per i Beni
Culturali e Soprintendenza verificassero la fondatezza di tale lacuna. La
potenziale lacuna istruttoria derivava dal mancato svolgimento della procedura
di verifica dell'interesse culturale della piazza nel suo insieme (pertinenze
arboree comprese), procedura che era stata ordinata come "necessaria"
dalla autorizzazione rilasciata nel novembre 2012.
Quindi non può esserci stato nessun atto
del Ministero semplicemente perché gli atti di amministrazione attiva
spettano ai suddetti organi periferici del Ministero attivati da quest’ultimo
proprio esercitando i suoi potere generali di vigilanza.
Affermano gli atti depositati dal Comune nei due processi di fronte al Tar e
al Consiglio di Stato: “Il Ministro non può revocare,
riformare o avocare a se o altrimenti adottare provvedimenti o atti di
competenza dei dirigenti”
Infatti non c’è stato nessun atto del
Ministro, la sospensione del giugno 2013 è arrivata con atti della Direzione
Regionale e della Soprintendenza.
Affermano gli atti depositati dal Comune: “ Sussistono i vizi rubricati poiché la
Direzione Regionale :
- Ha disapplicato l’atto
soprintendentizio di autorizzazione del 6/11/2012 e ne ha disconosciuto e
sospeso gli effetti pur essendo a tal fine incompetente
- Ha ignorato la decisiva circostanza
che nell’autorizzazione del 6/11/2012 la Soprintendenza aveva escluso ogni
valore artistico e storico ai vegetali arborei”
Sul primo
interlinea: La Direzione invita a non procedere ai
lavori in quanto in carenza della procedura di verifica dell’interesse
culturale; invito poi recepito con atto di sospensione da parte della
Soprintendenza. La Direzione Regionale ha esercitato quanto previsto
dalla lettera a) comma 3 articolo 17 del Regolamento di Organizzazione del
Ministero cioè i poteri di direzione, indirizzo,coordinamento, controllo e,
solo in caso di necessità ed urgenza, avocazione e sostituzione, verso le
Soprintendenze.
Sul secondo
interlinea: la autorizzazione del novembre 2012
non cita il filare proprio perché depistata dalla relazione della dott.sa
Ratti e soprattutto dalla mancata procedura di verifica dell’interesse
culturale della piazza non avviata dal Comune nonostante la richiesta contenuta
nella autorizzazione del novembre 2012.
CONCLUSIONI
Quindi il fatto che gli atti della Soprintendenza siano stati
dichiarati illegittimi non inficia minimamente il potere di vigilanza
esercitato dal Ministero ne tanto meno il diritto di agire che avevano
Direzione Regionale e Soprintendenza nel quadro delle conoscenze e della
procedura al momento della sospensione del cantiere nel giugno 2013.
Non è vero
quanto affermato nell’articolo del Secolo che, secondo la sentenza del
Consiglio di Stato : “la Soprintendenza non poteva arbitrariamente cambiare idea solo perché il
ministro si era pronunciato contro il progetto via twitter.”
Non sono
questi i veri motivi che hanno portato il Consiglio di Stato a pronunciarsi a favore
del Comune. I motivi invece sono questi due che riporto sinteticamente:
1. la
Soprintendenza non poteva sospendere il cantiere perché questo non è previsto
dalla legge in caso di mancanza della verifica di interesse culturale ma solo
per mancanza della autorizzazione ai lavori o per mancato rispetto delle prescrizioni
2. il filare
non costituisce parte integrante della definizione storico culturale della
piazza in quanto intervenuto in epoca successiva.
Sulla contraddittorietà di questa tesi del Consiglio di Stato ho
scritto QUI, ma ovviamente conta quello che ha deciso il Consiglio di Stato il
cui giudicato io rispetto nelle sue conseguenze giuridico amministrative anche
se costituisce mio diritto costituzionale criticarne le motivazioni.
Ma questo è altra cosa rispetto a quanto riportato nell’articolo
del Secolo XIX.
Tutto quanto sopra per una lettura corretta dei fatti, degli atti
e della sentenza del Consiglio di Stato.
Resta in tutta questa vicenda la consapevolezza che leggendo
articoli di quotidiani, dichiarazioni di politici e di amministratori e tecnici,
ma anche tutto sommato quelle di molti critici al progetto Buren Vannetti, in nessuno si manifesta la volontà di cogliere il vero nodo
politico della vicenda di Piazza Verdi:
il modo in cui si discutono prima e si decidono poi le scelte rilevanti per la
città (vedi QUI).
Ma figuriamoci se su questo tema si farà mai non dico un paginone ma una riflessione pubblica almeno nelle sedi istituzionali!
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