Il
Consiglio di Stato ha deciso (vedi QUI) sul
progetto di riqualificazione di Piazza Verdi accogliendo in pieno le tesi del
Comune e quindi confermando la sentenza del TAR Liguria ( vedi QUI).
Le
sentenze si rispettano nelle conseguenze giuridico amministrative del giudicato
e questo come dire è ovvio in una democrazia. Allo stesso tempo le sentenze si possono e si
devono criticare nel merito delle motivazioni che stanno alla base del
giudicato ed anche questo è ovvio in una democrazia.
Non
so se, come è stato scritto e detto da qualcuno, la sentenza del Consiglio di
Stato sia una sentenza politica, nel senso “suggerita
dal potere politico amministrativo”. Non sono un dietrologo e neppure un complottista.
Sono abituato ad argomentare nel merito le mie critiche senza nascondermi
dietro a motivazioni di cui non posso fornire prova.
Se
restiamo al merito delle motivazioni posso invece dire che la sentenza del
Consiglio di Stato su Piazza Verdi è CONTRADDITTORIA.
Mi
direte contraddittoria rispetto a cosa?
Rispetto:
1.
agli atti prodotti all’interno del contenzioso iniziato ormai dal 2013;
2.
rispetto a alla ordinanza cautelare dello scorso luglio emanata dalla stessa sezione
del Consiglio di Stato, e scritta dallo stesso relatore della sentenza di
merito;
3.
rispetto alla normativa e ai prevalenti indirizzi della dottrina sull’oggetto
del contendere.
Di
seguito spiegherò perché cercando di usare un linguaggio non troppo tecnico
giuridico in modo da permettere a tutti di comprendere il mio ragionamento.
La
sintesi del mio ragionamento è che era illegittima la autorizzazione del
novembre 2012 ma non la ordinanza che ha sospeso il cantiere ma soprattutto che
per motivare il contrario il Consiglio di Stato è caduto nelle contraddizioni
sopra elencate.
Ma
prima una premessa fondamentale per capire la mia tesi e soprattutto garantire
una lettura oggettiva della mia critica
alla sentenza. ….
LE
CONTRADDIZIONI DELLA SOPRINTENDENZA
Ma,
prima di affrontare le contraddizioni
della sentenza, andiamo a vedere i
limiti del punto di vista e del
comportamento della istituzione che in questa vicenda si è contrapposta al
Comune di Spezia: La Soprintendenza ai Beni Architettonici e
Paesaggistici. Solo affrontando questi
limiti capiremo meglio poi la contraddittorietà delle motivazioni del
Consiglio di Stato e soprattutto questo mi servirà alla fine per analizzare il
punto di vista politico amministrativo ma anche se vogliamo democratico di
questa vicenda: perché senza buona amministrazione la democrazia non può funzionare!
In
epoca non sospetta, e quindi ben prima
di tutte le sentenze e ordinanze di TAR e Consiglio di Stato e pure della ordinanza di sospensione del
cantiere da parte della Soprintendenza, scrissi un post (era il 24 aprile 2013)
così intitolato: “Progetto P.za Verdi: la Soprintendenza in confusione!” (vedi QUI). In
questo post rilevavo due limiti nella
azione della Soprintendenza:
1. il primo non aver
avviato di ufficio la procedura di verifica dell’interesse storico culturale
della Piazza dopo che tale richiesta era stata fatta nella autorizzazione,
della stessa Soprintendenza, del novembre 2012 al progetto di Piazza Verdi
2. il secondo di non aver
valutato con una adeguata istruttoria il progetto prima della autorizzazione a
partire dalla Carta italiana del Restauro (che è contenuta in un atto
ministeriale quindi non è solo un documento culturale)
Questi
due comportamenti furono confermati dalla stessa Soprintendenza in una lettera
sempre dell’Aprile 2013, lettera ovviamente utilizzata anche dal Consiglio di
Stato per condividere le tesi del Comune.
È
indiscutibile che i due limiti della Soprintendenza sopra citati siano in
contraddizione (sotto il profilo comportamentale il primo, sotto il profilo
anche della legittimità il secondo, come vedremo in seguito) con la sospensione
del cantiere decisa poi, successivamente nel giugno 2013, dallo stesso ente sia
pure su invito della Direzione Regionale.
Perché
affermando, ad Aprile del 2013, che non
c’era bisogno della verifica dell’interesse culturale e non avendo valutato
secondo gli indirizzi di legge e delle buone pratiche in materia in modo
adeguato il progetto al momento della Autorizzazione del novembre 2012: la
Soprintendenza ha prodotto una
potenziale carenza o un difetto di motivazione o addirittura una
motivazione contraddittoria nella ordinanza che portò alla sospensione del
cantiere nel giugno 2013.
La
suddetta contraddizione comportamentale della
Soprintendenza è stata quindi l’argomento principale su cui si è fondata la decisione del Consiglio di Stato
nella sentenza di ieri riprendendo quasi in automatico le tesi del TAR Liguria.
Di
questa contraddizione il sottoscritto è stato sempre consapevole (e con lui gli
avvocati delle associazioni appellanti al Consiglio di Stato ovviamente).
Così
sono sempre stato consapevole del fatto che sarebbe stato meglio impugnare, da
parte dei contestatori del progetto Buren Vannetti, la autorizzazione del novembre 2012 proprio
per le due motivazioni sopra esposte che
paradossalmente hanno prodotto poi il presunto (secondo TAR e Consiglio di
Stato) difetto di motivazione della
ordinanza di sospensione del cantiere. Sulla illegittimità del comportamento
della Soprintendenza nel rilascio della autorizzazione ho scritto un post il 14 gennaio 2013 (vedi QUI).
Quindi tutto bene aveva
ragione il Comune?
La domanda è mal posta, occorre un'altra domanda: L’iter istruttorio e gli atti
della Soprintendenza che portarono alla autorizzazione del novembre 2012 erano
legittimi?
A
mio avviso no come ho ampiamente spiegato in tutti i miei post in questi due
anni di vertenza. E questo getta una
luce sinistra su come vengono gestite le pratiche autorizzatorie in materia di
Beni Culturali e Ambientali, ma su questo tornerò nella ultima parte di questo
post quando parlerò di politica, di istituzioni, di modi di decidere e quindi
di democrazia.
Ma
se quegli atti erano illegittimi allora la Soprintendenza aveva, una volta resasi
conto della illegittimità e della carenza istruttoria (collocazione storica del
filare e mancanza della verifica interesse culturale), tutto il diritto in sede
di autotutela rivedere la propria autorizzazione e quindi sospendere il
cantiere.
Quindi
“dato a cesare quello che è di cesare”
cioè le carenze e le contraddizioni della Soprintendenza è qui che si è giocata
la partita legale della vicenda di Piazza Verdi. Vale a dire un comportamento
illegittimo prima della Soprintendenza e poi un ravvedimento riconosciuto dalla
legge, ma che invece secondo il Consiglio
di Stato la legge non riconosceva. In altri termini secondo il Consiglio di
Stato la legge non dava quel potere di “ravvedimento” (leggi autotutela) alla Soprintendenza.
Su
questo punto nascono le, secondo me, clamorose contraddizioni della sentenza
del Consiglio di Stato. Vediamo perché…..
LE
CONTRADDIZIONI DELLA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
La
tesi di fondo del Consiglio di Stato è che:
1. non solo la
Soprintendenza ha avuto un comportamento contradditorio
2. ma addirittura ha
violato la lettera e la ratio dell’articolo 28 del Codice dei Beni Culturali.
Dimostrare
la fondatezza della seconda tesi è fondamentale per poi arrivare alla decisione
favorevole al Comune. Dimostrare il contrario fa crollare tutto l’impianto
motivazionale del Consiglio di Stato. Vediamo perché….
Se fosse dimostrato solo
il comportamento contraddittorio della Soprintendenza questo non inficerebbe
la decisione presa a giugno 2013, perché una volta verificate le carenze
istruttorie (i pini e non solo) sotto il
profilo della definizione dell’interesse culturale e confermato la non volontà
del Comune di sanarle con l’avvio della verifica dell’interesse culturale era
nel potere della Soprintendenza sospendere il cantiere, semmai il problema è
che in quel momento avrebbe dovuto subito avviare di ufficio la verifica di
tale interesse culturale e non richiederlo al Comune, ma questa, diciamo
incongruenza procedurale, non è stata
curiosamente rilevata dal Consiglio di
Stato.
Il Consiglio di Stato
invece
fonda la contestazione dell’atto di sospensione del cantiere da parte della
Soprintendenza unicamente sul fatto che sarebbe in contrasto con l’articolo 28
del Codice dei Beni Culturali. Afferma il Consiglio di Stato nella sua
sentenza: “la ratio dell’articolo 28
prevede la possibilità di adottare misure cautelari o preventive, ma la ratio
della disposizione non può che essere relativa a lavori eseguiti senza
autorizzazione o in difformità della stessa, non già in caso di lavori
autorizzati presupponendo positivamente l’interesse culturale per la mancata
verifica tesa, in ipotesi, a negare tale interesse.”
Non è così!
Non
è cosi la lettera dell’articolo 28 e non è così la ratio (l’interpretazione) di
questo articolo.
Infatti,
come abbiamo sempre rilevato come team dei legali delle associazioni
ambientaliste, il comma 2 dell’articolo
28 del Codice dei Beni recita: “Al
Soprintendente spetta altresì la facoltà di ordinare la inibizione o la
sospensione di interventi relativi alle cose indicate nell’articolo 10, anche
quando per esse non siano ancora intervenute la verifica di cui all’articolo 12
comma 2…”
Ora
tra i beni ex articolo 10 citati nel sopra riportato comma 2 ci sono anche
quelli vincolati ex lege come Piazza Verdi secondo il combinato disposto di
detto articolo 10 con l’articolo 12 del Codice dei Beni Culturali. Ovviamente
la verifica di cui all’articolo 12 citata nel suddetto comma 2 dell’articolo 28
è quella dell’interesse culturale.
Quindi
dalla lettera della legge si
ricavano due elementi cogenti:
1. Anche per i beni
vincolati ex lege può essere disposta con ordinanza la verifica di interesse
culturale
2. La sospensione di
interventi su beni culturali è possibile non solo quando manca la
autorizzazione o è violata la autorizzazione ai lavori della Soprintendenza ma
anche quando manca la verifica dell’interesse culturale.
Quanto
alla ratio dell’articolo anche qui soccorre la migliore dottrina in materia: “’il comma 2 articolo 28 disciplina il potere del soprintendente di
ordinare la inibizione o la sospensione degli interventi relativi a cose di
presumibile interesse culturale per le quali non sia intervenuta la verifica di
interesse culturale per i beni pubblici di cui all’articolo 10 comma 1”
(Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio – ed. Giuffrè 2012 – a cura di A.M.
Sandulli pag. 305).
Non
solo ma sempre a proposito di ratio dell’articolo 28 è chiaro come anche nel
caso di beni vincolati ex lege possa sorgere la necessità di disporre una
verifica di ufficio non solo per dimostrare se il vincolo c’è ma anche per
definirne i contenuti se non sono chiari. Afferma sempre il Codice dei Beni
Culturali ed. Giuffrè pag. 142: “L’espletamento d’ufficio della verifica
è facoltà della autorità ministeriale
che vi darà corso per lo più nei casi in cui stimi di potere pervenire ad un
esito positivo circa la sussistenza dell’interesse culturale ma al contempo
questo ultimo risulti dubbio o comunque opinabile”.
Infine
si sostiene da parte del Comune che comunque la Soprintendenza anche se avesse
questo potere di avviare d’ufficio la verifica dell’interesse culturale ( e ce l’ha ex lege come abbiamo visto sopra), non
avendolo esercitato prima, non poteva
sospendere il cantiere nel giugno 2013.
A supporto di questa tesi il Consiglio di Stato cita la famosa lettera
della Soprintendenza dell’aprile 2013 che ho riportato sopra.
Anche
qui la migliore dottrina smonta la tesi degli avvocati del Comune e del
Consiglio di Stato, afferma infatti il Codice dei Beni Culturale ed. Giuffrè
pagina 142: “la dottrina esclude che l’espletamento di ufficio della verifica dell’interesse
culturale costituisca presupposto
giuridicamente necessario per l’esercizio dei poteri di tutela da pare del Ministero
dei Beni Culturali”. Quindi nel caso di Piazza Verdi la Soprintendenza
poteva benissimo sospendere il cantiere per tutelare il bene culturale senza
avere predisposto ancora la verifica di ufficio ma avendo solo chiesto al
Comune di avviarla!
LE
CONTRADDIZIONI DELLA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO CON LA SUA ORDINANZA
Ma
il Consiglio di Stato nella sua sentenza non solo produce contraddizioni con la
legge e la ratio che la interpreta come ho spiegato sopra, ma risulta in
contraddizioni con un suo atto espresso sulla stessa vicenda e cioè la
ordinanza cautelare dello scorso luglio con la quale veniva sospesa la
efficacia della sentenza del TAR Liguria che aveva dato provvisoriamente ragione
al Comune.
La ordinanza del
Consiglio di Stato (per
il testo vedi QUI) non si limitava ad affermare la esistenza di un potenziale
danno grave irreparabile se i lavori fossero continuati al centro della piazza,
ma affermava alcuni principi di merito
riprendendo molte delle tesi che come ricorrenti abbiamo spesso affermato in
questi mesi.
Gli avvocati del Comune, dopo la pubblicazione della Ordinanza
del Consiglio di Stato, avevano affermato che non esisteva in questo
provvedimento il fumus bonis juris . Ma cosa ci sta dietro
questa formula latina?
Nel procedimento cautelare il provvedimento che
decide sul rilasciare o meno la sospensiva della sentenza di primo grado può
contenere motivazioni, principi che possono o meno contenere questo fumus bonis. Nelle due
interpretazioni con cui viene spiegato il significato di questa formula latina:
1. una è più rigorosa per cui si tratterebbe della
probabilità di accoglimento del ricorso nella udienza di merito ( per capirci
quella dell'8 gennaio che ha poi prodotto la attuale sentenza finale di merito)
2. l’altra meno restrittiva per il quale è sufficiente
una delibazione sulla non infondatezza della impugnazione
Al di la delle prevalenti interpretazioni dottrinarie,
che vi risparmio in questa sede, e che vedono prevalere il primo indirizzo,
resta a livello di giurisprudenza del consiglio di stato la tendenza a
decidere i ricorsi in sede cautelare (le c.d. sospensive) avendo riguardo solo
alla verifica del periculum in mora cioè
del rilevare il potenziale danno grave e irreparabile per gli interessi difesi
da chi chiede la sospensiva.
Ma nel caso della ordinanza su Piazza Verdi, del
luglio 2014, il collegio del Consiglio di Stato non si limitò ad affermare l’esistenza del periculum ma
è entrato anche in questioni squisitamente di merito come quando ad esempio
ha affermato che: “l’autonomia della
verifica del relativo interesse storico e culturale rispetto alla vicenda
autorizzatoria”.
Ora questa affermazione di principio risulta in palese
contraddizione con la sentenza di merito dove si afferma: “in presenza di una regolare autorizzazione
non vi è spazio alcuno per le misure cautelari quali l’ordine di sospensione
dei lavori”. Ma l’ordine di
sospensione dei lavori nasce come abbiamo visto proprio da una non adeguata
verifica dell’interesse culturale che secondo l’ordinanza del Consiglio di Stato del luglio 2014 aveva una
autonomia dalla autorizzazione e che ora invece nella sentenza di merito ha
perso improvvisamente questa autonomia.
Autonomia che sussiste, sotto il profilo dei poteri riconosciuti alla
Soprintendenza, come ho dimostrato in precedenza in questo post analizzando l’articolo
28 del Codice dei Beni Culturali.
Altra contraddizione della sentenza con l’ordinanza la
troviamo con questo principio della ordinanza: “ i provvedimenti impugnati concernono l’intero
assetto architettonico e culturale di Piazza Verdi, e non già il solo
originario filare di pini, nelle more abbattuto;”.
Invece
nella sentenza si afferma che “in modo del tutto contraddittorio nel decreto
soprintendentizio che ha concluso la verifica di ufficio dell’interesse
culturale: il filare alberato dei pini
rivestirebbe interesse culturale non già in considerazione della epoca reale
della sua piantumazione da oltre 70 anni, ma solo se, eventualmente, elemento
riconducibile all’originario impianto della piazza”.
Ma come a luglio il Consiglio di
Stato dice che deve essere valutata l’intera piazza per analizzare la
fondatezza degli atti della Soprintendenza e poi a febbraio (appena 6 mesi dopo)
afferma che è contraddittorio che la Soprintendenza consideri il filare in
rapporto alla intera piazza e non alla età dello stesso?
D’altronde
che il Consiglio di Stato abbia le idee molto confuse (saranno state le feste
natalizie?) si dimostra anche dalle contraddizioni contenute nella stessa
sentenza di merito in due punti diversi.
In un
punto della sentenza di merito il Consiglio di Stato, riprendendo le tesi del
Comune e dei suoi periti e avvocati, si avventura in una valutazione di merito
sulla definizione dell’interesse culturale della piazza, per cui la relazione storica della soprintendenza
allegata al decreto di dichiarazione di
interesse culturale: “non è idonea a sovvertire il giudizio di estraneità dell’alberata al
progetto originario della piazza”. Peccato che qualche riga sopra questa
affermazione la stessa sentenza affermi che il ruolo storico dei filari dei
pini in rapporto alla piazza è: “come noto di regola insindacabile e rimesso
alla discrezionalità tecnica propria della amministrazione preposta alla tutela”,
e chi sarebbe questa Amministrazione preposta? La Soprintendenza ovviamente, ma guarda a volte dove portano le forzature
motivazionali!
CONCLUDENDO GLI
ASPETTI STRETTAMENTI GIURIDICO AMMINISTRATIVI
Appare
chiaro che il Consiglio di Stato se voleva sostenere le tesi del Comune avrebbe
dovuto usare argomenti ben più pregnanti giuridicamente parlando. Non è andata
così e ne prendo atto. Di certo sentenze del genere non fanno bene al rispetto
verso la giustizia da parte dei cittadini. Anzi viene da chiedersi perché,
viste le nette argomentazioni a favore del Comune, il Consiglio abbia sospeso
lo scorso luglio la sentenza del TAR Liguria. Come è noto i giudici nelle udienze
cautelari guardano anche gli atti e pur non decidendo formalmente nel merito si
fanno una idea sulla fondatezza delle tesi delle parti. L’ordinanza cautelare
di luglio come ho già scritto andava in una direzione ben precisa che non era
quella del Comune di Spezia, ma poi si è cambiata idea con motivazioni confuse
e contraddittorie e allora, al di la delle questioni tecnico giuridiche, hanno
ragione a dire molti: che tanto valeva che non sospendessero a luglio facendo
perdere altri 8 mesi di lavori nella parte centrale della Piazza.
I RITARDI NELLA
VICENDA DI PIAZZA DI VERDI SONO RESPONSABILITà DEL COMUNE. A MENO CHE NON SI
VOGLIANO METTERE IN DISCUSSIONE DIRITTI COSTITUZIONALE DEI CITTADINI
Peraltro
sui ritardi in questa vicenda c’è anche una grossa responsabilità del Comune. Infatti,
comunque la si pensi su questa vicenda sia dal punto di vista giuridico che del
progetto contestato, è agli atti che:
1. Se l’Amministrazione Comunale avesse avviato
fin dalla autorizzazione della Soprintendenza (poi revocata) del novembre 2012,
la procedura di verifica dell’interesse culturale, il Ministero e i suoi organi
periferici regionali non avrebbero avuto argomento legali per sospendere il cantiere
nel giugno 2013.
2. Se il Comune era sicuro della legittimità
del suo operato avrebbe dovuto impugnare subito al TAR la sospensione del
giugno 2013, chiedendo subito la sospensiva ed evitando nelle more di
aprire il cantiere. Sarebbero bastate poche settimane.
3. Se la Direttrice delle Istituzioni Culturali
non avesse sbagliato clamorosamente la data di piantumazione del filare dei
pini, la Soprintendenza non avrebbe avuto molti argomenti per poter contestare
il progetto e l’iter della sua elaborazione/approvazione e quindi non avrebbe
potuto utilizzare questo come argomento fondante per la revoca della prima
autorizzazione del novembre 2012.
Questi
sono tutti ritardi che erano evitabili. Non mi si venga a dire che erano
evitabili anche i ritardi prodotti dai ricorsi delle associazioni
ambientaliste. A parte il fatto che gli ambientalisti hanno usato l’arma del
ricorso solo in Consiglio di Stato, la questione è ben altra.
I
ritardi del Comune sono stati dovuti ad errori tecnico amministrativi di amministratori
e politici. I “ritardi” degli ambientalisti non sono ritardi ma esercizio di
diritti costituzionali. Non a caso la
Unione Europea ha approvato da tempo una Direttiva che riconosce e promuove
proprio il diritto all’accesso alla giustizia per tutelare ambiente, salute, territorio e paesaggio ……… o vogliamo arrivare al
punto di eliminare il diritto dei cittadini di ricorrere alle vie legali per
tutelare ambiente e salute? È questo che volete signori Amministratori? È questo
che vuole il Sindaco di Spezia?
Quindi
a tutti ( e sottolineo tutti: politici, avvocati, tecnici, burocrati,
giornalisti, cittadini e liberi pensatori) coloro che nei prossimi giorni
tireranno fuori la questione dei ritardi prodotti dai ricorsi non dimentichino
cosa c’è scritto nella Convenzione sottoscritta dalla UE sulla informazione, partecipazione e accesso alla giustizia da parte del
pubblico: “le procedure che disciplinano i ricorsi giurisdizionali
nazionali contro le decisioni in materia ambientale …. devono offrire rimedi adeguati ed effettivi,
ivi compresi, eventualmente, provvedimenti ingiuntivi, e devono essere
obiettive eque e rapide e non eccessivamente onerose”. paragrafo 4 articolo 9 Convenzione
di Aarhus.
LA POLITICA, LE
ISTITUZIONI, LA DEMOCRAZIA
Ma
comunque la si pensi questa vicenda ha
per l’ennesima volta dimostrato come nel nostro territorio le istruttorie che
portano alle decisioni pubbliche sono svolte in modo confuso, superficiale e spesso contra
legem. Questo aspetto viene completamente sottovalutato da tutti. Io da anni
sostengo che invece andrebbe affrontato con rigore a partire dalla formazione e
dalla cultura della burocrazia pubblica, dal
ruolo di indirizzo dei politici, dal ruolo dei cittadini attivi.
D’altronde
a questa classe politica il modo in cui si decide non interessa minimamente
eppure sta li uno dei vulnus principale alla democrazia rappresentativa
almeno per chi ha ancora a cuore la
democrazia! Ma non certo per la cultura
paramafiosa che alberga nel nostro territorio, vedi QUI.
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