martedì 24 febbraio 2015

Dopo Piazza Verdi: i limiti del dibattito pubblico nelle decisioni a Spezia

Le domande che emergono dalla vicenda di Piazza Verdi, ma lo stesso potremmo dire di altre vicende del passato e del presente spezzino (AIA centrale Enel, discariche di Mangina e ora di Saturnia, attuazione piano regolatore del porto, gestione delle cave, bonifica area ex IP, bonifica sito pitelli) sono le seguenti:

1. come vengono impostate le decisioni in questa città: su quali analisi, dati, bisogni reali dei cittadini e degli interessi che rappresentano?

2. come vengono condotte le istruttorie da parte delle istituzioni competenti, istruttorie che costituiscono poi la sostanza su cui si basano gli atti decisori finali?

3. come e quando viene coinvolto il cittadino direttamente o indirettamente interessato?

4.  come vengono rispettate le norme su accesso, trasparenza da parte delle istituzioni pubbliche. Rispetto di queste norme, inteso, come premessa per consentire un dibattito pubblico informato, consapevole ma soprattutto con i tempi adeguati rispetto ai tempi amministrativi ma anche tecnico economici delle decisioni;

5. i limiti delle istruttorie dipendono da carenze legislative, organizzative, di formazione del personale?

6. gli enti preposti alla vigilanza e prevenzione di illeciti e illegittimità seguono protocolli standardizzati corretti e trasparenti come richiesto dalla normativa europea e nazionale  e soprattutto dalle buone pratiche  italiane ed estere? 



Su ognuno di questi 6 punti, e al di la delle singole questioni di merito, se avessimo una città con una classe dirigente non dico sensibile ma almeno efficiente si sarebbe da tempo sviluppato un dibattito serio.

Il problema è che questa è una città di tifosi.

Tutti si appassionano, come dimostra la vicenda di Piazza Verdi, agli schieramenti pro e contro a certe scelte. 

Quasi nessuno si interessa invece a come funziona il modello di governo che porta alle decisioni.
Che questo limite riguardi il cittadino medio lo posso capire, ma che invece questo limite investa le istituzioni pubbliche  e le forze politiche sia di maggioranza che di opposizione lascia sgomenti.

Quella che viene rimossa  completamente è la discussione sulla fase della ponderazione degli interessi  o meglio la fase di valutazione secondo il principio per cui valutare non è decidere ma mettere il decisore nelle condizioni di  definire scelte nel massimo interesse generale e soprattutto trasparenti e partecipate.
Qui si gioca la partita della democrazia oggi, qui si gioca la ricostruzione della fiducia nelle istituzioni, qui si gioca la partita della prevenzione della illegalità e delle illegittimità anche procedurali.

Ma questa partita non interessa a nessuno giocarla almeno fino ad ora. 

Non interessa alla classe dirigente locale perché inserita nel trend nazionale, ma direi ancor di più  comunitario,  per cui il dibattito sui modelli istituzionali di governo interessa solo per renderli adeguati a “sfornare” decisioni preconfezionate da soggetti esterni al circuito democratico, come fossero delle macchine.  
C’è stata una discussione pubblica in città che tenesse conto delle 6 domande sopra elencate, ad esempio:
1. sul volto “modernista” da dare a Piazza Verdi? Su dove indirizzare i finanziamenti europei secondo criteri prioritari ai bisogni censiti adeguatamente
2. su come bonificare l’area ex IP e su cosa fare in quell’area?
3. sulla trasformazione di Acam da una municipalizzata modello ad un carrozzone clientelare?
4. sul nuovo porto commerciale e soprattutto sulla attuazione del Piano Regolatore del porto, per non parlare delle crociere;
5. sulla utilità del parcheggio di Piazza Europa. 
E potrei continuare all’infinito....


Ma questa partita di rinnovare la democrazia e le sue istituzioni, rispondendo alle 6 domande da me poste, diciamo la verità senza ipocrisie, non interessa neppure ai critici del sistema di potere locale. C’è anche nella società civile critica un diffuso disinteresse verso la crisi e la perdita di sovranità delle istituzioni pubbliche come pure di una riorganizzazione delle stesse, come se ci fosse una fuga verso un neocorporativismo comunitario e territoriale anti-istituzionale per principio.  


Insomma siamo sempre di più una democrazia che tende ad assomigliare ad una ferrovia con fermate decise da altri, costi decisi da altri, e chi ha oggi la forza e il coraggio di tirare il freno a mano, per bene che gli vada, resterà a piedi.


L’antidoto a questa degenerazione antidemocratica, se non vogliamo aspettare palingenetiche rivoluzioni europee e/o mondiali,  sta nella capacità di noi cittadini di produrre e valorizzare Intelligenza Territoriale. Sviluppare l'intelligenza territoriale significa, raccogliere informazioni e dati sui diversi processi e fenomeni attivi sul territorio, utilizzare strumenti per la loro analisi e diffusione, con l'obiettivo di accrescere il livello di know-how delle persone e delle organizzazioni presenti sul territorio, e utilizzare questo know-how nella ricerca di strategie per la governance territoriale e lo sviluppo competitivo.

D’altronde questo ruolo di soggetto politico autonomo dei nuovi movimenti della società civile che, per comodità, abbiamo racchiuso dentro la  definizione di CITTADINI ATTIVI & REATTIVI,  è stato recentemente riconosciuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza N. 1/2004  (vedi  QUI).

In particolare la Corte Costituzionale ha ribadito due principi fondamentali contenuti nella nostra Costituzione e che ne dimostrano la attualità soprattutto nella Parte I. 
1.  I partiti e, quindi i rappresentati eletti nei partiti, non acquisiscono ruolo costituzionale
ma sono solo strumenti di  esercizio del diritto di associazione che la costituzione riconosce ai cittadini
2. la sovranità popolare appartiene costituzionalmente ai cittadini anche dopo le elezioni





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