La Provincia spezzina ha
approvato una nuova autorizzazione (QUI) all’impianto di trattamento rifiuti che svolge attività di
messa in riserva con selezione, cernita, recupero stoccaggio di
rifiuti pericolosi in località Cerri di Follo (SP).
La nuova autorizzazione
conferma la capacità di trattamento dell’impianto già autorizzato con Determina
n° 80 del 2008 e successivamente n° 76 del 2015: potenzialità
massima annua di 30.000 tonnellate ed una potenzialità media giornaliera di 100
tonnellate.
Come dovrebbe essere noto
ai signori della Provincia che istruiscono e
prendono le decisioni in materia ambientale: il tipo di autorizzazione e
quindi la procedura che la precede dipendono proprio dal tipo di attività e
dalla quantità dei rifiuti che vengono trattati potenzialmente.
Vista la tipologia
dell’impianto, come sopra riportato in sintesi, possiamo sostenere che la
procedura scelta dalla Provincia non risponda per niente al dettato della
legge, non solo ma non rispetta neppure gli impegni presi pubblicamente non
solo dagli Amministratori Provinciali ma anche da quelli del Comune di Follo
(passata sindacatura) come pure della ditta che gestisce l’impianto in
questione.
Le norme violate riguardano:
1. La mancata
applicazione dell'Autorizzazione Integrata Ambientale
2. La
mancata applicazione della Valutazione di Impatto Ambientale nella forma della
via ex post
3. Il piano
di emergenza esterno obbligatorio per legge da circa due anni al fine di
prevenire incidenti dall’impianto. Impianto incendiatosi più volte fino ad
costringere i residenti ad evacuare le loro abitazioni (QUI,
QUI
e QUI).
4. La
preventiva valutazione di impatto sanitario come previsto da apposita circolare
ministeriale (questi parlano solo di verifiche degli odori e oltretutto non gli
danno neppure prescrizioni specifiche come oggi la legge consentirebbe)
5. Il parere
del Sindaco, previa istruttoria dell’ASL o altra istituzioni competente come
l’Istituto Superiore di Sanità, sulla compatibilità dell’impianto nella attuale
conformazione con il sito in base alla normativa sulle industrie insalubri di
prima classe.
Non solo ma si conferma la
possibilità alla ditta di gestire stoccaggi
e trattamenti nei piazzali antistanti i capannoni dell’impianto. Un
impianto collocato a pochi metri da molte abitazioni civili.
Sul punto ricordo che in
audizione in Comune a Follo (ero presente e ho i verbali completi – VEDI
STRALCIO QUI A FIANCO) la ditta si era impegnata a presentare un progetto per
gestire i rifiuti esclusivamente nei capannoni.
Vediamo quindi tutti i
profili di illegittimità e le carenze istruttorie delle modalità autorizzative
di questo impianto…
1. LA
QUESTIONE DELLA MANCATA APPLICAZIONE DELL’AIA - foto a fianco gennaio 2019
Se andiamo a vedere gli
allegati alla Parte II del DLgs 152/2006 che descrivono l’elenco delle
categorie di impianti sottoponibili, obbligatoriamente ad AIA possiamo notare
che l’impianto in questione sia per il suo ciclo di lavorazione che per le
quantità e tipologia di rifiuti trattabili, rientra pienamente tra quelli
sottoponibili ad AIA.
L’impianto svolge, sotto
il profilo del ciclo di lavorazione, attività di messa in riserva, selezione
cernita recupero e stoccaggio di rifiuti pericolosi e non.
Infatti:
1.
L’impianto rientra sia nella categoria 5.1 dell’allegato VIII alla Parte
II del DLgs 152/2006. Infatti questa categoria fa riferimento sotto il profilo
del ciclo di lavorazione alla attività di recupero dei rifiuti pericolosi . In
particolare nella attività di recupero (allegato C alla Parte IV del DLgs
152/2006) rientra anche la messa in riserva all’interno della quale rientrano
tutte le possibili attività di recupero. Per quanto riguarda la
quantità trattabile il limite è di 10 tonnellate giorno di rifiuti.
2.
L’impianto rientra anche nella categoria 5.3 lettera b) che fa riferimento
alla attività di recupero di rifiuti non pericolosi con capacità superiore a 75
tonnellate giorno.
Ora se le cose stanno così come ho avuto modo di
spiegare più volte l’impianto andrebbe definitivamente fermato, a prescindere dal sequestro attuale che riguarda
solo lo stoccaggio e la lavorazione abusiva nel piazzale antistante l’impianto,
fino al suo adeguamento alla disciplina dell’AIA.
Infatti secondo la
vigente normativa (vigente da anni) i termini per adeguare gli impianti
esistenti all’AIA sono:
a) entro il 7 Settembre 2014 il gestore dell'impianto (ora vengono definiti installazioni) doveva presentare la domanda di AIA
b) entro il 7 luglio 2015 l'Autorità Competente deve rilasciare l'AIA.
a) entro il 7 Settembre 2014 il gestore dell'impianto (ora vengono definiti installazioni) doveva presentare la domanda di AIA
b) entro il 7 luglio 2015 l'Autorità Competente deve rilasciare l'AIA.
La Circolare del
Ministro dell’Ambiente del 17 giugno 2015 e un decreto legge del 4
luglio 2015 hanno chiarito molto bene su come debbano essere
interpretate le date suddette. La Circolare ha chiarito con nettezza che per le
installazioni che non hanno ottenuto l’AIA entro il 7 luglio 2015
(data ormai superata) le autorizzazioni previgenti decadono automaticamente.
Quindi non essendo più autorizzate queste installazioni non devono più
funzionare fino all’adeguamento all’AIA. Il Decreto Legge aveva
ulteriormente precisato che le installazioni suddette potevano continuare
a funzionare a condizione che il gestore (previa verifica della autorità competente
al rilascio dell’AIA) dimostrasse che le autorizzazioni previgenti erano state
sufficientemente aggiornate per garantire il rispetto del titolo III-bis della
Parte II del DLgs 152/2006 cioè della disciplina dell’AIA. N.B. Il
Decreto Legge come da comunicato del Ministero della Giustizia (vedi QUI) non è
stato convertito in legge quindi è decaduto. Ciò è
confermato anche dal comma 3 articolo 1 Legge 6/8/2015
n. 125.
La conseguenza è che, fatti salvi i provvedimenti emessi nel periodo di vigenza del Decreto Legge (nessuno per l’impianto in oggetto), vale solo quanto chiarito nella Circolare sopra riportata secondo la quale le autorizzazioni vigenti degli impianti che non hanno avuto l'AIA entro il 7 luglio 2015 decadono automaticamente alla scadenza di questo termine. Peraltro è noto a tutti come la dimostrazione da parte dei gestori dell’impianto in oggetto di rispettare comunque la disciplina dell’AIA pur non avendo ancora ottenuto questa autorizzazione, non sia mai stata presentata quindi si è violato pure il suddetto Decreto Legge peraltro, come visto sopra, decaduto.
La conseguenza è che, fatti salvi i provvedimenti emessi nel periodo di vigenza del Decreto Legge (nessuno per l’impianto in oggetto), vale solo quanto chiarito nella Circolare sopra riportata secondo la quale le autorizzazioni vigenti degli impianti che non hanno avuto l'AIA entro il 7 luglio 2015 decadono automaticamente alla scadenza di questo termine. Peraltro è noto a tutti come la dimostrazione da parte dei gestori dell’impianto in oggetto di rispettare comunque la disciplina dell’AIA pur non avendo ancora ottenuto questa autorizzazione, non sia mai stata presentata quindi si è violato pure il suddetto Decreto Legge peraltro, come visto sopra, decaduto.
Infine, sul
punto, la infrazione della norma comunitaria dell'AIA, per l'impianto di
Saliceti, risale al 2005 e quindi non è
possibile sanare, la violazione di una norma comunitaria, con una legge
intervenuta quasi 10 anni dopo, legge
che comunque abbiamo visto non c'è più.
A fianco foto come veniva presentato l'impianto in teoria
2. LA RIMOZIONE DELLA VIA EX POST
Come è noto, soprattutto
alla Provincia spezzina, alla Regione e al Comune di Follo, l’impianto
in questione non è mai stato sottoposto ad una procedura di VIA.
L'impianto in questione era, fin dall’inizio (autorizzazione del 2008), ai
sensi delle lettere r) e t) del punto 7 allegato IV alla Parte II del
DLgs 152/2006, sottoponibile quanto meno a procedura di verifica della
applicabilità della VIA ordinaria. A conferma delle
carenze procedimentali e istruttorie nelle procedura di autorizzazione
dell’impianto in oggetto si veda sentenza TAR Liguria n. 975 del 29
settembre 2001 che già all’epoca rilevava: “un difetto di istruttoria” da parte della Regione Liguria nella sua
decisione di escludere l’applicazione della VIA ordinaria
all’impianto in oggetto.
Quindi siamo di fronte
attualmente ad un impianto che ha avuto una nuova autorizzazione (secondo la
Provincia non sostanziale) ma che in realtà doveva andare ad altra
autorizzazione, AIA, come dimostrato sopra. senza che detto impianto abbia mai
avuto una procedura di VIA.
Sul punto la Corte di
Giustizia della UE da anni ha chiarito (da ultimo Corte di Giustizia
sentenza 28 febbraio 2018 causa C117-017 vedi QUI) che in questi casi
l’impianto, di fronte ad una nuova autorizzazione (sia anche un mero rinnovo o
una modifica non sostanziale) deve
espletare una VIA ex post. La ratio della giurisprudenza
comunitaria in materia è quella di evitare che la VIA venga evasa
ulteriormente magari in sede di nuove autorizzazioni e che una
volta applicata la VIA ex post (fino ad allora la mancante) questa rispetti le
finalità della Direttiva comunitaria sulla VIA secondo la quale:
1. La VIA deve valutare preventivamente
l’impatto ambientale di un progetto
2. Per valutare
l’impatto ambientale del progetto occorre considerare tutti i criteri per
misurare tale impatto a cominciare da quello della localizzazione.
a fianco foto sulla vicinanza dell'impianto a residenze civili, rimossa dalle varie autorizzazioni rilasciate in questi anni all'impianto.
Non solo ma la Corte Costituzionale con sentenza n. 209
del 2011 ha affermato due
principi fondamentali in materia di VIA ex post o postuma:
1. la
VIA ex post serve per "vegliare" a che l'effetto utile
della direttiva n. 85/337/CEE sia comunque
raggiunto
2. la
VIA ex post, cioè svolta in occasione del rinnovo della autorizzazione o
concessione di un progetto od opera che in precedenza non aveva avuto la VIA,
deve essere effettuata sempre sull'intera opera o attività e non solo
sulla parte eventualmente modificata del progetto od opera.
Guardate non si tratta di un fatto formale ma
sostanziale.
Il TAR
Toscana (sentenza n. 156 pubblicata il 30 gennaio 2018, QUI) ha
affermato che se la VIA o VINCA (valutazione di incidenza) ex post dimostrino
un rilevante impatto ambientale dell’impianto/progetto esistente si può
arrivare anche ad annullare in sede di autotutela la autorizzazione
allo stesso. Aggiunge il TAR che questo può avvenire solo se si dimostra
l’esistenza di un superiore interesse pubblico (ambientale sanitario) a quello
imprenditoriale nel caso specifico. Questo è possibile (come è
avvenuto nel caso trattato dalla sentenza del TAR Toscana) solo svolgendo una
corretta e completa istruttoria di VIA/VINCA ex post secondo i principi sopra
esaminati.
foto dell'incendio del 16 aprile 2017
3. LA MANCANZA DEL PIANO DI EMERGENZA
ESTERNO
Dai documenti ufficiali
fino ad ora presentati come pure dall’ultima autorizzazione analizzata in
questo post il Piano di emergenza esterno per l’impianto in questione non è stato
presentato.
Dopo l’articolo 26-bis
della legge 132/2018 ha introdotto per i gestori di impianti (esistenti e
nuovi) di stoccaggio e trattamento rifiuti di elaborare Piani di Emergenza
Interni ed Esterni , interviene la Circolare
del Ministero dell’Ambiente N° 2730 DEL 13/2/2019 (QUI).
Il Piano di Emergenza
Interna per gli impianti esistenti deve essere predisposto entro 90
giorni a partire dal 4/12/2018. Per il Piano di Emergenza Esterno una
volta inviati dal gestore al Prefetto i dati utili, quest’ultimo deve redigerlo
entro 12 messi da detto invio.
L’articolo 26-bis rinvia
ad un DPCM la definizione di come redigere i suddetti piani. La Circolare del Ministero Ambiente, in
attesa del DPCM, fornisce le prime indicazioni:
1. sui
dati che i gestori devono fornire ai Prefetti per la elaborazione dei Piani di Emergenza Esterni
2. sui
contenuti minimi dei Piani di Emergenza Interni.
Le previsioni contenute
nel citato art. 26-bis, infatti, sono volte a disciplinare ipotesi di rischio
genericamente individuate, al fine di minimizzare il più possibile i pericoli
per la salute umana e per l’ambiente che possono prodursi per effetto delle
attività che si svolgono nei diversi impianti di gestione dei rifiuti.
foto incendio 5 luglio 2015 (fonte Gazzetta della Spezia)
I gestori sono tenuti ad effettuare una descrizione
dell’impianto fornendo adeguate informazioni tra le altre:
1.Descrizione
dell’attività svolta e dei relativi processi, indicazione del numero degli
addetti;
2. Planimetria
generale dalla quale risultino l'ubicazione dell’attività, il contesto
territoriale circostante, le condizioni di accessibilità all'area e di
viabilità
3. Piante
in scala adeguata degli edifici e delle aree all’aperto utilizzate per le
attività recanti l’indicazione degli elementi caratteristici: layout
dell’impianto, con identificazione delle aree di accettazione in ingresso,
delle aree di stoccaggio e trattamento e degli impianti tecnici, degli uffici e
delle misure di sicurezza e protezione riportate nella relazione tecnica
4. Relazione
tecnica contenente tra l’altro la descrizione delle misure di sicurezza e
protezione adottate, anche in relazione alla gestione dell’impianto
5. Descrizione,
dei possibili effetti sulla salute umana e sull’ambiente che possono
essere causati da un eventuale incendio, esplosione o
rilascio/spandimento;
6. Descrizione
delle misure adottate nel sito per prevenire gli incidenti e per limitarne le
conseguenze per la salute umana, per l'ambiente e per i beni;
Quindi il Piano deve
essere presentato sulla base della Circolare suddetta entro il 4 marzo 2019!
Non solo ma la documentazione allegata alla nuova autorizzazione all'impianto in questione non dimostra di rispettare la Circolare Ministeriale sulla prevenzione incendi per gli impianti rifiuti (vedi QUI)
4. LA PREVENZIONE SANITARIA NON VALUTATA NE
PRIMA NE CON L’ULTIMA AUTORIZZAZIONE
Come abbiamo visto al
punto 3 la questione sanitaria deve essere intanto valutata in riferimento
anche agli eventuali incidenti da prevenire con il Piano di Emergenza Esterno.
Ma la necessità di valutare preventivamente il rischio sanitario di questo
impianto è stata rimossa anche per altri
aspetti:
1. non
andando ad AIA è stato impedita la possibilità di emanare il Parere Sanitario
obbligatorio da parte del Sindaco
2. ma il
Sindaco di Follo poteva da anni usare i poteri di Autorità Sanitaria essendo l’impianto
in questione industria insalubre di prima classe. Poteri mai usati grazie anche
ai deliranti parere della Provincia di Spezia che considera gli impianti
rifiuti non classificabili come industrie insalubri sic!
3. Non avendo
mai avuto una procedura di VIA gli aspetti di compatibilità sanitaria dell’impianto
con il sito in questione non sono mai stati valutati.
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