Con
Delibera della Giunta Regionale Ligure (uscita sul BURL ieri, per il testo completo
vedi QUI),
è stata licenziata, dopo un passaggio in Consiglio Regionale, la proposta di
autonomia per la Regione Liguria in varie materie tra cui l’Ambiente. Si tratta di proposte che in questo delicatissimo
settore hanno i caratteri di forzature costituzionali ma anche di mera
propaganda come descrivo nel post che segue. Occorre però sottolineare da subito che alcune proposte
se passassero produrre una situazione da far west nelle decisioni ambientali regionali come quella sulla definizione di rifiuto.
REGIONALISMO DIFFERENZIATO ALLA BASE DELLA DELIBERA DELLA REGIONE LIGURIA
La richiesta di maggiora autonomia da parte della Giunta regionale ligure nasce dal cosiddetto Regionalismo Differenziato.
Secondo l'articolo 116 della
Costituzione comma 3 sarà possibile che
ciascuna Regione negozi con lo Stato forme particolari di autonomia concernenti :
1. le materie di legislazione concorrente
di cui al comma 3 del nuovo articolo 117
2. le seguenti materie di legislazione esclusiva statale :
organizzazione della giustizia di pace (lettera l comma 2 articolo 117); norme
generali di istruzione (lettera n comma 2 articolo 117) ; tutela dell’ambiente
, dell’ecosistema e dei beni culturali (lettera s comma 2 dell’articolo 117)
Il comma 2 dell’articolo 116 individua
la procedura per ottenere i suddetti ulteriori ambiti di autonomia per le
singole Regioni. In particolare si
prevede che la ulteriore autonomia venga riconosciuta con legge statale su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel
rispetto dei principi di cui all’articolo 119 (tutela delle autonomie locali).
La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti , sulla
base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.[NOTA 1]
ANALISI CRITICA DELLE PROPOSTE DI AUTONOMIA IN MATERIA
AMBIENTALE NELLA DELIBERA DELLA GIUNTA REGIONALE LIGURE
Di seguito in rosso e nei riquadri le proposte di
autonomia contenute nella DGR 181/2019 e in nero la mia analisi critica
Valutazione di Impatto Ambientale e
Valutazione Ambientale strategica
Si richiede l’attribuzione alla
competenza regionale della gestione di tutti i procedimenti di VIA relativi a
progetti la cui localizzazione ricada nel territorio regionale, ad eccezione
delle infrastrutture di competenza statale o soggette a specifica
autorizzazione statale. In altri termini, ci si riferisce ai progetti la cui
competenza autorizzativa o le cui ricadute siano prevalentemente di carattere
locale/territoriale quali i porti, marittimi e commerciali, i terminali
marittimi, i parcheggi interrati.Il riconoscimento di tale autonomia consente,
infatti, la semplificazione dei procedimenti, la riduzione dei tempi nonché una
maggior efficacia ed efficienza in termini di risposta al territorio.
Intanto
la richieste appare in generale confusa. Facciamo un esempio: i rigassificatori.
Per questi impianti la VIA è di competenza statale, I’AIA di competenza
regionale ma l’autorizzazione finale è del Ministero dello Sviluppo Economico
previa intesa con la Regione. Domanda quanto l’atto della Regione Liguria
tratta di “specifica autorizzazione statale” a cosa si riferisce. Nel caso dei
rigassificatori la richiesta della Regione Liguria se venisse applicata alla
lettera , essendo la autorizzazione finale statale, comporterebbe che tutti i
poteri andrebbero allo Stato compreso il rilascio dell’AIA.
Ma
veniamo ad un secondo esempio che riguarda la VAS. La richiesta della Regione
afferma che vuole trasferire alla propria competenza la VAS dei “piani la cui localizzazione
ricada nel territorio regionale”, in particolare la richiesta della Regione
fa riferimento ai piani dei porti. Ora come dovrebbe essere noto almeno a tutti
gli addetti ai lavori Il piano regolatore portuale è elaborato dalla Autorità
di Sistema Portuale corredato del rapporto ambientale ai fini della
applicazione della VAS.
Il
PRP è adottato dal Comitato di gestione, previa intesa con i comuni
territorialmente interessati con riferimento esclusivo alla pianificazione
delle aree destinate a funzioni di interazione porto-città. Dopo l’adozione c’è
il parere di competenza al Consiglio superiore dei
lavori pubblici. Segue il Parere motivato che conclude la procedura di VAS. Infine
l’approvazione del Consiglio Regionale.
Quindi
essendo la Regione autorità procedente (approva il Piano) è anche autorità
competente in materia di VAS. Infatti recitano
i commi 1 e 2 dell’articolo 7 del DLgs 152/2006:
“1. Sono sottoposti a VAS in sede statale i
piani e programmi di cui all'articolo 6, commi da 1 a 4, la cui approvazione compete
ad organi dello Stato.
2. Sono sottoposti a VAS secondo
le disposizioni delle leggi regionali, i piani e programmi di cui all'articolo
6, commi da 1 a 4, la cui approvazione compete alle regioni e province autonome
o agli enti locali.”
Non
solo ma vediamo cosa afferma il comma 3-ter articolo 6 del DLgs 152/2006: ” “3-ter. Per progetti di opere e interventi da
realizzarsi nell'ambito del Piano regolatore portuale, già sottoposti ad una
valutazione ambientale strategica, e che rientrano tra le categorie per le
quali è prevista la Valutazione di impatto ambientale, costituiscono dati
acquisiti tutti gli elementi valutati in sede di VAS o comunque desumibili dal
Piano regolatore portuale.
Qualora il Piano regolatore
Portuale ovvero le rispettive varianti abbiano contenuti tali da essere
sottoposti a valutazione di impatto ambientale nella loro interezza secondo le
norme comunitarie, tale valutazione è effettuata secondo le modalità e le
competenze previste dalla Parte Seconda del presente decreto ed è integrata
dalla valutazione ambientale strategica per gli eventuali contenuti di
pianificazione del Piano e si conclude con un unico provvedimento.”
Quindi
nel caso in cui il Piano regolatore di sistema portuale preveda opere
sottoposte a VIA questa procedura (se la VAS del PRP è già stata svolta)
recepisce i contenuti della VAS regionale ( si veda anche il comma 5 articolo 10 DLgs 152/2006). Se invece il progetto soggetto a VIA costituisce
variante si fa un procedimento unico VAS-VIA gestito dalla Regione in quanto
autorità competente alla VAS. Non solo ma se proprio la Giunta Regionale avesse voluto affrontare
con serietà la questione dei maggiori poteri regionali in questa materia
sarebbe stato sufficiente che affrontasse un aggiornamento del Protocollo
(2011) “VIA – VAS proposta per il coordinamento e
l’integrazione delle procedure” che al capitolo 2 prevede: “ipotesi di una procedura VIA – VAS integrata per i piani regolatori portuali”.
In questo protocollo si definiscono linee guida per la gestione integrata delle
procedure VIA - VAS e la procedura così integrata si conclude con provvedimento del MATTM. Ecco qui si potrebbe prevedere che in questo
caso essendo la Regione autorità competente della VAS il provvedimento si
concluda con un atto della Regione di Intesa con il MATTM sempre che le opere
previste sia di competenza statale relativamente alla VIA ovviamente.
L’atto
della Regione contiene sul punto altri riferimenti confusi. Si parla di
trasferire alla Regione le competenze sui parcheggi interrati! Intanto andrebbe
chiarito a quali parcheggi ci si riferisce. Pensiamo siano quelli rientranti
nell’allegato II alla Parte Seconda del DLgs 152/2006 secondo il quale sono
soggetti a VIA statale i “parcheggi
interrati che interessano superfici superiori a 5 ha, localizzati nei centri
storici o in aree soggette a vincoli paesaggistici decretati con atti
ministeriali o facenti parte dei siti UNESCO”. Peccato che in questo caso,
sempre che si possa trasferire questa competenza alla Regione, si sarebbe comunque l’obbligo del concerto
con il Ministero dei Beni Culturali, che come è noto esprime in questi casi un
parere obbligatorio e vincolante.
Si
aggiungono altri elementi di perplessità nella richiesta della Regione di
maggiori poteri in materia di VIA quando il Consiglio Regionale recentemente (articolo
17 della legge 29/20017) ha abrogato la legge regionale sulla VIA producendo
due conseguenze immediate:
1.
minori categorie di opere assoggettabili a VIA
2.
eliminazione della applicazione della VIA ex post
Relativamente alle categorie di
opere sottoposte a VIA
Intanto
una abrogazione totale della legge regionale appare francamente ridondante
visto che sempre la vigente versione del
DLgs 152/2006 al comma 8 articolo 7-bis: “8.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con
proprie leggi o regolamenti l’organizzazione e le modalità di esercizio delle
funzioni amministrative ad esse
attribuite in materia di VIA, nonché l’eventuale conferimento di tali funzioni
o di compiti specifici agli altri enti territoriali sub-regionali. La potestà normativa di cui al presente comma è
esercitata in conformità alla legislazione europea”.
Il
problema vero nasce invece dal fatto che abrogando la legge regionale 38/1998
abroga anche gli allegati a quest’ultima che elencavano le categorie di
opere sottoposte a procedure ordinaria
(allegato 2) e a procedura di verifica di assoggettabilità a VIA (allegato
3). Quindi per capire quali categorie di opere sono sottoposte a VIA
ordinaria o a Verifica di assoggettabilità una volta che l’abrogazione della
legge regionale verrà definitivamente approvata dal consiglio regionale, occorrerà guardare agli allegati alla parte
II del DLgs 152/2006 (allegati III e IV).
Quello
che però è mancato, nella predisposizione di questa abrogazione da parte della
giunta regionale ligure, è una analisi puntuale che mettesse a confronto le
categorie di opere elencate negli attuali allegati della legge regionale ligure
sulla VIA e quelle elencate negli allegati al DLgs 152/2006. (NOTA 2)
Relativamente alla VIA ex post
La
Regione Liguria in vari casi recenti (clamoroso quello della Italiana coke) non
essendoci più il comma 4-bis articolo 2 previsto dalla legge regionale 38/1998
ora abrogato, ha di fatto eliminato ogni possibilità di applicazione della VIA
a quei casi dove nel passato non era stata applicata la VIA violando la norma
comunitaria oppure a quei progetti oggetto di modifiche sostanziali e che in
precedenza non avevano avuto nessuna VIA (magari perché all’epoca non
applicabile temporalmente).
Organizzazione e gestione di
servizi pubblici ambientali nell’ambito del servizio idrico integrato e dei
rifiuti
Si richiede autonomia legislativa
regionale in materia di organizzazione e gestione del servizio idrico integrato
e del ciclo dei rifiuti urbani, al fine di poter determinare gli ambiti, gli
organi, le competenze, il modello organizzativo e le modalità di determinazione
delle tariffe e di gestione dei servizi.
La configurazione e conformazione del
territorio Ligure ha reso difficoltoso il recepimento sul territorio dei
modelli organizzativi e gestionali delineati dallo Stato, generando spesso
conflitti territoriali e ritardi nella realizzazione delle opere e nella
gestione dei servizi. Si rendono necessari modelli e modalità di organizzazione
del territorio adatti alle specifiche conformazioni geo-morfologiche ed
insediative del territorio che la realtà istituzionale territoriale in
autonomia legislativa saprà rappresentare al meglio.
La
questione va vista alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia :
sentenza n. 32 del 2015 (su legge regionale ligure ato idrico) , sentenza 160
del 2016 Obbligo, per gli enti locali,
di adesione agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali,
istituiti per l'organizzazione dei servizi stessi Esercizio di
poteri sostitutivi da parte del Presidente della Regione in caso di
inosservanza.
Infatti
vengono toccate materie di competenza esclusiva dello stato: (concorrenza e ambiente)
ex articolo 117. I principi espressi dalla corte costituzionali quindi non
possono essere derogati neppure dalla procedura di cui all’articolo 116 come
già spiegato in precedenza.
Disciplina del recupero di
rifiuti in una ottica di economia circolare
Si richiede autonomia amministrativa in
materia di disciplina relativa ai criteri specifici per la cessazione della
qualifica di rifiuto conseguente ad un’operazione di recupero, anche nelle more
di una revisione della disciplina nazionale di cui al D. M. 5.2.1998
Il tema, avente peraltro valenza per
tutte le Regioni, inerisce la competenza ad una valutazione specifica caso per
caso in sede di rilascio dei provvedimenti autorizzativi, della idoneità di una
determinata operazione di recupero a far cessare la qualifica di rifiuto al
materiale trattato.
Obiettivo
questo assolutamente inaccettabile che se esteso su scala nazionale, sotto il
profilo sostanziale, permetterebbe un far west nella gestione del ciclo dei
rifiuti con il rischio che di migrazioni di rifiuti nelle Regioni con la
normativa più “semplificata” e “favorevole” alla deroga alla normativa sui
rifiuti. Il tutto con buona pace di altri principi costituzionali: libera
concorrenza, libertà di impresa, eguaglianza di fronte alla legge.
Oltre
al dato che nella materia ambiente di competenza esclusiva dello Stato
quest’ultimo ha potere di regolamentazione anche tecnica.
Si
veda:
1. Corte Costituzionale sentenza
del 2009 N. 249
“La disciplina dei rifiuti si colloca, per
giurisprudenza di questa Corte,
nell'ambito della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di competenza
esclusiva statale ai sensi dell'art.117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri interessi e
competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di
fissare livelli di
tutela uniforme sull'intero
territorio nazionale, restando ferma la competenza delle Regioni alla cura di interessi
funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (ex multis,
sentenze n.62 del 2008).
Pertanto, anche nel settore dei
rifiuti, accanto ad interessi inerenti in via primaria alla tutela
dell'ambiente, possono venire in rilievo interessi sottostanti ad altre materie, per cui la
«competenza statale non esclude la concomitante possibilità per le Regioni di
intervenire [...]», ovviamente nel
rispetto dei livelli uniformi di tutela apprestati dallo Stato (sentenza
n.62 del 2005, altresì, sentenze n.247
del 2006, n.380 e n.12 del 2007). “
2. Corte Costituzionale 2009
N.233
“nella materia della tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema, lo Stato non si limita a dettare norme di principio,
anche riguardo alle funzioni
amministrative, la cui attribuzione può essere disposta in base ai criteri
generali dettati dall'art. 118, primo comma, Cost. (sentenze n.88 del 2009 e
n.62 del 2005), del resto compatibile con la disciplina dell'ambiente (sentenza
n. 401 del 2007). “
Altra
cosa è quando la legge attribuisce poteri alle Regioni anche nella materia
ambiente.
Si veda Corte Costituzionale del
2009 N. 249
“ 18.–
La Regione Calabria propone questione di legittimità costituzionale nei
confronti dell’art.205, comma 6, nella parte in cui, prevedendo che le Regioni
possano indicare maggiori obiettivi di riciclo e di recupero dei rifiuti tramite apposita legge, previa intesa con il
Ministro dell’ambiente, produrrebbe un
anomalo vincolo amministrativo sulla funzione legislativa regionale, in
violazione degli artt. 114 e 117 Cost.
La questione è fondata.
La sottoposizione a vincoli
procedimentali dell’esercizio della competenza
legislativa regionale in tema di individuazione di maggiori obiettivi di
riciclo e recupero dei rifiuti, che la stessa norma statale impugnata
attribuisce ad essa, determina
evidentemente una lesione della sfera di competenza regionale, posto che questa
Corte ha già affermato che l’esercizio dell’attività legislativa sfugge alle procedure di leale
collaborazione (sentenza n.159 del
2008).”
Peraltro
la normativa nazionale sul punto ha già ampiamente previsto la
declassificazione di numerose tipologie di materiali prima considerati rifiuti
con problematiche ambientali ma anche penali note. Sia sufficiente pensare alla
questione delle terre e rocce di scavo.
Determinazione e riconoscimento del Danno Ambientale per
effetti sul territorio regionale generati da eventi sul territorio medesimo
Si richiede competenza autonoma legislativa
e amministrativa della Regione in merito alla determinazione e al
riconoscimento del Danno ambientale nel caso di eventi che interessino
esclusivamente il territorio regionale e non ricadenti in Siti di interesse
Nazionale ai sensi dell’art. 252 del D. Lgs. 152/06. Le competenze in materia
di danno a livello regionale e sub-regionale sono relative alle procedure e
modalità di istruttoria per la determinazione, accertamento e quantificazione
del danno ambientale oltre che di definizione delle misure per il risarcimento
ed il ripristino dei siti.
La
frase in se non ha molto significato giuridico amministrativo.
Dal
punto di vista della disciplina delle
bonifiche. Attualmente la normativa (in particolare il TU ambientale (titolo V Parte IV DLgs 152/2006)
riconosce alla Regione strumenti per garantire la correlazione richiesta dal
documento proposto dalla Giunta : accordi di programma (articolo 246),
procedura Siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per
la riconversione industriale (articolo 252-bis DLgs 152/2006). Senza
considerare le norme che permettono accordi con i privati con procedure
semplificate per bonificare i siti inquinati in assenza di adeguati
investimenti pubblici (NOTA 4). Su questo
ultimo punto il Consiglio Regionale (nel caso del sito di Pitelli
declassificato a sito regionale e quindi di competenza della Giunta Regionale)
ha approvato una mozione a suo tempo che prevedeva impegni presi per la Giunta
rimasti in gran parte lettera morta se non qualche finanziamento limitato ad
aree specifiche. Per non parlare delle aree militari sulle quali la Giunta
Regionale avrebbe da tempo potuto attivarsi in base alle norme dello stesso
Codice Militare oltre che dell’articolo 241-bis
del DLgs 152/2006.
Dal
punto di vista della disciplina della
prevenzione e risarcimento del danno ambientale (Parte IV DLgs 152/2006).
Se la Giunta intende fare riferimento all’articolo
306-bis (NOTA 3) del DLgs 152/2006 (Determinazione delle misure per il risarcimento del danno ambientale e il
ripristino ambientale) queste si riferiscono ai siti di bonifica di interessa
nazionale e comunque questa procedura prevede un ruolo preciso della Regione
nella Conferenza dei Servizi. Qui ci potrebbero essere margini di
riforma/aggiornamento della norma prevedendo un accordo di programma Stato
Regione interessato per approvare in via definitiva la transazione disciplinata
da questo articolo.
Peraltro
sarebbe interessante capire perché la Regione non ha mai attivato l’articolo 309 del DLgs 152/2006
secondo il quale: “1. Le regioni, le
province autonome e gli enti locali, anche associati, nonché le persone fisiche
o giuridiche che sono o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale o
che vantino un interesse legittimante la partecipazione al procedimento
relativo all'adozione delle misure di precauzione, di prevenzione o di
ripristino previste dalla parte sesta del presente decreto possono presentare
al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare,
depositandole presso le Prefetture - Uffici territoriali del Governo, denunce e
osservazioni, corredate da documenti ed informazioni, concernenti qualsiasi
caso di danno ambientale o di minaccia imminente di danno ambientale e chiedere
l'intervento statale a tutela dell'ambiente a norma della parte sesta del
presente decreto.”
Se
infine la Giunta Regionale si riferisce all’articolo
311 DLgs 152/2006 (azione
risarcimento danno ambientale) qui conta la sentenza della Corte Costituzionale n. 126 del 2016.
Il giudice che ha rinviato alla Corte Costituzionale prospetta (in riferimento agli artt. 3, 9, 24 e 32 della Costituzione) che l’accentramento della legittimazione ad agire in capo ad un solo soggetto (ex articolo 311 DLgs 152/2006: il Ministero dell’Ambiente) non garantirebbe un sufficiente livello di tutela della collettività e della comunità, nonché degli interessi all’equilibrio economico, biologico e sociologico del territorio, comportando l’irragionevole sacrificio di un aspetto ineludibile nel sistema di tutela. Inoltre (art. 3 Cost., principio di ragionevolezza) l’esclusione della possibilità di agire in giudizio per la Regione e per egli enti territoriali, soggetti esponenziali della collettività che opera nel territorio leso che è parte costitutiva della soggettività degli stessi, rispetto allo Stato, darebbe luogo a disparità di trattamento tra soggetti portatori di identica posizione giuridica. Secondo la Corte Costituzionale le cose non stanno così: la Corte afferma che Il riconoscimento dell’esistenza di un bene ambiente quale «bene immateriale unitario» non è fine a se stesso, ma funzionale all’affermazione della esigenza sempre più avvertita della uniformità della tutela, uniformità che solo lo Stato può garantire, senza peraltro escludere che anche altre istituzioni potessero e dovessero farsi carico degli indubbi interessi delle comunità che direttamente fruiscono del bene.
Sul punto la Corte già con sentenza n. 235 del 2009 affermò che “la scelta di attribuire all’amministrazione statale le funzioni amministrative trova una non implausibile giustificazione nell’esigenza di assicurare che l’esercizio dei compiti di prevenzione e riparazione del danno ambientale risponda a criteri di uniformità e unitarietà, atteso che il livello di tutela ambientale non può variare da zona a zona e considerato anche il carattere diffusivo e transfrontaliero dei problemi ecologici, in ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro un preciso e limitato ambito territoriale”.
Tornando alla Sentenza della Corte Costituzionale 126/2016 questa ha avuto modo di affermare che con la Direttiva 21 aprile 2004, n. 2004/35/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale) Solo qualora la riparazione primaria non dia luogo a un ritorno dell’ambiente alle condizioni originarie, si intraprenderà la riparazione complementare e quella compensativa. Quindi sempre secondo la sentenza in esame: una volta messo al centro del sistema il ripristino ambientale, emerge con forza l’esigenza di una gestione unitaria: un
intervento di risanamento frazionato e diversificato, su base “micro
territoriale”, oltre ad essere incompatibile sul piano teorico con la natura
stessa della qualificazione della situazione soggettiva in termini di potere
(funzionale), contrasterebbe con l’esigenza di una tutela sistemica del bene;
tutela che, al contrario, richiede sempre più una visione e strategie
sovranazionali, come posto in evidenza, oltre che dalla disciplina comunitaria,
dall’ultima Conferenza internazionale sul clima tenutasi a Parigi nel 2015,
secondo quanto previsto dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici.
È in questo contesto normativo e giurisprudenziale che si inserisce la nuova disciplina del potere di agire in via risarcitoria (d.lgs. n. 152 del 2006), All’esigenza di unitarietà della gestione del bene “ambiente” non può infatti sottrarsi la fase risarcitoria. Essa, pur non essendo certo qualificabile come amministrativa, ne costituisce il naturale completamento, essendo volta a garantire alla istituzione su cui incombe la responsabilità del risanamento, la disponibilità delle risorse necessarie, risorse che hanno appunto questa specifica ed esclusiva destinazione.
Ciò non esclude – afferma la sentenza 126/2016 − che ai sensi dell’art. 311
del d.lgs. n. 152 del 2006 sussista il potere di agire di altri soggetti,
comprese le istituzioni rappresentative di comunità locali, per i danni
specifici da essi subiti. La Corte di cassazione ha più volte affermato in
proposito che la normativa speciale sul danno ambientale si affianca (non
sussistendo alcuna antinomia reale) alla disciplina generale del danno posta
dal codice civile, non potendosi pertanto dubitare della legittimazione degli
enti territoriali a costituirsi parte civile iure proprio, nel processo per
reati che abbiano cagionato pregiudizi all’ambiente, per il risarcimento non
del danno all’ambiente come interesse pubblico, bensì (al pari di ogni persona
singola od associata) dei danni direttamente subiti: danni diretti e specifici,
ulteriori e diversi rispetto a quello, generico, di natura pubblica, della
lesione dell’ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo
costituzionale.
Bonifiche di siti di interesse regionale e
locale
Si richiede autonomia legislativa ed
amministrativa in materia di procedure e modalità di bonifica, con l’esclusione
dei siti di interesse nazionale. Trattasi della disciplina attualmente in capo
allo Stato di cui agli artt. 242-251 del D.lgs 3 aprile 2006, n.152.
La possibilità della Regione di
legiferare autonomamente in merito all’individuazione dei siti da bonificare,
alle competenze in materia di bonifica a livello regionale e sub-regionale,
alle procedure e modalità di effettuazione delle bonifiche ed alle attività di
controllo, alla gestione di eventi di contaminazione che interessino i corsi
d’acqua, consentirà di adattare la classificazione dei siti, le procedure, le
competenze e le modalità degli interventi di bonifica alle conformazioni ed
alla caratterizzazione ambientale specifiche del territorio regionale.
La bonifica e messa in sicurezza di
molte aree industriali dismesse e di piccole dimensioni richiede la
possibilità di adattare la normativa introducendo semplificazioni ed incentivi
che favoriscano l’iniziativa privata.
L’assetto geologico e geochimico
regionale richiede inoltre un adattamento dei criteri tecnici in materia di
siti contaminati allo scopo di semplificare le modalità di individuazione dei
fondi naturali ed incrementare il ripristino dei suoli e l’utilizzo del
materiale litoide in opere costiere e ripascimenti.
Ma anche volendo seguire la logica che sottende a questa proposta e che emerge dalla seconda parte della richiesta della Regione: favorire l’iniziativa della impresa privata nelle attività di bonifica, occorre dire che in realtà la normativa esiste già sia nazionale che regionale.
Costituzione e gestione dei
consorzi irrigui e di bonifica di interesse regionale e sub regionale
Si richiede autonomia legislativa piena
in materia di costituzione e gestione dei consorzi irrigui e di bonifica di
interesse regionale e sub-regionale con la possibilità, quindi, di legiferare
in ordine alle modalità organizzative per la costituzione di organismi
sovracomunali/consortili che gestiscano interventi di bonifica, irrigazione,
difesa idraulica e del suolo di interesse regionale e sub-regionale.
La Liguria non è caratterizzata da
territorio che abbisogni di interventi di bonifica integrale di cui al Regio
decreto, ormai datato, del 1933, bensì da un territorio fragile e delicato nel
cui ambito la bonifica va intesa in termini di regolazione del regime delle
acque anche ai fini di difesa e riqualificazione del territorio. Lo strumento
consortile delineato dal regio decreto è uno strumento utile ma antiquato che
va adeguato nelle finalità e nelle modalità di funzionamento alle esigenze
specifiche dei territori.
Appare
richiesta inutile alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n° 160
del 2018 che ha riconosciuto ampi poteri alle Regioni, anche legislativi e non
solo provvedimentali, relativamente alla
organizzazione e alle attività dei consorzi in
oggetto anche sulla base della intesa raggiunta il 18 settembre 2008
nella Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano. Non solo ma la Corte Costituzionale riconosce
alle Regioni il potere di legiferare in materia “tenuto conto della specificità
oro-idrografica della regione, si può fare riferimento a unità idrografiche
omogenee”.
La
Corte Costituzionale infine,anche riprendendo la sua precedente giurisprudenza
afferma: “il carattere intrinsecamente settoriale delle funzioni di bonifica si
articola in duplice senso: a) come specialità degli interventi, da realizzare
sulla base di un piano e di un progetto di opere concretamente individuate,
dirette alla bonifica e al miglioramento fondiario; b) come operatività della
bonifica stessa in relazione a un determinato territorio, dalle caratteristiche
idrogeologiche omogenee, il quale deve riferirsi a un’area suscettibile di
trasformazione a fini di valorizzazione o, più semplicemente, di conservazione»
(sentenza n. 66 del 1992; in termini analoghi sentenza n. 326 del 1998)”.
Disciplina
e gestione dei corsi d’acqua di interesse regionale e sub regionale
Si richiede autonomia legislativa per la
disciplina della gestione dei corsi d’acqua di interesse regionale e
sub-regionale con particolare riferimento alle funzioni di polizia idraulica.
La Liguria è, infatti, fortemente
caratterizzata da corsi d’acqua a carattere torrentizio e ad elevata
variabilità delle portate, oltre che da eventi meteorici che richiedono spesso
interventi che non consentono indugio dei tempi, da un lato, e, dall’altro,
adeguati strumenti di controllo. La possibilità di regolamentare autonomamente
la gestione consente, pertanto, di adattare le procedure amministrative alla
realtà del territorio, nonché consente una maggiore semplificazione, efficienza
e rapidità di intervento anche rafforzando le funzioni di controllo rispetto a
quelle autorizzative.
Anche
questa richiesta appare ridondante visto la sentenza della Corte Costituzionale
n°77 del 2017 proprio in relazione ad un caso ligure, l’impugnazione d parte
del Governo dell’articolo 1 della legge della Regione Liguria
7 aprile 2015,
n. 12 (Disposizioni di
adeguamento della normativa regionale). La norma impugnata riguardava la individuazione da parte della Giunta regionale, sulla base di
"specifici criteri attuativi", di corsi d'acqua aventi determinate
caratteristiche, al fine di consentire una gradazione e una diversificazione di
obblighi e adempimenti in materia di polizia idraulica.
La sentenza dichiara la legittimità
costituzionale della norma regionale nel quadro di paletti costituzionali bene
delineati dalla giurisprudenza della Corte in materia di ambiente e cioè:
“La
trasversalità della materia
implica, peraltro, l'esistenza
di «competenze diverse che ben possono essere regionali», con la conseguenza
che, in relazione a queste, allo
Stato sarebbe riservato «il
potere di fissare
standards di tutela
uniformi sull'intero territorio nazionale, senza peraltro escludere
in questo settore la competenza
regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli
propriamente ambientali» (così la
sentenza n. 407 del 2002).”
“ Successivamente, questa Corte ha chiarito
che alle Regioni non e' consentito apportare deroghe in peius rispetto ai
parametri di tutela dell'ambiente fissati dalla normativa statale e che
«le disposizioni legislative statali
adottate in tale ambito fungono da limite
alla disciplina che le Regioni, anche
a statuto speciale,
dettano nei settori di loro competenza,
essendo ad esse
consentito soltanto eventualmente
di incrementare i livelli
della tutela ambientale, senza però
compromettere il punto
di equilibrio tra esigenze
contrapposte espressamente individuato
dalla norma dello
Stato» (sentenza n. 300 del 2013).”
Fauna
selvatica
Si richiede il riconoscimento
dell’autonomia regionale nella definizione dei livelli minimi di tutela
ambientale correlati alle norme emanate in materia di protezione della fauna
selvatica omeoterma ed ittica nonché di regolamentazione delle relative
attività di prelievo e controllo.
Le peculiarità ambientali del territorio
ligure determinano con sempre maggiore frequenza l’insorgere di problemi
connessi alla gestione della fauna omeoterma ed ittica, che richiedono
l’individuazione di soluzioni normative specifiche, in grado di superare alcuni
vincoli imposti dalla normativa statale di riferimento. Quest’ultima, infatti,
in mancanza di opportuni adeguamenti, non tiene conto dei mutamenti di ordine
faunistico, sociale e istituzionale nel frattempo intervenuti.
Inoltre, poiché la Liguria è una regione
confinante con un altro Paese europeo, si pone l’esigenza di armonizzare le
norme che, nell’area di confine con la Francia, interessano le stesse
popolazioni faunistiche.
Anche qui la richiesta appare in contrasto con la recente
giurisprudenza costituzionale o quanto meno sembra rimuoverne i principi
fondamentali.
In particolare si veda la sentenza della Corte
Costituzionale n° 70 del 2018 secondo la quale:
“La tutela degli uccelli selvatici
è assicurata nel nostro ordinamento dalla direttiva 2009/147/CE, che ha avuto
attuazione con la legge n. 157 del 1992; l’art. 19-bis di tale legge stabilisce
specifiche deroghe al divieto di catturare e uccidere uccelli selvatici
(“prelievo venatorio”).
La norma nazionale demanda alle
Regioni l’esercizio delle deroghe, imponendo però che l’autorizzazione al
prelievo venatorio sia disposta con atto amministrativo e prevedendo il
contenuto minimo del provvedimento, nel senso che esso deve specificare le
ragioni che giustificano la sua adozione, l’assenza di diverse soluzioni
soddisfacenti e le modalità e condizioni di esercizio della deroga.
La scelta dello strumento
amministrativo consente di motivare in ordine alla ricorrenza delle specifiche
condizioni a cui il legislatore statale subordina l’esercizio della deroga,
quale strumento di carattere eccezionale e temporaneo, mentre la previsione
dell’autorizzazione nella legge regionale impugnata determina l’assorbimento
dell’obbligo di motivazione e finisce con il trasformare la stessa deroga in un
rimedio stabile e permanente (sentenze n. 260 del 2017, n. 160 e n. 20 del
2012, e n. 250 del 2008).
3.– Inoltre, la disciplina
nazionale prevede una speciale procedura di diffida ed annullamento governativo
delle delibere regionali sul prelievo delle specie interessate che sono in
contrasto con le prescrizioni della legge statale.
É ben vero che la disciplina regionale,
oggetto di impugnazione, rimette comunque ad una delibera della Giunta la
decisione circa la contingente necessità del prelievo e la fissazione dei tempi
e degli ambiti, nella specie la prossimità dei nuclei di vegetazione produttivi
sparsi, a tutela delle specificità delle coltivazioni regionali, ma la
interposizione della legge regionale rispetto a quella statale viola la
competenza statale in materia di tutela dell’ambiente ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost.
Non ha pregio la difesa della
Regione secondo cui la legge impugnata si sarebbe limitata ad individuare una
particolare condizione, cioè la prossimità ai nuclei vegetazionali produttivi
sparsi, per la cacciabilità dello storno in funzione della precisa esigenza
consistente nella specificità delle coltivazioni regionali, poiché la norma in
questione recita che «è comunque consentito il prelievo in deroga dello storno
(Sturnus vulgaris) praticato in prossimità di nuclei vegetazionali produttivi
sparsi, a tutela della specificità delle coltivazioni regionali».
Ora, nello stabilire che la
cacciabilità dello storno è “comunque” consentita seppure in determinati
ambiti, la norma in questione prescinde da un provvedimento di deroga ad hoc e
quindi elide il potere di annullamento governativo del provvedimento di deroga,
in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria, con conseguente
violazione anche dell’art. 117, primo comma, Cost.”
Peraltro
la Corte Costituzionale ha riconosciuto in materia un potere di deroga
regionale ma solo in chiave migliorativa della tutela delle specie
selvatiche. Con sentenza n° 7 del 2019
la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente legittima la norma
della Regione Piemonte che in deroga alla legge quadro nazionale, amplia le
specie non cacciabili nel suo territorio di competenza. Ne si richiede che
questo ampliamento abbisogni del parere dell’Ispra, questo perché secondo la
Corte: “Una volta riconosciuto che le
norme legislative censurate hanno determinato l'effetto di incrementare
la tutela minima
ascrivibile alla potestà
legislativa statale, si
deve ritenere che,
in quest'ambito di maggiore
protezione faunistica, del
tutto legittimamente si sia esplicata la potestà legislativa
residuale in materia di caccia.”
Maggiore autonomia nella pianificazione
paesaggistica
Potestà legislativa e amministrativa in materia
di tutela dei beni paesaggistici, ai sensi dell'articolo 117 della
Costituzione, con particolare riferimento a:
a) redazione e approvazione, in via
esclusiva, del piano paesaggistico regionale nonché attività di coordinamento e
adeguamento allo stesso degli altri strumenti di pianificazione urbanistica di
cui all'articolo 145, commi 2 e 4, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.
42;
b) funzione autorizzatoria di cui
all'articolo 146, comma 5, del D.Lgs. 42/2004 con eliminazione del parere della
Soprintendenza;
Su questo
aspetto mi limito a sottolineare il punto più clamorosamente incostituzionale della richiesta
autonomistica della Regione Liguria, quello della eliminazione del Parere della
Soprintendenza.
Ma
prima che incostituzionale la richiesta è assurda visto che già ora il comma 5
articolo 146 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (DLgs 42/2004)
prevede che il parere del Soprintendente,
all'esito dell'approvazione delle prescrizioni d'uso dei beni paesaggistici
tutelati, nonché della positiva verifica da parte del Ministero su richiesta
della regione interessata dell'avvenuto adeguamento degli strumenti
urbanistici, assume natura obbligatoria non vincolante e, ove non sia reso
entro il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti,
si considera favorevole. Il parere del Soprintendente deve essere rilasciato
entro 45 giorni dal ricevimento degli atti (prima erano 60: vedi comma 8 nuovo
articolo 146).
Tornando
alla incostituzionalità della richiesta occorre ricordare quanto affermato dalla
Corte Costituzionale con specifico riferimento al procedimento volto al
rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, la Corte ha affermato che “non è consentito introdurre deroghe agli
istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme valevole
su tutto
il territorio nazionale nel
cui ambito deve
essere annoverata
l'autorizzazione paesaggistica” (sentenza n. 232 del 2008)
Secondo N. Zanon
(in Problemi del Federalismo
Incontri di Studio quaderno n. 5 ed. Giuffrè 2001 pag.57-57) : “ E’ importante osservare che la legge dello
Stato che attribuisce queste forme e
condizioni particolari di autonomia sarebbe fonte atipica e rinforzata , che
non potrebbe essere abrogata o modificata se non da una fonte dello stesso
tipo, conseguente a un’ulteriore , successiva iniziativa della stessa Regione cui
sono state concesse tali forme e condizioni. Tale legge si troverebbe in regime
di separazione di competenza rispetto alle leggi ordinarie e anche
costituzionali e resisterebbe ai tentativi di abrogazione recati da tali fonti e finirebbe per
costituire – finchè vi è accordo tra Stato e singola Regione – la disciplina
permanente e stabile , pressoché intoccabile, del regime di specialità
spettante alla singola Regione. La legge statale non dovrebbe poter modificare
il contenuto dell’intesa , ma dovrebbe solo approvarla e costituire l’involucro
formale che la contiene e la tramuta da accordo Stato Regione in fonte
normativa dell’intero ordinamento .”
CONFRONTO TRA LE CATEGORIE DI OPERE SOTTOPONIBILI A VIA REGIONALE PRIMA E DOPO LA ABROGAZIONE DELLA LEGGE REGIONALE 38/1998
Relativamente all’allegato 2 della abrogata legge regionale 38/1998
Si
tratta dell’allegato che attualmente elenca le categorie di opere che in Liguria sono sottoponibili a VIA
ordinaria. Vediamo quelle per le quali la abrogazione dell’allegato della attuale
legge regionale comporterebbe un peggioramento rispetto alla normativa
nazionale che verrebbe applicata alla norma regionale abrogata:
d) Trattamento di prodotti intermedi
e fabbricazione e recupero di prodotti chimici, produzione di pesticidi, di antiparassitari,
di prodotti farmaceutici, di elastomeri e perossidi, di mastici, di pitture e
vernici, di inchiostri da stampa, per una capacità superiore alle 35.000 t/anno
di materie prime lavorate.
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale
f) Stoccaggio di petrolio, prodotti
petroliferi petrolchimici e chimici pericolosi, ai sensi della legge 29 maggio
1974 n. 256 e successive modificazioni, con capacità complessiva superiore a
40.000 mc.
Questa
categoria di opera non esiste negli allegati alla normativa nazionale
h) Porti turistici e da diporto
quando lo specchio d'acqua è superiore a 10 ha o le aree esterne interessate
superano i 5 ha oppure i moli sono di lunghezza superiore ai 500 metri.
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale
o) Estrazione a terra di petrolio e
gas naturale a fini commerciali, per un quantitativo estratto superiore a 500
tonnellate al giorno per il petrolio e a 500.000 mc al giorno per il gas
naturale. Questa categoria di opera non esiste negli
allegati alla normativa nazionale
p) Dighe ed altri impianti destinati
a trattenere, regolare od accumulare le acque in modo durevole, a fini non
energetici, di altezza superiore a 5 m e/o di capacità superiore a 10.000 mc.
La norma nazionale prevede soglie
più alte di applicabilità della VIA ordinaria:
“t) Dighe e altri impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare
le acque in modo durevole, ai fini non energetici, di altezza superiore a 10 m
e/o di capacitò superiore a 100.000 m3, con esclusione delle opere di
confinamento fisico finalizzate alla messa in sicurezza dei siti inquinati.”
r) Elettrodotti aerei esterni per il
trasporto di energia elettrica con tensione nominale superiore a 100kV con
tracciato di lunghezza superiore a 10 Km.
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale
x septies) Impianti di produzione
di energia mediante lo sfruttamento del vento, sulla terraferma, in aree
sottoposte a vincolo paesaggistico-ambientale, con potenza superiore a 20
Kw.
La norma nazionale prevede soglie
più alte di applicabilità della VIA ordinaria :
“c-bis) Impianti eolici per la produzione di energia elettrica sulla terraferma
con potenza complessiva superiore a 1 MW, qualora disposto all’esito della
verifica di assoggettabilità di cui all’articolo 19;”
x sexies) Attività minerarie per la
ricerca, la coltivazione ed il trattamento minerallurgico delle sostanze
minerali di miniera ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del regio decreto 29
luglio 1927, n. 1443 (Norme di carattere legislativo per disciplinare la
ricerca e la coltivazione delle miniere del Regno) e successive modificazioni
ed integrazioni, ivi comprese le pertinenziali discariche di residui derivanti
dalle medesime attività e dalle relative lavorazioni i cui lavori interessino
direttamente aree di superficie complessiva superiore a 20 ettari.
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale
Relativamente
all’allegato 3 della abrogata legge regionale 38/1998
Si
tratta dell’allegato che attualmente elenca le categorie di opere sottoposte a
procedura di verifica di assoggettabilità a VIA regionale. Vediamo quelle per
le quali la abrogazione dell’allegato della attuale legge regionale
comporterebbe un peggioramento rispetto alla normativa nazionale che verrebbe
applicata alla norma regionale abrogata:
1c) Progetti di gestione delle risorse
idriche per l'agricoltura, compresi i progetti di irrigazione e di drenaggio
delle terre.
La legge nazionale è più
restrittiva nell’applicare la procedura
di verifica in quanto fissa una soglia che nella legge ligure non c’è: “d) i
progetti di gestione delle risorse idriche per l'agricoltura, compresi i
progetti di irrigazione e di drenaggio delle terre, per una superficie
superiore ai 300 ettari”
1f) Pescicoltura
intensiva.
la legge
nazionale è più restrittiva nell’applicare la procedura di verifica in quanto
fissa una soglia che nella legge ligure non c’è: “e) impianti di piscicoltura intensiva per superficie complessiva oltre i
5 ettari”.
1d) Primi
rimboschimenti e disboscamento a scopo di conversione ad un altro tipo di
sfruttamento del suolo.
La legge
nazionale è più restrittiva nell’applicare la procedura di verifica in quanto
fissa una soglia che nella lege ligure non c’è: “deforestazione allo scopo di conversione di altri
usi del suolo di una superficie superiore a 5 ettari”.
3a) Impianti
industriali per la produzione di energia elettrica, vapore ed acqua calda.
Lla legge
nazionale è più restrittiva nell’applicare la procedura di verifica in quanto
fissa una soglia che nella legge ligure non c’è: “b) impianti industriali non termici per la
produzione di energia, vapore ed acqua calda con potenza complessiva superiore
a 1 MW”.
3b) trasporto di
energia elettrica mediante linee aeree con tensione nominale d'esercizio
superiore a 100 KV e lunghezza superiore a 3 Km.
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale.
3h) Impianti per la
produzione di energia elettrica mediante lo sfruttamento del vento con potenza
nominale superiore a 1 MW, al di fuori delle aree sottoposte a vincolo
paesaggistico.
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale.
3i) Impianti
fotovoltaici a terra con potenza nominale superiore a 200 kW.
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale.
10a) Progetti di: - sviluppo di nuove
aree industriali o cambiamento d'uso di aree che, pur non prevedendo
l'installazione di impianti di cui ad altri punti del presente allegato,
abbiano estensione superiore a 5 ha.
La legge nazionale è più
restrittiva nell’applicare la procedura di verifica in quanto fissa una soglia
più alta rispetto alla legge ligure non
c’è: “a) progetti di sviluppo di zone
industriali o produttive con una superficie interessata superiore ai 40
ettari”.
10a) - interventi in aree di riconversione
per superfici superiori a 2 ha.
la legge nazionale è più
restrittiva nell’applicare la procedura di verifica in quanto fissa una
soglia più alta rispetto alla legge
ligure: “b) progetti di sviluppo di aree urbane, nuove o in estensione, interessanti
superfici superiori ai 40 ettari.
10b) Progetti di riassetto urbano
concernenti: - interventi di edilizia residenziale comportanti edificazioni
superiori a 70.000 mc in nuovo volume edificato o superficie territoriale
trasformata, escluse le sistemazioni, superiore a 5 ha.
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale.
10d) Costruzione di
aerodromi.
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale.
10e) Costruzione o
ampliamento di: - porti, impianti portuali, porti di pesca, porti turistici e
porti rifugio; - strade
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale.
10i) Tramvie,
metropolitane sopraelevate e sotterranee, funivie o linee simili di tipo
particolare esclusivamente o principalmente adibite al trasporto di persone.
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale.
10k) Installazione di
oleodotti e gasdotti superiori a 5 km, escluse le reti all'interno dei centri
abitati.
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale.
10l) Installazione di
acquedotti a lunga distanza superiori ai 20 Km.
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale.
10m) Progetti di
estrazione e di ricarica delle acque freatiche non ricompresi negli altri
allegati.
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale.
10n) Opere di
trasferimento di risorse idriche tra bacini imbriferi non ricompresi negli
altri allegati.
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale.
3.discariche di rifiuti urbani non
pericolosi con capacità complessiva inferiore ai 100.000 mc (operazioni di cui
all'allegato B, lettere D1 e D5 del decreto legislativo n. 152/2006), comprese
le discariche per inerti con capacità complessiva fino a 100.000 mc.
Nelle legge nazionale non c’è il
riferimento alle discariche di inerti
11e) Centri di
raccolta, stoccaggio e rottamazione di rottami di ferro, autoveicoli e simili
con superficie superiore a 1 ettaro.
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale.
11i) Piste da sci,
impianti di risalita, funivie e strutture connesse.
La legge nazionale è più
restrittiva nell’applicare la procedura
di verifica in quanto fissa una soglia che nella legge ligure non c’è: “c) piste da sci di lunghezza superiore a 1,5
km o che impegnano una superficie superiore a 5 ettari nonché impianti
meccanici di risalita, escluse le sciovie e le monofuni a collegamento
permanente aventi lunghezza inclinata non superiore a 500 metri, con portata
oraria massima superiore a 1800 persone;”
11j) Villaggi di vacanza e complessi
alberghieri situati fuori dalle zone urbane e strutture connesse: - campeggi o
villaggi turistici di superficie superiore a 3 ha;
Nella legge nazionale la soglia di
applicabilità della procedura di verifica è di 5 ettari
11k) Campi da golf;
Questa categoria di opera non
esiste negli allegati alla normativa nazionale.
11l) Terreni da
campeggio e caravaning a carattere permanente superiori a 3 ha.
Nella legge nazionale la soglia di
applicabilità della procedura di verifica è di 5 ettari
11m) Parchi tematici
Nella legge nazionale c’è la
soglia di applicabilità di 5 ettari
1. Nel rispetto dei criteri di
cui al comma 2 e tenuto conto del quadro comune da rispettare di cui
all’allegato 3 alla presente parte sesta, il soggetto nei cui confronti il
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato le
procedure di bonifica e di riparazione del danno ambientale di siti inquinati
di interesse nazionale ai sensi dell’articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n.
349, dell’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, nonché ai
sensi del titolo V della parte quarta e della parte sesta del presente decreto,
ovvero ha intrapreso la relativa azione giudiziaria, può formulare una proposta
transattiva.
2. La
proposta di transazione di cui al comma 1:
a)
individua gli interventi di riparazione primaria, complementare e compensativa;
b) ove sia formulata per la riparazione compensativa, tiene conto del tempo necessario per conseguire
l’obiettivo della riparazione primaria o della riparazione primaria e complementare;
c) ove i criteri risorsa-risorsa e servizio-servizio non siano applicabili per la determinazione delle misure complementari e compensative, contiene una liquidazione del danno mediante una valutazione economica;
d) prevede comunque un piano di monitoraggio e controllo qualora all’impossibilità della riparazione primaria corrisponda un inquinamento residuo che comporta un rischio per la salute e per l’ambiente;
e) tiene conto degli interventi di bonifica già approvati e realizzati ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto;
f) in caso di concorso di più soggetti nell’aver causato il danno e negli obblighi di bonifica, può essere formulata anche da alcuni soltanto di essi con riferimento all’intera obbligazione, salvo il regresso nei confronti degli altri concorrenti;
g) contiene l’indicazione di idonee garanzie finanziarie.
b) ove sia formulata per la riparazione compensativa, tiene conto del tempo necessario per conseguire
l’obiettivo della riparazione primaria o della riparazione primaria e complementare;
c) ove i criteri risorsa-risorsa e servizio-servizio non siano applicabili per la determinazione delle misure complementari e compensative, contiene una liquidazione del danno mediante una valutazione economica;
d) prevede comunque un piano di monitoraggio e controllo qualora all’impossibilità della riparazione primaria corrisponda un inquinamento residuo che comporta un rischio per la salute e per l’ambiente;
e) tiene conto degli interventi di bonifica già approvati e realizzati ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto;
f) in caso di concorso di più soggetti nell’aver causato il danno e negli obblighi di bonifica, può essere formulata anche da alcuni soltanto di essi con riferimento all’intera obbligazione, salvo il regresso nei confronti degli altri concorrenti;
g) contiene l’indicazione di idonee garanzie finanziarie.
3. Il
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con proprio
decreto, dichiara ricevibile la proposta di transazione, verificato che
ricorrono i requisiti di cui al comma 2, ovvero respinge la proposta per
assenza dei medesimi requisiti.
4. Nel
caso in cui dichiari ricevibile la proposta di transazione, il Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare convoca, entro trenta
giorni, una conferenza di servizi alla quale partecipano la regione e gli enti
locali territorialmente coinvolti, che acquisisce il parere dell’Istituto
superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e dell’Istituto
superiore di sanità. In ogni caso il parere tiene conto della necessità che gli
interventi proposti, qualora non conseguano il completo ripristino dello stato
dei luoghi, assicurino comunque la funzionalità dei servizi e delle risorse
tutelate e colpite dall’evento lesivo. Della conferenza di servizi è data
adeguata pubblicità al fine di consentire a tutti i soggetti interessati di
formulare osservazioni.
5. La
conferenza di servizi, entro centottanta giorni dalla convocazione, approva,
respinge o modifica la proposta di transazione. La deliberazione finale è
comunicata al proponente per l’accettazione, che deve intervenire nei
successivi sessanta giorni. Le determinazioni assunte all’esito della
conferenza sostituiscono a tutti gli effetti ogni atto decisorio comunque
denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti alla predetta
conferenza o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti.
6.
Sulla base della deliberazione della conferenza accettata dall’interessato, il
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare predispone uno
schema di transazione sul quale è acquisito il parere dell’Avvocatura generale
dello Stato, che lo valuta anche tenendo conto dei presumibili tempi
processuali e, ove possibile, dei prevedibili esiti del giudizio pendente o da
instaurare.
7.
Acquisito il parere di cui al comma 6, lo schema di transazione, sottoscritto
per accettazione dal proponente, è adottato con decreto del Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e sottoposto al
controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della
legge 14 gennaio 1994, n. 20.
8. Nel
caso di inadempimento, anche parziale, da parte dei soggetti privati, delle
obbligazioni dagli stessi assunte in sede di transazione nei confronti del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, quest’ultimo,
previa diffida ad adempiere nel termine di trenta giorni e previa escussione
delle garanzie finanziarie prestate, può dichiarare risolto il contratto di
transazione. In tal caso, le somme eventualmente già corrisposte dai contraenti
sono trattenute dal Ministero in acconto dei maggiori importi definitivamente
dovuti per i titoli di cui al comma 1.
[NOTA 4]
COME COINVOLGERE INVESTITORI PRIVATI NELLA BONIFICA DEI SITI INQUNATI
1. Dal 2005 è in vigore una norma
contenuta nel comma 434 della legge finanziaria 2006 che prevede, al
fine di consentire nei siti di bonifica di interesse nazionale (vedi
Pitelli) la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza d'emergenza -
caratterizzazione - bonifica e ripristino ambientale delle aree inquinate per
le quali sono in atto procedure fallimentari, siano sottoscritti accordi di
programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, la
regione, le province, i comuni interessati con i quali sono individuati la
destinazione d'uso delle suddette aree, anche in variante allo strumento
urbanistico, gli interventi da effettuare, il progetto di valorizzazione
dell'area da bonificare, incluso il piano di sviluppo e di riconversione
delle aree, e il piano economico e finanziario degli interventi, nonché le
risorse finanziarie necessarie per ogni area, gli impegni di ciascun soggetto
sottoscrittore e le modalità per individuare il soggetto incaricato di
sviluppare l'iniziativa.
2. la legge finanziaria
2007 che al comma 996 articolo 1 che ha permesso di effettuare il
dragaggio e la bonifica, contemporaneamente, superando la necessità di
bonificare le aree più inquinate e la verifica del collegamento tra le diverse
aree inquinate del sistema golfo. Ovviamente invece che usare in positivo
questa norma a Spezia è stata usata per produrre il disastro che sappiamo ma
questo non significa che non si possa farne nel futuro un uso corretto.
3. Articolo 252 bis al DLgs
152/2006 (c.d. Testo Unico Ambientale) che, in deroga alle procedure di
bonifica ordinarie, prevede la individuazione di siti di interesse pubblico ai
fini dell'attuazione di programmi ed interventi di riconversione industriale e di
sviluppo economico produttivo, contaminati da eventi antecedenti al 30 aprile
2006, praticamente tutti i siti industriali inquinati visto che il 2006 è una
data piuttosto vicina al presente. Peraltro questa norma è contenuta
nell’articolo 10 della attuale LR 10/2009 che ha sostituito la LR 18/1999
sopra citata. In particolare la norma regionale del 2009 prevede che insieme
con il progetto di bonifica sia già definita la destinazione urbanistica
dell’area.
4. Legge 13/2009 che,
all’articolo 2 prevede una procedura alternativa a quella definita dalla
legislazione vigente in materia di copertura di oneri di bonifica e
risarcimento danno ambientale nei siti di bonifica di interesse nazionale.
Questa norma deve però rispettare nella sua attuazione il principio
fondamentale della riduzione in pristino (cioè del riportare l'area da
bonificare allo stato precedente all’inquinamento) altrimenti andrebbe in
contrasto con la Direttiva sulla responsabilità ambientale in materia di
prevenzione e e riparazione del dannoambientale.
5. Decreto legge c.d. Salva
Italia (comma 5 articolo 40 Decreto Legge 201/2011 ). La norma
prevede la possibilità di effettuare la bonifica di siti inquinati di livello
regionale (quindi ora anche per il sito di Pitelli declassato a livello locale)
in modo che il progetto di bonifica possa essere articolato per fasi
progettuali distinte al fine di rendere possibile la realizzazione degli
interventi per singole aree o per fasi temporali successive. Inoltre sempre al
comma 9 dell’articolo 242 del DLgs 152/2006 viene aggiunta la possibilità di
autorizzare interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di messa in
sicurezza degli impianti e delle reti tecnologiche, purché non
compromettano la possibilità di effettuare o completare gli interventi di
bonifica che siano condotti adottando appropriate misure di prevenzione
dei rischi.Concetto ulteriormente rafforzato con la legge 27/2012
per il dragaggio nei siti di bonifica nazionale proprio come quello di Pitelli:
norma finalizzata chiaramente a favorire e semplificare le procedura di
autorizzazione dei dragaggi per i porti commerciali.
6. l’articolo 57 del Decreto Legge
semplificazioni (convertito con Legge 35/2012) al comma 9 ha previsto che:
“9. Nel caso di attività di reindustrializzazione dei
siti di interesse nazionale, i sistemi di sicurezza operativa
già in atto possono continuare a essere eserciti senza necessità di
procedere contestualmente alla bonifica, previa autorizzazione del progetto
di riutilizzo delle aree interessate, attestante la non compromissione di
eventuali successivi interventi di bonifica”, quindi non c’è bisogno di
bonifica se l’obiettivo è quello della reindustrializzazione del sito inquinato
limitandosi solo a chiedere di garantire un non peggioramento
dell’inquinamento.
7. articolo 4 legge 9/2014:
accordi di programma delle istituzioni pubbliche con uno o più
proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati ad attuare
progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di riconversione
industriale e sviluppo economico in siti di interesse nazionale promuovere il
riutilizzo di tali siti in condizioni di sicurezza sanitaria e ambientale, e di
preservare le matrici ambientali non contaminate. L’accordo di programma
prevederà, tra l’altro, anche l’entità dei contributi pubblici alla bonifica
dei siti interessati. L'attuazione da parte dei soggetti interessati degli
impegni di messa in sicurezza, bonifica, monitoraggio, controllo e
relativa gestione, e di riparazione, individuati dall'accordo di programma
esclude per tali soggetti ogni altro obbligo di bonifica e
riparazione ambientale e fa venir meno l'onere reale per tutti i fatti
antecedenti all'accordo medesimo. La revoca dell'onere reale per tutti i fatti
antecedenti all'accordo di programma previsto dalle misure volte a favorire la
realizzazione delle bonifiche dei siti di interesse nazionale è
subordinata, nel caso di soggetto interessato responsabile della
contaminazione, al rilascio della certificazione dell'avvenuta bonifica e
messa in sicurezza dei siti inquinati ai sensi
dell'articolo 248. Nel caso di soggetto interessato responsabile della
contaminazione, i contributi e le misure non potranno riguardare le attività di
messa in sicurezza, di bonifica e di riparazione del danno ambientale di
competenza dello stesso soggetto, ma esclusivamente l'acquisto di beni
strumentali alla riconversione industriale e allo sviluppo economico dell'area.
8. comma 9 articolo 13 del Decreto
Legge 91/2014 che estende l’utilizzo delle somme stanziate dal fondo
previsto dalla legge di stabilità 2014 (combinato disposto commi 6 e 7 articolo
1) non solo ai siti di bonifica di interesse nazionale ma anche a quelli che
contengano inquinamento da amianto.
9. Legge 23 dicembre 2014, n.
90 (legge di stabilità 2015) al comma 551 articolo 1 prevede:"Nei
siti inquinati, nei quali sono in corso o non sono ancora avviate attività
di messa in sicurezza e di bonifica, possono essere realizzati interventi
e opere richiesti dalla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, di
manutenzione ordinaria e straordinaria di impianti e infrastrutture,
compresi adeguamenti alle prescrizioni autorizzative, nonché opere lineari
necessarie per l'esercizio di impianti e forniture di servizi e, più in
generale, altre opere lineari di pubblico interesse a condizione che
detti interventi e opere siano realizzati secondo modalità e tecniche
che non pregiudicano ne' interferiscono con il completamento
e l'esecuzione della bonifica, né determinano rischi per la salute
dei lavoratori e degli altri fruitori dell'area".10. Decreto direttoriale 18 maggio 2015 che fissa modalità e
termini di presentazione delle istanze di concessione del credito d’imposta per
le imprese sottoscrittrici di accordi di programma nei Siti inquinati di
interesse nazionale. Si veda anche il Comunicato del Ministero dello Sviluppo
Economico QUI.
11. Legge 28 dicembre 2015, n.
221 ha introdotto l'articolo 306-bis al DLgs 152/2006 (T.U. ambientale)
che disciplina una procedura di transazione tra soggetti impegnati nella
bonifica e Ministero dell'Ambiente che:
a)
individua gli interventi di riparazione primaria, complementare e
compensativa;
b)
ove sia formulata per la riparazione compensativa, tiene conto del tempo
necessario per conseguire l’obiettivo della riparazione primaria o della
riparazione primaria e complementare;
c)
ove i criteri risorsa-risorsa e servizio-servizio non siano applicabili per
la determinazione delle misure complementari e compensative, contiene una
liquidazione del danno mediante una valutazione economica;
d)
prevede comunque un piano di monitoraggio e controllo qualora
all’impossibilità della riparazione primaria corrisponda un inquinamento
residuo che comporta un rischio per la salute e per l’ambiente;
e)
tiene conto degli interventi di bonifica già approvati e realizzati ai
sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto;
f)
in caso di concorso di più soggetti nell’aver causato il danno e negli
obblighi di bonifica, può essere formulata anche da alcuni soltanto di essi con
riferimento all’intera obbligazione, salvo il regresso nei confronti degli
altri concorrenti;
g)
contiene l’indicazione di idonee garanzie finanziarie.
12. Legge
regionale 9 aprile 2009, n. 10 Norme in materia di
bonifiche di siti contaminati.
Art. 13. (Accordi di programma)
“1. Gli
enti territoriali competenti, i soggetti obbligati agli interventi di cui alla
presente legge ed i soggetti altrimenti interessati, possono stipulare, entro
sei mesi dall'approvazione del documento di analisi di rischio, appositi
accordi di programma per definire modalità e tempi di esecuzione degli
interventi medesimi.”
Art.
19. (Certificazione su siti dove si realizzano opere edilizie)
“1. L'efficacia dei titoli edilizi rilasciati su
un'area soggetta ad intervento di bonifica, messa in sicurezza permanente,
messa in sicurezza operativa, è subordinata all'approvazione del relativo
progetto di bonifica ai sensi dell'articolo 9. La dichiarazione di agibilità ed
abitabilità relativa agli interventi di cui sopra è subordinata alla
certificazione di avvenuta bonifica rilasciata dalla Provincia .
2. Qualora sulla base del progetto di bonifica
approvato ed in presenza di particolari condizioni di interesse pubblico sia
possibile l'utilizzazione dell'area per lotti successivi, la certificazione può
essere rilasciata per singoli lotti, in assenza di interazione tra gli stessi,
fermo restando lo svincolo delle garanzie finanziarie ad avvenuto completamento
del progetto di bonifica.”
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