Come
è noto, ne ho già trattato in altri post (QUI),
la Regione Liguria ha approvato una
delibera di indirizzo per chiedere maggiori poteri in materia ambientale. In
particolare una delle richieste più discutibili è quella di avere la
possibilità di definire propri criteri
per stabilire la cessazione di qualifica di rifiuto dopo trattamenti. Ora sul punto interviene indirettamente anche
la Corte di Giustizia della UE (sentenza del 28/3/2019 causa C-60-18, QUI)come
spiego nel post che segue
GIURISPRUDENZA E NORMATIVA
NAZIONALE SU COMPETENZA A STABILIRE CRITERI NAZIONALI SULLA CESSAZIONE DALLA
QUALIFICA DI RIFIUTO
Sul
punto, come spiego più approfonditamente
nei post precedenti (QUI),
è intervenuto recentemente il Consiglio di Stato con sentenza n° 1229 del
2018 secondo la quale le Regioni non possono autonomamente
fissare criteri per far cessare la qualifica di rifiuto attraverso singole
procedure autorizzatorie.
Il Consiglio di Stato non ha fatto altro che applicare
quanto previsto dai commi 1 e 2 dell’articolo
184-ter del DLgs 152/2006 che recitano: “1. Un rifiuto cessa di
essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il
riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri
specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:
a) la sostanza o l’oggetto è comunemente
utilizzato per scopi specifici;
b) esiste un mercato o una domanda per tale
sostanza od oggetto;
c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i
requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli
standard esistenti applicabili ai prodotti;
d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto
non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
2. L’operazione di recupero può consistere
semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri
elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono
adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero,
in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di
rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela
del territorio e del mare, ai sensi dell’ articolo 17, comma 3, della legge 23
agosto 1988, n. 400”.
LA NUOVA SENTENZA
DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE
La sentenza deriva da un quesito posto dalla autorità giudiziaria
dello Stato membro. Il quesito rivolto alla Corte europea riguardava la
possibilità di ottenere, caso per caso, in assenza di un atto comunitario e di
un regolamento ministeriale, una dichiarazione di fine-rifiuto dalla parte
della Agenzia per l’ambiente nazionale applicando direttamente l’art. 6, comma
4 della direttiva sui rifiuti 2008/98, secondo il quale “se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario
in conformità della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri
possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di
essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile”.
La Corte di Giustizia UE pronunciandosi sul quesito ha
così statuito:
1. “L’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva
2008/98 non osta quindi ad una normativa nazionale in forza della quale,
in mancanza di criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto stabiliti a
livello di Unione con riferimento a un determinato tipo di rifiuti, detta
cessazione dipende dalla sussistenza per tale tipo di rifiuti di criteri di
portata generale stabiliti mediante un atto giuridico nazionale.”
2. l’art. 6, comma 4 della direttiva comunitaria
non consente al detentore di un rifiuto “di esigere l’accertamento della
cessazione della qualifica di rifiuto da parte dell’autorità competente
dello Stato membro o da parte di un giudice di tale Stato membro ”
Aggiunge inoltre la Corte di Giustizia: “ risulta dalla formulazione dell’articolo 6, paragrafo 4,
della direttiva 2008/98 che gli Stati membri possono prevedere la possibilità
di decisioni relative a casi individuali, in particolare sulla base delle
domande presentate dai detentori della sostanza o dell’oggetto qualificati come
« rifiuti », ma possono anche adottare una norma o una regolamentazione
tecnica relativa ai rifiuti di una determinata categoria o di un
determinato tipo di rifiuti. Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al
paragrafo 49 delle sue conclusioni, l’obbligo, contenuto in tale disposizione,
di notificare siffatte misure alla Commissione allorché la direttiva 98/34,
come modificata dalla direttiva 98/48, lo richiede riguarda i progetti di
regola tecnica e non le decisioni individuali
La
Corte quindi fa esplicito riferimento alla possibilità di criteri nazionali di
esclusione dalla definizione di rifiuto solo con un “atto giuridico nazionale”.
La
Corte esclude un potere decisionale sulla esclusione dalla definizione di
rifiuto da parte di una autorità competente alla gestione dei rifiuti (in
Italia Regioni e Province) come pure da parte di un giudice nazionale.
La
Corte aggiunge che si possa derogare a tali divieti con provvedimenti (regole
tecniche) anche per casi singoli. Ma
questo dipende dalla legislazione nazionale.
CONCLUSIONI
Quindi
allo stato attuale, tornando al caso della Regione Liguria, la Giunta Toti non
poteva chiedere autonomamente un potere di decisione sulla cessazione da
rifiuto di determinati rifiuti dopo trattamento, perché questo è in palese
contrasto come abbiamo visto sopra:
1. con
la legge nazionale vigente : articolo 184-ter del DLgs 152/2006
2. con la
giurisprudenza nazionale: sentenza del Consiglio di Stato n° 1229 del 2018
3. con
gli indirizzi della Corte di Giustizia: vedi sentenza sopra riportata
Nessun commento:
Posta un commento