Il Presidente della Regione Liguria annuncia (vedi titolo articolo sul Secolo XIX di ieri) il percorso verso una autonomia rafforzata della Regione in particolare su ambiente e portualità. In attesa del documento annunciato a settembre analizzo quello che la Giunta Regionale ha prodotto fino ad ora sul tema attraverso una delibera di indirizzo (DGR 1175 del 29/12/2017 vedi QUI) presentata all'inizio del'anno e che ora dovrà essere messa alla prova del confronto con il governo secondo le procedure costituzionali del regionalismo differenziato. Su questa delibera di indirizzo vedi anche pronunciamento del Consiglio delle Autonomie Locali liguri QUI.
Vediamo quindi una analisi critica di questa delibera soprattutto nelle parti che riguardano ambiente e portualità...
PREMESSA: COSA DICE LA COSTITUZIONE SUL REGIONALISMO DIFFERENZIATO
Dal punto di vista della disciplina delle bonifiche. Attualmente la normativa (in particolare il TU ambientale (titolo V Parte IV DLgs 152/2006) riconosce alla Regione strumenti per garantire la correlazione richiesta dal documento proposto dalla Giunta : accordi di programma (articolo 246), procedura Siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale (articolo 252-bis DLgs 152/2006). Senza considerare le norme che permettono accordi con i privati con procedure semplificate per bonificare i siti inquinati in assenza di adeguati investimenti pubblici. Che elenco nell’allegato A alla [NOTA 3] . Su questo ultimo punto il Consiglio Regionale (nel caso del sito di Pitelli declassificato a sito regionale e quindi di competenza della Giunta Regionale) ha approvato una mozione a suo tempo che prevedeva impegni presi per la Giunta rimasti in gran parte lettera morta se non qualche finanziamento limitato ad aree specifiche. Per non parlare delle aree militari sulle quali la Giunta Regionale avrebbe da tempo potuto attivarsi in base alle norme dello stesso Codice Militare[NOTA 1] oltre che dell’articolo 241-bis del DLgs 152/2006
Vediamo quindi una analisi critica di questa delibera soprattutto nelle parti che riguardano ambiente e portualità...
PREMESSA: COSA DICE LA COSTITUZIONE SUL REGIONALISMO DIFFERENZIATO
Regionalismo differenziato
Secondo l'articolo
116 della Costituzione comma 3 sarà
possibile che ciascuna Regione negozi con lo Stato forme particolari di
autonomia concernenti :
1. le materie di legislazione
concorrente di cui al comma 3 del nuovo articolo 117
2. le seguenti materie di legislazione esclusiva statale :
organizzazione della giustizia di pace (lettera l comma 2 articolo 117) ;
norme generali di istruzione (lettera n comma 2 articolo 117) ; tutela
dell’ambiente , dell’ecosistema e dei beni culturali (lettera s comma 2
dell’articolo 117)
Il comma 2 dell’articolo
116 individua la procedura per ottenere i suddetti ulteriori ambiti di
autonomia per le singole Regioni. In
particolare si prevede che la ulteriore autonomia venga riconosciuta con legge
statale su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel
rispetto dei principi di cui all’articolo 119 (tutela delle autonomie
locali) . La legge è approvata dalle Camere
a maggioranza assoluta dei componenti , sulla base di intesa fra lo Stato e la
Regione interessata .
QUALI PROBLEMATICHE DA
AFFRONTARE PER UN NUOVO MODELLO DI GOVERNO DELLE POLITICHE REGIONALI
SULL’AMBIENTE
Le seguenti problematiche andrebbero affrontate insieme con qualsiasi
ulteriore richiesta di autonomia regionale in materia ambientale:
1. una
legislazione amministrativa confusa nella ripartizione delle competenze, il
tutto aggravato recentemente dalla folle (ma penso ci sia del raziocinio dietro
questa follia purtroppo) gestione della finta abolizione delle Province, e si
sa le finte abolizioni spesso fanno più danni delle non abolizioni;
2. una
gestione dei procedimenti autorizzatori che privilegia la chiusura del
procedimento con il relativo atto che non il processo che porta all’atto;
3. una
carenza di aggiornamento professionale del ceto burocratico che deve gestire le
istruttorie di autorizzazione e di controllo ex ante ed ex post;
4. una
quasi totale assenza nelle istruttorie che portano alle autorizzazioni di
impianti e attività potenzialmente inquinanti, degli aspetti di prevenzione
sanitaria. Clamorose in questo senso nella nostra provincia spezzina sono state
le vicende della centrale ENEL autorizzata illegittimamente senza Parere
Sanitario del Sindaco “bullo” Federici o dell’impianto di trattamento rifiuti
di Saliceti rispetto al quale l’ASL locale è “desaparecida” da sempre;
5. un
sistema dei controlli pubblici (Arpal in primis) totalmente dipendente dal
livello politico: per i finanziamenti e per le modalità di nomina degli
organigrammi dirigenziali
6. una
mancanza di pianificazione dei controlli ambientali e sanitari in chiave eco
sistemica (impatti cumulativi) e non solo del singolo impianto o attività
inquinante, pianificazione che renderebbe più trasparente e più efficiente
successivamente la decisione finale sul singolo progetto, piano o programma
7. una
mancanza di rispetto delle norme sulla trasparenza e l’accesso civico
soprattutto in campo ambientale: soprattutto da parte degli enti locali,
ragione per cui occorrerebbe anche qui un ruolo di impulso della Regione
stabilendo modalità di pubblicazione uguali per tutti ad integrazione di quanto
già previsto dalla normativa nazionale;
8. una
quasi totale rimozione del ruolo del pubblico (associazioni, comitati, singole
competenze
presenti nei territori) nei processi decisionali. Le Inchieste Pubbliche pur
previste non vengono avviate neppure per i progetti più pericolosi, le
osservazioni del pubblico non vengono analizzate negli atti conclusivi, non
esistono minime regole di garanzia per la partecipazione del pubblico, non si
utilizzano gli strumenti degli accordi della sussidiarietà orizzontale ove e
quando possibili.
ANALISI CRITICA DELLA PROPOSTA DI DGR “Avvio del negoziato con il Governo per
il riconoscimento alla Regione Liguria di forme e condizioni particolari di
autonomia ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione” NEL
SETTORE AMBIENTE
Di seguito riporto nei riquadri le richieste della Giunta regionale ligure con il mio successivo commento
Come è noto, in termini
sostanziali, l’esperienza di bonifiche di siti sia regionali che nazionali ha
dimostrato che il problema vero non sta nella titolarità delle funzioni e/o
nella maggiore autonomia regionale ma nello stanziamento dei fondi. Il Caso del
sito di Pitelli declassificato da nazionale a regionale dimostra che tale
spostamento non ha prodotto assolutamente una accelerazione della bonifica.
Semmai sono state le finanziarie degli ultimi 10 anni a tagliare eppoi a non ripristinare fondi adeguati per
le bonifiche dei siti inquinati sia nazionali che regionali. Le Regioni a loro
volta poco hanno fatto per compensare questo vuoto anche per le cifre enormi in
ballo.
Detto ciò La frase in se
non ha molto significato giuridico amministrativo.
Dal punto di vista della disciplina delle bonifiche. Attualmente la normativa (in particolare il TU ambientale (titolo V Parte IV DLgs 152/2006) riconosce alla Regione strumenti per garantire la correlazione richiesta dal documento proposto dalla Giunta : accordi di programma (articolo 246), procedura Siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale (articolo 252-bis DLgs 152/2006). Senza considerare le norme che permettono accordi con i privati con procedure semplificate per bonificare i siti inquinati in assenza di adeguati investimenti pubblici. Che elenco nell’allegato A alla [NOTA 3] . Su questo ultimo punto il Consiglio Regionale (nel caso del sito di Pitelli declassificato a sito regionale e quindi di competenza della Giunta Regionale) ha approvato una mozione a suo tempo che prevedeva impegni presi per la Giunta rimasti in gran parte lettera morta se non qualche finanziamento limitato ad aree specifiche. Per non parlare delle aree militari sulle quali la Giunta Regionale avrebbe da tempo potuto attivarsi in base alle norme dello stesso Codice Militare[NOTA 1] oltre che dell’articolo 241-bis del DLgs 152/2006
Dal punto di vista della disciplina della prevenzione e risarcimento
del danno ambientale (Parte IV DLgs 152/2006). Se la Giunta intende fare
riferimento all’articolo 306-bis [NOTA 2]
del DLgs 152/2006 (Determinazione delle misure per il risarcimento del
danno ambientale e il ripristino ambientale) queste si riferiscono ai siti di
bonifica di interessa nazionale e comunque questa procedura prevede un ruolo
preciso della Regione nella Conferenza dei Servizi. Qui ci potrebbero essere
margini di riforma/aggiornamento della norma prevedendo un accordo di programma
Stato Regione interessato per approvare in via definitiva la transazione
disciplinata da questo articolo.
Peraltro sarebbe
interessante capire perché la Regione non ha mai attivato l’articolo 309 del DLgs 152/2006 secondo il quale: “1. Le regioni, le province autonome e gli enti
locali, anche associati, nonché le persone fisiche o giuridiche che sono o che
potrebbero essere colpite dal danno ambientale o che vantino un interesse
legittimante la partecipazione al procedimento relativo all'adozione delle
misure di precauzione, di prevenzione o di ripristino previste dalla parte
sesta del presente decreto possono presentare al Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare, depositandole presso le Prefetture - Uffici
territoriali del Governo, denunce e osservazioni, corredate da documenti ed
informazioni, concernenti qualsiasi caso di danno ambientale o di minaccia
imminente di danno ambientale e chiedere l'intervento statale a tutela
dell'ambiente a norma della parte sesta del presente decreto.”
Se infine la Giunta
Regionale si riferisce all’articolo 311
DLgs 152/2006 (azione risarcimento
danno ambientale) qui conta la sentenza della Corte Costituzionale n. 126 del
2016.
il giudice che ha rinviato alla Corte Costituzionale prospetta (in
riferimento agli artt. 3, 9, 24 e 32 della Costituzione) che l’accentramento
della legittimazione ad agire in capo ad un solo soggetto (ex articolo 311 DLgs
152/2006: il Ministero dell’Ambiente) non garantirebbe un sufficiente livello di tutela
della collettività e della comunità, nonché degli interessi all’equilibrio
economico, biologico e sociologico del territorio, comportando l’irragionevole
sacrificio di un aspetto ineludibile nel sistema di tutela. Inoltre (art. 3
Cost., principio di ragionevolezza) l’esclusione della possibilità di agire in
giudizio per la Regione e per egli enti territoriali, soggetti esponenziali
della collettività che opera nel territorio leso che è parte costitutiva della
soggettività degli stessi, rispetto allo Stato, darebbe luogo a disparità di
trattamento tra soggetti portatori di identica posizione giuridica.
Secondo la Corte Costituzionale le cose non stanno così:
La Corte afferma che Il riconoscimento dell’esistenza di un bene
ambiente quale «bene immateriale unitario» non è fine a se stesso, ma
funzionale all’affermazione della esigenza sempre più avvertita della
uniformità della tutela, uniformità che solo lo Stato può garantire, senza
peraltro escludere che anche altre istituzioni potessero e dovessero farsi
carico degli indubbi interessi delle comunità che direttamente fruiscono del
bene.
Sul punto la Corte già con
sentenza n. 235 del 2009 affermò che
“la scelta di attribuire all’amministrazione statale le funzioni amministrative
trova una non implausibile giustificazione nell’esigenza di assicurare che
l’esercizio dei compiti di prevenzione e riparazione del danno ambientale
risponda a criteri di uniformità e unitarietà, atteso che il livello di tutela
ambientale non può variare da zona a zona e considerato anche il carattere
diffusivo e transfrontaliero dei problemi ecologici, in ragione del quale gli
effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro un
preciso e limitato ambito territoriale”.
Tornando alla Sentenza
della Corte Costituzionale 126/2016 questa ha avuto modo di affermare che con la Direttiva 21 aprile 2004, n. 2004/35/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità
ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale) Solo
qualora la riparazione primaria non dia luogo a un ritorno dell’ambiente alle
condizioni originarie, si intraprenderà la riparazione complementare e quella
compensativa. Quindi sempre secondo la sentenza in esame: una volta messo al centro del sistema il
ripristino ambientale, emerge con forza l’esigenza di una gestione unitaria: un
intervento di risanamento frazionato e diversificato, su base “micro
territoriale”, oltre ad essere incompatibile sul piano teorico con la natura
stessa della qualificazione della situazione soggettiva in termini di potere
(funzionale), contrasterebbe con l’esigenza di una tutela sistemica del bene;
tutela che, al contrario, richiede sempre più una visione e strategie
sovranazionali, come posto in evidenza, oltre che dalla disciplina comunitaria,
dall’ultima Conferenza internazionale sul clima tenutasi a Parigi nel 2015,
secondo quanto previsto dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici.
È in questo
contesto normativo e giurisprudenziale che si inserisce la nuova disciplina del
potere di agire in via risarcitoria (d.lgs. n. 152 del 2006),
All’esigenza di unitarietà della gestione del bene “ambiente” non può
infatti sottrarsi la fase risarcitoria. Essa, pur non essendo certo
qualificabile come amministrativa, ne costituisce il naturale completamento,
essendo volta a garantire alla istituzione su cui incombe la responsabilità del
risanamento, la disponibilità delle risorse necessarie, risorse che hanno
appunto questa specifica ed esclusiva destinazione.
Ciò non
esclude – afferma la sentenza 126/2016 − che ai sensi dell’art. 311 del d.lgs.
n. 152 del 2006 sussista il potere di agire di altri soggetti, comprese le
istituzioni rappresentative di comunità locali, per i danni specifici da essi
subiti. La Corte di cassazione ha più volte affermato in proposito che la
normativa speciale sul danno ambientale si affianca (non sussistendo alcuna
antinomia reale) alla disciplina generale del danno posta dal codice civile,
non potendosi pertanto dubitare della legittimazione degli enti territoriali a
costituirsi parte civile iure proprio, nel processo per reati che abbiano
cagionato pregiudizi all’ambiente, per il risarcimento non del danno
all’ambiente come interesse pubblico, bensì (al pari di ogni persona singola od
associata) dei danni direttamente subiti: danni diretti e specifici, ulteriori
e diversi rispetto a quello, generico, di natura pubblica, della lesione
dell’ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo
costituzionale.
La questione
appare inutile considerata la evoluzione della normativa in materia. In particolare il comma 3-ter dell'aricolo 6 del DLgs 152/2006 recita: “3-ter. Per progetti di opere e interventi da realizzarsi nell'ambito
del Piano regolatore portuale, già sottoposti ad una valutazione ambientale
strategica, e che rientrano tra le categorie per le quali è prevista la
Valutazione di impatto ambientale, costituiscono dati acquisiti tutti gli
elementi valutati in sede di VAS o comunque desumibili dal Piano regolatore
portuale.
Qualora il Piano regolatore Portuale ovvero le
rispettive varianti abbiano contenuti tali da essere sottoposti a valutazione
di impatto ambientale nella loro interezza secondo le norme comunitarie, tale
valutazione è effettuata secondo le modalità e le competenze previste dalla
Parte Seconda del presente decreto ed è integrata dalla valutazione ambientale
strategica per gli eventuali contenuti di pianificazione del Piano e si
conclude con un unico provvedimento.”
Come si vede la norma
prevede soprattutto nel secondo capoverso:
1. Ai PRP si applica la VAS ordinaria e non la semplice
verifica compresi le varianti ai PRP esistenti
2. Se il PRP è sottoposto anche a VIA per le singole
opere in esso previste (es. nuove banchine) allora si può fare un procedimento
unico VAS e VIA con un provvedimento unico.
Come funzionano le competenze in questo caso ma anche nel caso in cui ci sia solo la VAS sul PRP senza la VIA su progetti e opere?
La VAS è comunque di
competenza della Regione perché secondo i commi 1 e 2 dell’articolo 7 del DLgs
152/2006:
“1. Sono sottoposti a VAS in sede statale i piani e programmi di cui
all'articolo 6, commi da 1 a 4, la cui approvazione compete ad organi dello
Stato.
2. Sono sottoposti a VAS secondo le disposizioni delle
leggi regionali, i piani e programmi di cui all'articolo 6, commi da 1 a 4, la
cui approvazione compete alle regioni e province autonome o agli enti locali.”
Il PRP anche per i porti
di interesse nazionali come quelli liguri di Savona, Genova, Spezia deve essere
approvato dalla Regione, anzi per essere precisi dal Consiglio Regionale, dopo
lo svolgimento della VAS. Questo è previsto
dal comma 3 articolo 5 della legge quadro sui porti 84/1994
Come deve svolgersi la procedura di VAS nel caso in cui sia integrata dalla VIA?
Forse il Presidente non è a conoscenza del fatto che MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL
TERRITORIO E DEL MARE (MATTM) - DIREZIONE GENERALE PER LE VALUTAZIONI
AMBIENTALI - DIVISIONE VAS - MINISTERO
PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI (MI.BAC)
DIREZIONE GENERALE PER IL PAESAGGIO, LE BELLE ARTI, L'ARCHITETTURA E
L'ARTE CONTEMPORANEE - SERVIZIO IV - TUTELA E QUALITÀ DEL PAESAGGIO - ISTITUTO
SUPERIORE PER LA PROTEZIONE AMBIENTALE (ISPRA) - REGIONI E PROVINCE AUTONOME, nel 2011 hanno
firmato un protocollo intitolato “VIA – VAS
proposta per il coordinamento e l’integrazione delle procedure” che
al capitolo 2 prevede: “ipotesi di una procedura VIA – VAS integrata per i piani regolatori portuali”.
Ebbene per farla breve
questo documento, firmato anche dalle Regioni a pagina 8 punto 1.1 afferma: “ la comunicazione da parte dell’Autorità
Portuale, in qualità di autorità proponente per la VIA e di autorità procedente
per la VAS, al MATTM, in qualità di autorità competente per la VIA statale, al
MiBAC, in qualità di autorità concertante con il MATTM per la VIA statale, e
alla Regione, in qualità di autorità competente per la VAS regionale, di
voler dare avvio ad una procedura di Procedura integrata VIA - VAS.”
Il fatto che questa
procedura integrata secondo gli indirizzi di questo Protocollo si conclude con
un provvedimento unico del ministero dell’Ambiente è un fatto meramente formale
di semplificazione perché la Regione in quanto Autorità Competente della VAS è
responsabile della istruttoria della stessa e le conclusioni della VAS saranno
integrate con quelle sulla VIA dentro il provvedimento unico.
Richiesta ridondante.
Infatti il comma 7 articolo 7 DLgs 152/2006 recita: “7. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano
disciplinano con proprie leggi e regolamenti le competenze proprie e quelle
degli altri enti locali in materia di VAS e di AIA.”
Peraltro e non a caso
molte Regioni disciplinano le competenze decentrate agli enti locali in materia
di molte categorie di opere.
Infine occorre dire che
qui la Regione Liguria ha già peccato di inutile centralismo abrogando
totalmente la legge regionale sulla VIA quando la riforma del 2014 del testo
unico ambientale sul punto richiedeva un semplice aggiornamento come hanno
fatto molte Regioni.
Il paesaggio è, come
tutela, nelle materia di competenza esclusiva dello stato: lettera s) comma 1
articolo 117 e non può essere trasferito alla Regione neppure con la procedura
ex comma 3 articolo 116 della Costituzione.
Rileva, sul punto, la sentenza della Corte Costituzionale n. 210 del 2016 relativa proprio ad una caso
ligure (il rapporto tra pianificazione paesaggistica e territoriale nel caso
piano cave) nella quale si afferma: “questa
Corte, già nella sentenza
n. 407 del 2002, ha ritenuto che la tutela dell'ambiente non possa
identificarsi con una materia
in senso stretto,
dovendosi piuttosto intendere
come un valore
costituzionalmente protetto, integrante
una sorta di «materia trasversale».
Proprio la trasversalita' della
materia implica l'esistenza
di «competenze diverse che
ben possono essere
regionali», con la conseguenza che allo Stato sarebbe
riservato solo «il
potere di fissare standards
di tutela uniformi
sull'intero territorio nazionale,
senza peraltro escludere in questo settore
la competenza regionale alla cura
di interessi funzionalmente collegati con
quelli propriamente ambientali» (sentenza n. 407 del 2002). Successivamente,
peraltro, questa Corte ha
chiarito che alle Regioni non e' consentito apportare deroghe
in peius rispetto
ai parametri di tutela dell'ambiente fissati dalla normativa statale (ex
plurimis sentenza n. 300 del 2013,
secondo cui «la
giurisprudenza costituzionale
e' costante nell'affermare che
la "tutela dell'ambiente"
rientra nelle competenze legislative
esclusive dello Stato e che,
pertanto, le disposizioni legislative
statali adottate in tale ambito
fungono da limite alla disciplina
che le Regioni, anche a statuto speciale, dettano
nei settori di
loro competenza, essendo ad esse
consentito soltanto eventualmente di
incrementare i livelli della tutela ambientale, senza
però compromettere il punto di equilibrio tra esigenze
contrapposte espressamente individuato dalla norma dello Stato»). “
Intanto la dizione
andrebbe chiarita. Per servizi di tutela ambientale si intende l’organizzazione
amministrativa della Regione in materia? Se è così il punto di questo obiettivo
è coordinarli con la attività della Agenzia in chiave innovativa.
Qui con tutto il rispetto
per la buona fede di chi ha scritto questo “obiettivo” occorre rilevare che si
è persa una occasione fondamentale per il potenziamento della autonomia non
della Regione ma della Agenzia questione centrale per un modello di governo
delle politiche ambientali fondato sulla reale terzietà tra controllori e
controllati.
Li gli emendamenti
presentati da 5stelle sono stati tutti sonoramente bocciati dalla maggioranza
senza neppure discuterli seriamente. Questi emendamenti si fondavano sui
seguenti principi ineludibili per una riforma adeguata del sistema agenzia
anche tenendo conto delle esperienze innovative di altre Regioni:
Questioni da affrontare nella riforma dell'Arpal
La terzietà
delle istruttorie che portano ai processi decisionali in particolare quelli
strategici (VIA, VAS, AIA)
Terzietà rispetto al livello politico amministrativo che decide la
conclusione del procedimento
La distinzione
tra funzioni di autorizzazione e controllo
L’inserimento degli aspetti di prevenzione sanitaria nei processi
decisionali fin dalla fase della predisposizione dei dati su cui si fondano
progetti e piani/programmi.
Le funzioni di
Polizia Giudiziaria delle ARPA
Si veda il via libera del Governo alla legge regionale Toscana
n.12/2013, con la quale sono state definite le modalità di riconoscimento di
tale ruolo per il personale di controllo dell’Agenzia. Il Consiglio dei
Ministri, nella sua riunione del 24 maggio,ha deciso di non esprimere rilievi
nei confronti della legge regionale Toscana n.12/2013 che ha aggiunto
all’art.35 “Disposizioni sul personale addetto alle attività di ispezione e
vigilanza” della legge 30/2009 che disciplina il funzionamento dell’Agenzia, il
seguente comma: “1 bis. Nell’organizzazione dei compiti di cui al comma 1,
il direttore generale, con atto di natura ricognitiva, individua il personale
che, nell’ambito delle attività di ispezione e vigilanza di cui all’articolo 7
, dalle quali consegue l’accertamento di illeciti ambientali, svolge funzioni
di ufficiale di polizia giudiziaria ai sensi della normativa statale vigente.”
Con questo provvedimento legislativo la Regione Toscana aveva inteso
chiarire taluni pareri strumentalizzati, da alcune strutture regionali, che
avevano messo in discussione la possibilità per l’Agenzia di riconoscere il
ruolo di ufficiali di polizia giudiziaria al proprio personale che svolge
attività di controllo ambientale sul territorio. La decisione del Governo ha
quindi sancito questa possibilità, dando quindi un importante contributo al
rafforzamento del ruolo dell’Agenzia nell’assicurare il rispetto delle
normative ambientali
Linee di
riorganizzazione delle Arpa
La riorganizzazione dell’Arpal deve rispondere a queste esigenze che
nascono da le seguenti necessità:
1. Svolgere istruttorie efficaci per produrre decisioni meno
contestabili nel merito
2. Garantire trasparenza e indipendenza nella elaborazione dei dati,
analisi che portano alle decisioni. Le
Agenzie dovranno inoltre diventare il luogo degli “Osservatori”: dovranno
essere in grado di rappresentare i luoghi della conoscenza, ma anche i punti di
incontro e confronto delle strategie settoriali, base per l'elaborazione delle
politiche settoriali, luoghi di confronto con i portatori di interesse.
3. Migliorare il sistema dei controlli pubblici rendendolo indipendente
dal livello sia istruttorio che decisionale
4. Introdurre la prevenzione sanitaria come elemento costitutivo
realizzando un reale coordinamento tra strutture Arpal e strutture prevenzione
asl.
5. avere reale autonomia finanziaria programmabile sulla lunga scadenza
e non sulla base di programmi annuali decisi dal livello politico regionale.
Fondamento
giuridico istituzionale di quanto sopra indicato: nella evoluzione della
normativa ambientale di ultima generazione: VIA, VAS, AIA
- superamento dell’approccio settoriale nella tutela
ambientale ;
- passare all’approccio preventivo ed integrato per tutelare
l’ambiente nel suo complesso ;
- passare dalle autorizzazioni di settore ad un sistema di
autorizzazione distinte per categorie di attività e di sostanze
emesse ;
- introduzione di un legame tra i valori di emissione ex legge la
specificità del sito interessato in termine di prescrizioni specifiche
derivanti dai dati sul territorio oltre che dal sistema integrato dei controlli
Quindi: Arpal, proprio per le sue caratteristiche di ente
autonomo ed interno alla rete del Sistema nazionale per la protezione
dell’ambiente come disciplinato dalla legge 132/2016, può costituire il
soggetto tecnico scientifico a supporto dell’integrazione e unificazione delle
autorizzazioni e procedure in sede politico amministrativa.
La sentenza della
Corte Costituzionale sulla natura e funzioni delle Arpa
Quanto sopra in coerenza
con quanto scritto nella sentenza della Corte Costituzionale n. 132 del 2017
sulla natura delle Arpa e sulla loro necessaria autonomia dal livello politico
amministrativo. Afferma la sentenza di cui si riportano i passi essenziali:
“il sistema organizzativo e
funzionale delineato dalle
nuove disposizioni sui controlli ambientali e sull'istituzione
dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente appare nel
suo complesso diretto ad innovare
profondamente la disciplina del settore. Il nuovo assetto normativo segue
principi che vedono enucleate
le funzioni tecnico-scientifiche,
di consulenza e controllo, da
tenere separate
dall'amministrazione attiva e da esercitare
ai distinti livelli, statale e provinciale
(o regionale), mediante
apposite agenzie, dotate di
autonomia» (sentenza n. 356 del 1994).
Va ricordato che la legge 28 giugno
2016, n. 132 (Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione
dell'ambiente e disciplina dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca
ambientale), al dichiarato fine
di «assicurare omogeneità
ed efficacia all'esercizio
dell'azione conoscitiva e di controllo
pubblico della qualità
dell'ambiente a supporto delle politiche
di sostenibilità ambientale e
di prevenzione sanitaria
a tutela della
salute pubblica», ha istituito il Sistema
nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, del quale fanno parte
l'Istituto superiore per la
protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e le ARPA, rispetto
alle quali e' stata ribadita la natura tecnica delle
attività da esse svolte.
Dal quadro normativo così delineato
dal legislatore statale, discende che l'autonomia diviene
un requisito qualificante
della singola Agenzia, come del sistema in generale, poiché solo grazie
ad esso può essere
garantito il rispetto
dei criteri operativi, puramente tecnico-scientifici, cui
il sistema stesso deve attenersi.”
Qui occorre dire che già la
legge regionale 18/1999 articolo 10 prevede tra gli altri i seguenti compiti
della Regione:
a) la concertazione con lo Stato degli indirizzi generali in materia
ambientale e la determinazione degli obiettivi di qualità e sicurezza e con
l'Unione Europea in relazione alla attuazione delle politiche comunitarie di
settore;
i) i provvedimenti di urgenza ai fini di prevenzione del danno
ambientale.
L’articolo
23 della legge regionale 18/1999 in materia di rifiuti prevede tra le altre la
funzione regionale relativa: "c) l'emanazione di atti straordinari per sopperire a situazioni di
necessità o di urgenza l’articolo
47 della legge regionale 18/1999 prevede poteri sostitutivi e commissari ad
acta per i piani rifiuti di ambito".
Per non
parlare, per fare un altro esempio, dei poteri sostitutivi della Regione nei
confronti degli enti locali che non ritengono di partecipare agli ATO per i
servizi pubblici a rilevanza economica.
Peraltro
sul rapporto con enti sub regionali è da tempo dimenticato l’articolo 118 della
Costituzione che prevede :” Le
funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne
l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni
e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza. I Comuni, le Province e le
Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di
quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive
competenze “ . Quindi si afferma una regola generale le
funzioni ai Comuni per cui si dovrà ritenere possibile una vera e propria
amministrazione statale solo per le
materie di competenza legislativa esclusiva, mentre nelle materie di competenza
concorrente e per tutte le altre
individuate con clausola generale residuale a favore di regioni ed enti
locali si deve ritenere esistente una vera e propria riserva di amministrazione
regionale e locale.
Non solo ma il fallimento del recente referendum costituzionale ha
mantenuto il ruolo delle Province oltre che delle Città Metropolitane e prima
ancora di parlare di poteri sostitutivi e di commissari sarebbe il caso
affrontare la questione di ridare un ruolo alle Province quale più vicino ai
territori ma allo stesso tempo con una visione di area vasta.
La questione va vista alla
luce della giurisprudenza costituzionale in materia : sentenza n. 32 del 2015
(su legge regionale ligure ato idrico), sentenza Corte Costituzionale n°160 del 2016 Obbligo,
per gli enti locali, di adesione agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali
ottimali, istituiti per l'organizzazione dei servizi stessi Esercizio
di poteri sostitutivi da parte del Presidente della Regione in caso di
inosservanza. -
Infatti vengono toccate
materie di competenza esclusiva dello stato: (concorrenza e ambiente) ex
articolo 117. I principi espressi dalla corte costituzionali quindi non possono
essere derogati neppure dalla procedura di cui all’articolo 116 come già
spiegato in precedenza.
Obiettivo questo
assolutamente inaccettabile che se esteso su scala nazionale, sotto il profilo
sostanziale, permetterebbe un far west nella gestione del ciclo dei rifiuti con
il rischio che di migrazioni di rifiuti nelle Regioni con la normativa più
“semplificata” e “favorevole” alla deroga alla normativa sui rifiuti. Il tutto
con buona pace di altri principi costituzionali: libera concorrenza, libertà di
impresa, eguaglianza di fronte alla legge.
Oltre al dato che nella
materia ambiente di competenza esclusiva dello Stato quest’ultimo ha potere di
regolamentazione anche tecnica.
Si veda:
Corte Costituzionale
sentenza del 2009 N. 249
“La disciplina dei rifiuti si colloca, per giurisprudenza di questa
Corte, nell'ambito della tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art.117,
secondo comma, lettera s), Cost., anche
se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi
riservato allo Stato il potere di fissare livelli di
tutela uniforme sull'intero territorio nazionale,
restando ferma la competenza delle
Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente
ambientali (ex multis, sentenze n.62 del 2008).
Pertanto, anche nel settore dei rifiuti, accanto ad
interessi inerenti in via primaria alla tutela dell'ambiente, possono venire in
rilievo interessi sottostanti ad altre
materie, per cui la «competenza statale non esclude la concomitante possibilità
per le Regioni di intervenire [...]», ovviamente nel rispetto dei livelli uniformi di tutela
apprestati dallo Stato (sentenza n.62
del 2005, altresì, sentenze n.247 del 2006, n.380 e n.12 del 2007). “
Corte Costituzionale 2009
N.233
“nella materia della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, lo Stato
non si limita a dettare norme di principio, anche riguardo alle funzioni amministrative, la
cui attribuzione può essere disposta in base ai criteri generali dettati
dall'art. 118, primo comma, Cost. (sentenze n.88 del 2009 e n.62 del 2005), del
resto compatibile con la disciplina dell'ambiente (sentenza n. 401 del 2007).
“
Altra cosa è quando la
legge attribuisce poteri alle Regioni anche nella materia ambiente.
Si veda Corte
Costituzionale del 2009 N. 249
“ 18.– La Regione Calabria
propone questione di legittimità costituzionale nei confronti dell’art.205,
comma 6, nella parte in cui, prevedendo che le Regioni possano indicare
maggiori obiettivi di riciclo e di recupero dei rifiuti tramite apposita legge, previa intesa con il
Ministro dell’ambiente, produrrebbe un
anomalo vincolo amministrativo sulla funzione legislativa regionale, in
violazione degli artt. 114 e 117 Cost.
La
questione è fondata.
La sottoposizione a vincoli procedimentali
dell’esercizio della competenza
legislativa regionale in tema di individuazione di maggiori obiettivi di
riciclo e recupero dei rifiuti, che la stessa norma statale impugnata
attribuisce ad essa, determina
evidentemente una lesione della sfera di competenza regionale, posto che questa
Corte ha già affermato che l’esercizio dell’attività legislativa sfugge alle procedure di leale
collaborazione (sentenza n.159 del
2008).”
Peraltro la normativa
nazionale sul punto ha già ampiamente previsto la declassificazione di numerose
tipologie di materiali prima considerati rifiuti con problematiche ambientali
ma anche penali note. Sia sufficiente pensare alla questione delle terre e rocce
di scavo.
NOTE
1. Nel rispetto dei criteri di cui al comma 2 e tenuto
conto del quadro comune da rispettare di cui all’allegato 3 alla presente parte
sesta, il soggetto nei cui confronti il Ministero dell’ambiente e della tutela
del territorio e del mare ha avviato le procedure di bonifica e di riparazione
del danno ambientale di siti inquinati di interesse nazionale ai sensi
dell’articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, dell’articolo 17 del
decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, nonché ai sensi del titolo V della
parte quarta e della parte sesta del presente decreto, ovvero ha intrapreso la
relativa azione giudiziaria, può formulare una proposta transattiva.
2. La proposta di
transazione di cui al comma 1:
a) individua gli interventi
di riparazione primaria, complementare e compensativa;
b) ove sia formulata per la riparazione compensativa, tiene conto del tempo necessario per conseguire
l’obiettivo della riparazione primaria o della riparazione primaria e complementare;
c) ove i criteri risorsa-risorsa e servizio-servizio non siano applicabili per la determinazione delle misure complementari e compensative, contiene una liquidazione del danno mediante una valutazione economica;
d) prevede comunque un piano di monitoraggio e controllo qualora all’impossibilità della riparazione primaria corrisponda un inquinamento residuo che comporta un rischio per la salute e per l’ambiente;
e) tiene conto degli interventi di bonifica già approvati e realizzati ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto;
f) in caso di concorso di più soggetti nell’aver causato il danno e negli obblighi di bonifica, può essere formulata anche da alcuni soltanto di essi con riferimento all’intera obbligazione, salvo il regresso nei confronti degli altri concorrenti;
g) contiene l’indicazione di idonee garanzie finanziarie.
b) ove sia formulata per la riparazione compensativa, tiene conto del tempo necessario per conseguire
l’obiettivo della riparazione primaria o della riparazione primaria e complementare;
c) ove i criteri risorsa-risorsa e servizio-servizio non siano applicabili per la determinazione delle misure complementari e compensative, contiene una liquidazione del danno mediante una valutazione economica;
d) prevede comunque un piano di monitoraggio e controllo qualora all’impossibilità della riparazione primaria corrisponda un inquinamento residuo che comporta un rischio per la salute e per l’ambiente;
e) tiene conto degli interventi di bonifica già approvati e realizzati ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto;
f) in caso di concorso di più soggetti nell’aver causato il danno e negli obblighi di bonifica, può essere formulata anche da alcuni soltanto di essi con riferimento all’intera obbligazione, salvo il regresso nei confronti degli altri concorrenti;
g) contiene l’indicazione di idonee garanzie finanziarie.
3. Il Ministero dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare, con proprio decreto, dichiara
ricevibile la proposta di transazione, verificato che ricorrono i requisiti di
cui al comma 2, ovvero respinge la proposta per assenza dei medesimi requisiti.
4. Nel caso in cui dichiari
ricevibile la proposta di transazione, il Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare convoca, entro trenta giorni, una conferenza
di servizi alla quale partecipano la regione e gli enti locali territorialmente
coinvolti, che acquisisce il parere dell’Istituto superiore per la protezione e
la ricerca ambientale (ISPRA) e dell’Istituto superiore di sanità. In ogni caso
il parere tiene conto della necessità che gli interventi proposti, qualora non
conseguano il completo ripristino dello stato dei luoghi, assicurino comunque
la funzionalità dei servizi e delle risorse tutelate e colpite dall’evento
lesivo. Della conferenza di servizi è data adeguata pubblicità al fine di
consentire a tutti i soggetti interessati di formulare osservazioni.
5. La conferenza di
servizi, entro centottanta giorni dalla convocazione, approva, respinge o
modifica la proposta di transazione. La deliberazione finale è comunicata al
proponente per l’accettazione, che deve intervenire nei successivi sessanta giorni.
Le determinazioni assunte all’esito della conferenza sostituiscono a tutti gli
effetti ogni atto decisorio comunque denominato di competenza delle
amministrazioni partecipanti alla predetta conferenza o comunque invitate a
partecipare ma risultate assenti.
6. Sulla base della
deliberazione della conferenza accettata dall’interessato, il Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare predispone uno schema di
transazione sul quale è acquisito il parere dell’Avvocatura generale dello Stato,
che lo valuta anche tenendo conto dei presumibili tempi processuali e, ove
possibile, dei prevedibili esiti del giudizio pendente o da instaurare.
7. Acquisito il parere di
cui al comma 6, lo schema di transazione, sottoscritto per accettazione dal proponente,
è adottato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio
e del mare e sottoposto al controllo preventivo di legittimità della Corte dei
conti ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20.
8. Nel caso di
inadempimento, anche parziale, da parte dei soggetti privati, delle
obbligazioni dagli stessi assunte in sede di transazione nei confronti del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, quest’ultimo,
previa diffida ad adempiere nel termine di trenta giorni e previa escussione
delle garanzie finanziarie prestate, può dichiarare risolto il contratto di
transazione. In tal caso, le somme eventualmente già corrisposte dai contraenti
sono trattenute dal Ministero in acconto dei maggiori importi definitivamente
dovuti per i titoli di cui al comma 1.
ALLEGATO A
Come coinvolgere investitori privati nella bonifica dei siti inquinati
1. Dal 2005 è in vigore
una norma contenuta nel comma 434 della legge finanziaria 2006 che
prevede, al fine di consentire nei siti di bonifica di interesse
nazionale (vedi Pitelli) la realizzazione degli interventi di messa in
sicurezza d'emergenza - caratterizzazione - bonifica e ripristino ambientale
delle aree inquinate per le quali sono in atto procedure fallimentari, siano
sottoscritti accordi di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela
del territorio, la regione, le province, i comuni interessati con i quali sono
individuati la destinazione d'uso delle suddette aree, anche in variante allo
strumento urbanistico, gli interventi da effettuare, il progetto di
valorizzazione dell'area da bonificare, incluso il piano di sviluppo e di
riconversione delle aree, e il piano economico e finanziario degli
interventi, nonché le risorse finanziarie necessarie per ogni area, gli impegni
di ciascun soggetto sottoscrittore e le modalità per individuare il soggetto
incaricato di sviluppare l'iniziativa.
2. la legge finanziaria
2007 che al comma 996 articolo 1 che ha permesso di effettuare il
dragaggio e la bonifica, contemporaneamente, superando la necessità di
bonificare le aree più inquinate e la verifica del collegamento tra le diverse
aree inquinate del sistema golfo. Ovviamente invece che usare in positivo
questa norma a Spezia è stata usata per produrre il disastro che sappiamo ma
questo non significa che non si possa farne nel futuro un uso corretto.
3. Articolo 252 bis al
DLgs 152/2006 (c.d. Testo Unico Ambientale) che, in deroga alle procedure
di bonifica ordinarie, prevede la individuazione di siti di interesse pubblico
ai fini dell'attuazione di programmi ed interventi di riconversione industriale
e di sviluppo economico produttivo, contaminati da eventi antecedenti al 30
aprile 2006, praticamente tutti i siti industriali inquinati visto che il 2006
è una data piuttosto vicina al presente. Peraltro questa norma è contenuta
nell’articolo 10 della attuale LR 10/2009 che ha sostituito la LR 18/1999
sopra citata. In particolare la norma regionale del 2009 prevede che insieme
con il progetto di bonifica sia già definita la destinazione urbanistica
dell’area.
4. Legge 13/2009 che,
all’articolo 2 prevede una procedura alternativa a quella definita dalla
legislazione vigente in materia di copertura di oneri di bonifica e
risarcimento danno ambientale nei siti di bonifica di interesse nazionale.
Questa norma deve però rispettare nella sua attuazione il principio
fondamentale della riduzione in pristino (cioè del riportare l'area da
bonificare allo stato precedente all’inquinamento) altrimenti andrebbe in
contrasto con la Direttiva sulla responsabilità ambientale in materia di
prevenzione e e riparazione del dannoambientale.
5. Decreto legge c.d.
Salva Italia (comma 5 articolo 40 Decreto Legge 201/2011 ). La norma
prevede la possibilità di effettuare la bonifica di siti inquinati di livello
regionale (quindi ora anche per il sito di Pitelli declassato a livello locale)
in modo che il progetto di bonifica possa essere articolato per fasi
progettuali distinte al fine di rendere possibile la realizzazione degli
interventi per singole aree o per fasi temporali successive. Inoltre sempre al
comma 9 dell’articolo 242 del DLgs 152/2006 viene aggiunta la possibilità di
autorizzare interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di messa in
sicurezza degli impianti e delle reti tecnologiche, purché non
compromettano la possibilità di effettuare o completare gli interventi di
bonifica che siano condotti adottando appropriate misure di prevenzione
dei rischi.Concetto ulteriormente rafforzato con la legge 27/2012
per il dragaggio nei siti di bonifica nazionale proprio come quello di Pitelli:
norma finalizzata chiaramente a favorire e semplificare le procedura di
autorizzazione dei dragaggi per i porti commerciali.
6. l’articolo 57 del
Decreto Legge semplificazioni (convertito con Legge 35/2012) al comma 9 ha
previsto che: “9. Nel caso di attività di reindustrializzazione
dei siti di interesse nazionale, i sistemi di sicurezza
operativa già in atto possono continuare a essere eserciti senza
necessità di procedere contestualmente alla bonifica, previa
autorizzazione del progetto di riutilizzo delle aree interessate,
attestante la non compromissione di eventuali successivi interventi di
bonifica”, quindi non c’è bisogno di bonifica se l’obiettivo è quello della
reindustrializzazione del sito inquinato limitandosi solo a chiedere di
garantire un non peggioramento dell’inquinamento.
7. articolo 4 legge
9/2014: accordi di programma delle istituzioni pubbliche con uno o più
proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati ad attuare
progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di riconversione
industriale e sviluppo economico in siti di interesse nazionale promuovere il
riutilizzo di tali siti in condizioni di sicurezza sanitaria e ambientale, e di
preservare le matrici ambientali non contaminate. L’accordo di programma
prevederà, tra l’altro, anche l’entità dei contributi pubblici alla bonifica
dei siti interessati. L'attuazione da parte dei soggetti interessati degli
impegni di messa in sicurezza, bonifica, monitoraggio, controllo e
relativa gestione, e di riparazione, individuati dall'accordo di programma
esclude per tali soggetti ogni altro obbligo di bonifica e
riparazione ambientale e fa venir meno l'onere reale per tutti i fatti
antecedenti all'accordo medesimo. La revoca dell'onere reale per tutti i fatti
antecedenti all'accordo di programma previsto dalle misure volte a favorire la
realizzazione delle bonifiche dei siti di interesse nazionale è
subordinata, nel caso di soggetto interessato responsabile della contaminazione,
al rilascio della certificazione dell'avvenuta bonifica e messa in
sicurezza dei siti inquinati ai sensi dell'articolo
248. Nel caso di soggetto interessato responsabile della contaminazione,
i contributi e le misure non potranno riguardare le attività di messa in
sicurezza, di bonifica e di riparazione del danno ambientale di competenza
dello stesso soggetto, ma esclusivamente l'acquisto di beni strumentali
alla riconversione industriale e allo sviluppo economico dell'area.
8. comma 9 articolo 13 del
Decreto Legge 91/2014 che estende l’utilizzo delle somme stanziate dal
fondo previsto dalla legge di stabilità 2014 (combinato disposto commi 6 e 7
articolo 1) non solo ai siti di bonifica di interesse nazionale ma anche a
quelli che contengano inquinamento da amianto.
9. Legge 23 dicembre
2014, n. 90 (legge di stabilità 2015) al comma 551 articolo 1
prevede:"Nei siti inquinati, nei quali sono in corso o non sono
ancora avviate attività di messa in sicurezza e di bonifica, possono
essere realizzati interventi e opere richiesti dalla normativa
sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, di manutenzione ordinaria
e straordinaria di impianti e infrastrutture, compresi adeguamenti
alle prescrizioni autorizzative, nonché opere lineari necessarie per l'esercizio
di impianti e forniture di servizi e, più in generale, altre opere lineari
di pubblico interesse a condizione che detti interventi e opere siano
realizzati secondo modalità e tecniche che non pregiudicano ne'
interferiscono con il completamento e l'esecuzione della bonifica, né
determinano rischi per la salute dei lavoratori e degli altri fruitori
dell'area".
10. Decreto direttoriale
18 maggio 2015 che fissa modalità e termini di presentazione delle istanze
di concessione del credito d’imposta per le imprese sottoscrittrici di accordi
di programma nei Siti inquinati di interesse nazionale. Si veda anche il
Comunicato del Ministero dello Sviluppo Economico QUI.
11. Legge 28 dicembre
2015, n. 221 ha introdotto l'articolo 306-bis al DLgs 152/2006 (T.U.
ambientale) che disciplina una procedura di transazione tra soggetti impegnati
nella bonifica e Ministero dell'Ambiente che:
a) individua gli interventi di riparazione primaria,
complementare e compensativa;
b) ove sia formulata per la riparazione compensativa,
tiene conto del tempo necessario per conseguire l’obiettivo della riparazione
primaria o della riparazione primaria e complementare;
c) ove i criteri risorsa-risorsa e servizio-servizio non
siano applicabili per la determinazione delle misure complementari e
compensative, contiene una liquidazione del danno mediante una valutazione
economica;
d) prevede comunque un piano di monitoraggio e controllo
qualora all’impossibilità della riparazione primaria corrisponda un
inquinamento residuo che comporta un rischio per la salute e per l’ambiente;
e) tiene conto degli interventi di bonifica già approvati
e realizzati ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto;
f) in caso di concorso di più soggetti nell’aver causato
il danno e negli obblighi di bonifica, può essere formulata anche da alcuni
soltanto di essi con riferimento all’intera obbligazione, salvo il regresso nei
confronti degli altri concorrenti;
g) contiene l’indicazione di idonee garanzie
finanziarie.
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