sabato 14 luglio 2018

Autonomia della Regione Liguria: la confusione del Presidente Toti su ambiente portualità

Il Presidente della Regione Liguria annuncia (vedi titolo articolo sul Secolo XIX di ieri) il percorso verso una autonomia rafforzata della Regione in particolare su ambiente e portualità. In attesa del documento annunciato a settembre analizzo quello che la Giunta Regionale ha prodotto fino ad ora sul tema attraverso una delibera di indirizzo (DGR  1175 del 29/12/2017 vedi QUI) presentata all'inizio del'anno e che ora dovrà essere messa alla prova del confronto con il governo secondo le procedure costituzionali del regionalismo differenziato. Su questa delibera di indirizzo vedi anche pronunciamento del Consiglio delle Autonomie Locali liguri QUI
Vediamo quindi una analisi critica di questa delibera soprattutto nelle parti che riguardano ambiente e portualità...



PREMESSA: COSA DICE LA COSTITUZIONE SUL REGIONALISMO DIFFERENZIATO

Regionalismo differenziato
Secondo l'articolo 116 della Costituzione comma 3  sarà possibile che ciascuna Regione negozi con lo Stato forme particolari di autonomia  concernenti :
1. le materie di legislazione concorrente di cui al comma 3 del nuovo articolo 117
2. le seguenti materie  di legislazione esclusiva statale : organizzazione della giustizia di pace (lettera l comma 2 articolo 117) ; norme generali di istruzione (lettera n comma 2 articolo 117) ; tutela dell’ambiente , dell’ecosistema e dei beni culturali (lettera s comma 2 dell’articolo 117)

Il comma 2 dell’articolo 116 individua la procedura per ottenere i suddetti ulteriori ambiti di autonomia per le singole Regioni. In particolare si prevede che la ulteriore autonomia venga riconosciuta con legge statale su iniziativa della Regione  interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119 (tutela delle autonomie locali)  . La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti , sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata .



QUALI PROBLEMATICHE DA AFFRONTARE PER UN NUOVO MODELLO DI GOVERNO DELLE POLITICHE REGIONALI SULL’AMBIENTE

Le seguenti problematiche andrebbero affrontate insieme con qualsiasi ulteriore richiesta di autonomia regionale in materia ambientale:
1. una legislazione amministrativa confusa nella ripartizione delle competenze, il tutto aggravato recentemente dalla folle (ma penso ci sia del raziocinio dietro questa follia purtroppo) gestione della finta abolizione delle Province, e si sa le finte abolizioni spesso fanno più danni delle non abolizioni;
2. una gestione dei procedimenti autorizzatori che privilegia la chiusura del procedimento con il relativo atto che non il processo che porta all’atto;
3. una carenza di aggiornamento professionale del ceto burocratico che deve gestire le istruttorie di autorizzazione e di controllo ex ante ed ex post;
4. una quasi totale assenza nelle istruttorie che portano alle autorizzazioni di impianti e attività potenzialmente inquinanti, degli aspetti di prevenzione sanitaria. Clamorose in questo senso nella nostra provincia spezzina sono state le vicende della centrale ENEL autorizzata illegittimamente senza Parere Sanitario del Sindaco “bullo” Federici o dell’impianto di trattamento rifiuti di Saliceti rispetto al quale l’ASL locale è “desaparecida” da sempre;
5. un sistema dei controlli pubblici (Arpal in primis) totalmente dipendente dal livello politico: per i finanziamenti e per le modalità di nomina degli organigrammi dirigenziali
6. una mancanza di pianificazione dei controlli ambientali e sanitari in chiave eco sistemica (impatti cumulativi) e non solo del singolo impianto o attività inquinante, pianificazione che renderebbe più trasparente e più efficiente successivamente la decisione finale sul singolo progetto, piano o programma
7. una mancanza di rispetto delle norme sulla trasparenza e l’accesso civico soprattutto in campo ambientale: soprattutto da parte degli enti locali, ragione per cui occorrerebbe anche qui un ruolo di impulso della Regione stabilendo modalità di pubblicazione uguali per tutti ad integrazione di quanto già previsto dalla normativa nazionale;
8. una quasi totale rimozione del ruolo del pubblico (associazioni, comitati, singole
competenze presenti nei territori) nei processi decisionali. Le Inchieste Pubbliche pur previste non vengono avviate neppure per i progetti più pericolosi, le osservazioni del pubblico non vengono analizzate negli atti conclusivi, non esistono minime regole di garanzia per la partecipazione del pubblico, non si utilizzano gli strumenti degli accordi della sussidiarietà orizzontale ove e quando possibili.



ANALISI CRITICA DELLA PROPOSTA DI DGR Avvio del negoziato con il Governo per il riconoscimento alla Regione Liguria di forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione” NEL SETTORE AMBIENTE

Di seguito riporto nei riquadri le richieste della Giunta regionale ligure con il mio successivo commento


Come è noto, in termini sostanziali, l’esperienza di bonifiche di siti sia regionali che nazionali ha dimostrato che il problema vero non sta nella titolarità delle funzioni e/o nella maggiore autonomia regionale ma nello stanziamento dei fondi. Il Caso del sito di Pitelli declassificato da nazionale a regionale dimostra che tale spostamento non ha prodotto assolutamente una accelerazione della bonifica. Semmai sono state le finanziarie degli ultimi 10 anni a tagliare  eppoi a non ripristinare fondi adeguati per le bonifiche dei siti inquinati sia nazionali che regionali. Le Regioni a loro volta poco hanno fatto per compensare questo vuoto anche per le cifre enormi in ballo.

Detto ciò La frase in se non ha molto significato giuridico amministrativo.

Dal punto di vista della disciplina delle bonifiche. Attualmente la normativa (in particolare il TU ambientale (titolo V Parte IV DLgs 152/2006) riconosce alla Regione strumenti per garantire la correlazione richiesta dal documento proposto dalla Giunta : accordi di programma (articolo 246), procedura  Siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale (articolo 252-bis DLgs 152/2006). Senza considerare le norme che permettono accordi con i privati con procedure semplificate per bonificare i siti inquinati in assenza di adeguati investimenti pubblici. Che elenco nell’allegato A alla [NOTA 3] . Su questo ultimo punto il Consiglio Regionale (nel caso del sito di Pitelli declassificato a sito regionale e quindi di competenza della Giunta Regionale) ha approvato una mozione a suo tempo che prevedeva impegni presi per la Giunta rimasti in gran parte lettera morta se non qualche finanziamento limitato ad aree specifiche. Per non parlare delle aree militari sulle quali la Giunta Regionale avrebbe da tempo potuto attivarsi in base alle norme dello stesso Codice Militare[NOTA 1] oltre che dell’articolo 241-bis del DLgs 152/2006

Dal punto di vista della disciplina della prevenzione e risarcimento del danno ambientale (Parte IV DLgs 152/2006). Se la Giunta intende fare riferimento all’articolo 306-bis [NOTA 2] del DLgs 152/2006 (Determinazione delle misure per il risarcimento del danno ambientale e il ripristino ambientale) queste si riferiscono ai siti di bonifica di interessa nazionale e comunque questa procedura prevede un ruolo preciso della Regione nella Conferenza dei Servizi. Qui ci potrebbero essere margini di riforma/aggiornamento della norma prevedendo un accordo di programma Stato Regione interessato per approvare in via definitiva la transazione disciplinata da questo articolo.

Peraltro sarebbe interessante capire perché la Regione non ha mai attivato l’articolo 309 del DLgs 152/2006 secondo il quale: “1. Le regioni, le province autonome e gli enti locali, anche associati, nonché le persone fisiche o giuridiche che sono o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale o che vantino un interesse legittimante la partecipazione al procedimento relativo all'adozione delle misure di precauzione, di prevenzione o di ripristino previste dalla parte sesta del presente decreto possono presentare al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, depositandole presso le Prefetture - Uffici territoriali del Governo, denunce e osservazioni, corredate da documenti ed informazioni, concernenti qualsiasi caso di danno ambientale o di minaccia imminente di danno ambientale e chiedere l'intervento statale a tutela dell'ambiente a norma della parte sesta del presente decreto.”

Se infine la Giunta Regionale si riferisce all’articolo 311 DLgs 152/2006 (azione risarcimento danno ambientale) qui conta la sentenza della Corte Costituzionale  n. 126 del 2016.
il giudice che ha rinviato alla Corte Costituzionale prospetta (in riferimento agli artt. 3, 9, 24 e 32 della Costituzione) che l’accentramento della legittimazione ad agire in capo ad un solo soggetto (ex articolo 311 DLgs 152/2006: il Ministero dell’Ambiente)  non garantirebbe un sufficiente livello di tutela della collettività e della comunità, nonché degli interessi all’equilibrio economico, biologico e sociologico del territorio, comportando l’irragionevole sacrificio di un aspetto ineludibile nel sistema di tutela. Inoltre (art. 3 Cost., principio di ragionevolezza) l’esclusione della possibilità di agire in giudizio per la Regione e per egli enti territoriali, soggetti esponenziali della collettività che opera nel territorio leso che è parte costitutiva della soggettività degli stessi, rispetto allo Stato, darebbe luogo a disparità di trattamento tra soggetti portatori di identica posizione giuridica.
Secondo la Corte Costituzionale le cose non stanno così:
La Corte afferma che Il riconoscimento dell’esistenza di un bene ambiente quale «bene immateriale unitario» non è fine a se stesso, ma funzionale all’affermazione della esigenza sempre più avvertita della uniformità della tutela, uniformità che solo lo Stato può garantire, senza peraltro escludere che anche altre istituzioni potessero e dovessero farsi carico degli indubbi interessi delle comunità che direttamente fruiscono del bene.
Sul punto la Corte già con sentenza n. 235 del 2009 affermò  che “la scelta di attribuire all’amministrazione statale le funzioni amministrative trova una non implausibile giustificazione nell’esigenza di assicurare che l’esercizio dei compiti di prevenzione e riparazione del danno ambientale risponda a criteri di uniformità e unitarietà, atteso che il livello di tutela ambientale non può variare da zona a zona e considerato anche il carattere diffusivo e transfrontaliero dei problemi ecologici, in ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro un preciso e limitato ambito territoriale”.

Tornando alla Sentenza della Corte Costituzionale 126/2016 questa ha avuto modo di affermare che con la Direttiva 21 aprile 2004, n. 2004/35/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale) Solo qualora la riparazione primaria non dia luogo a un ritorno dell’ambiente alle condizioni originarie, si intraprenderà la riparazione complementare e quella compensativa. Quindi sempre secondo la sentenza in esame: una volta messo al centro del sistema il ripristino ambientale, emerge con forza l’esigenza di una gestione unitaria: un intervento di risanamento frazionato e diversificato, su base “micro territoriale”, oltre ad essere incompatibile sul piano teorico con la natura stessa della qualificazione della situazione soggettiva in termini di potere (funzionale), contrasterebbe con l’esigenza di una tutela sistemica del bene; tutela che, al contrario, richiede sempre più una visione e strategie sovranazionali, come posto in evidenza, oltre che dalla disciplina comunitaria, dall’ultima Conferenza internazionale sul clima tenutasi a Parigi nel 2015, secondo quanto previsto dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
È in questo contesto normativo e giurisprudenziale che si inserisce la nuova disciplina del potere di agire in via risarcitoria (d.lgs. n. 152 del 2006), 
All’esigenza di unitarietà della gestione del bene “ambiente” non può infatti sottrarsi la fase risarcitoria. Essa, pur non essendo certo qualificabile come amministrativa, ne costituisce il naturale completamento, essendo volta a garantire alla istituzione su cui incombe la responsabilità del risanamento, la disponibilità delle risorse necessarie, risorse che hanno appunto questa specifica ed esclusiva destinazione.
Ciò non esclude – afferma la sentenza 126/2016 − che ai sensi dell’art. 311 del d.lgs. n. 152 del 2006 sussista il potere di agire di altri soggetti, comprese le istituzioni rappresentative di comunità locali, per i danni specifici da essi subiti. La Corte di cassazione ha più volte affermato in proposito che la normativa speciale sul danno ambientale si affianca (non sussistendo alcuna antinomia reale) alla disciplina generale del danno posta dal codice civile, non potendosi pertanto dubitare della legittimazione degli enti territoriali a costituirsi parte civile iure proprio, nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all’ambiente, per il risarcimento non del danno all’ambiente come interesse pubblico, bensì (al pari di ogni persona singola od associata) dei danni direttamente subiti: danni diretti e specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello, generico, di natura pubblica, della lesione dell’ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale.


La questione appare inutile considerata la evoluzione della normativa in materia. In particolare il comma 3-ter dell'aricolo 6 del DLgs 152/2006 recita: 3-ter. Per progetti di opere e interventi da realizzarsi nell'ambito del Piano regolatore portuale, già sottoposti ad una valutazione ambientale strategica, e che rientrano tra le categorie per le quali è prevista la Valutazione di impatto ambientale, costituiscono dati acquisiti tutti gli elementi valutati in sede di VAS o comunque desumibili dal Piano regolatore portuale.
Qualora il Piano regolatore Portuale ovvero le rispettive varianti abbiano contenuti tali da essere sottoposti a valutazione di impatto ambientale nella loro interezza secondo le norme comunitarie, tale valutazione è effettuata secondo le modalità e le competenze previste dalla Parte Seconda del presente decreto ed è integrata dalla valutazione ambientale strategica per gli eventuali contenuti di pianificazione del Piano e si conclude con un unico provvedimento.

Come si vede la norma prevede soprattutto nel secondo capoverso:
1.      Ai PRP si applica la VAS ordinaria e non la semplice verifica compresi le varianti ai PRP esistenti
2.      Se il PRP è sottoposto anche a VIA per le singole opere in esso previste (es. nuove banchine) allora si può fare un procedimento unico VAS e VIA con un provvedimento unico.

Come funzionano le competenze in questo caso ma anche nel caso in cui ci sia solo la VAS sul PRP senza la VIA su progetti e opere?
La VAS è comunque di competenza della Regione perché secondo i commi 1 e 2 dell’articolo 7 del DLgs 152/2006:
1. Sono sottoposti a VAS in sede statale i piani e programmi di cui all'articolo 6, commi da 1 a 4, la cui approvazione compete ad organi dello Stato.
2. Sono sottoposti a VAS secondo le disposizioni delle leggi regionali, i piani e programmi di cui all'articolo 6, commi da 1 a 4, la cui approvazione compete alle regioni e province autonome o agli enti locali.”

Il PRP anche per i porti di interesse nazionali come quelli liguri di Savona, Genova, Spezia deve essere approvato dalla Regione, anzi per essere precisi dal Consiglio Regionale, dopo lo svolgimento della VAS.   Questo è previsto dal comma 3 articolo 5 della legge quadro sui porti 84/1994

Come deve svolgersi la procedura di VAS nel caso in cui sia integrata dalla VIA?
Forse il Presidente  non è a conoscenza del fatto che  MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE (MATTM) - DIREZIONE GENERALE PER LE VALUTAZIONI AMBIENTALI - DIVISIONE VAS -  MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI (MI.BAC)  DIREZIONE GENERALE PER IL PAESAGGIO, LE BELLE ARTI, L'ARCHITETTURA E L'ARTE CONTEMPORANEE - SERVIZIO IV - TUTELA E QUALITÀ DEL PAESAGGIO - ISTITUTO SUPERIORE PER LA PROTEZIONE AMBIENTALE (ISPRA) -  REGIONI E PROVINCE AUTONOME, nel 2011 hanno firmato un protocollo intitolato   “VIA – VAS  proposta per il coordinamento e l’integrazione delle procedure” che al capitolo 2 prevede: “ipotesi di una procedura VIA – VAS  integrata per i piani regolatori portuali”. 

Ebbene per farla breve questo documento, firmato anche dalle Regioni a pagina 8 punto 1.1 afferma: “ la comunicazione da parte dell’Autorità Portuale, in qualità di autorità proponente per la VIA e di autorità procedente per la VAS, al MATTM, in qualità di autorità competente per la VIA statale, al MiBAC, in qualità di autorità concertante con il MATTM per la VIA statale, e alla Regione, in qualità di autorità competente per la VAS regionale, di voler dare avvio ad una procedura di Procedura integrata VIA - VAS.”
Il fatto che questa procedura integrata secondo gli indirizzi di questo Protocollo si conclude con un provvedimento unico del ministero dell’Ambiente è un fatto meramente formale di semplificazione perché la Regione in quanto Autorità Competente della VAS è responsabile della istruttoria della stessa e le conclusioni della VAS saranno integrate con quelle sulla VIA dentro il provvedimento unico.


Richiesta ridondante. Infatti il comma 7 articolo 7 DLgs 152/2006 recita: “7. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con proprie leggi e regolamenti le competenze proprie e quelle degli altri enti locali in materia di VAS e di AIA.”
Peraltro e non a caso molte Regioni disciplinano le competenze decentrate agli enti locali in materia di molte categorie di opere.
Infine occorre dire che qui la Regione Liguria ha già peccato di inutile centralismo abrogando totalmente la legge regionale sulla VIA quando la riforma del 2014 del testo unico ambientale sul punto richiedeva un semplice aggiornamento come hanno fatto molte Regioni. 


Il paesaggio è, come tutela, nelle materia di competenza esclusiva dello stato: lettera s) comma 1 articolo 117 e non può essere trasferito alla Regione neppure con la procedura ex comma 3 articolo 116 della Costituzione. 
Rileva, sul punto,  la sentenza della Corte Costituzionale n. 210 del 2016 relativa proprio ad una caso ligure (il rapporto tra pianificazione paesaggistica e territoriale nel caso piano cave) nella quale si afferma: “questa Corte, già  nella sentenza n. 407 del 2002, ha ritenuto che la tutela dell'ambiente non possa identificarsi con  una  materia  in  senso  stretto,  dovendosi piuttosto  intendere  come  un  valore  costituzionalmente  protetto, integrante una sorta di «materia trasversale».
Proprio la trasversalita' della materia  implica  l'esistenza  di «competenze  diverse  che  ben  possono  essere  regionali»,  con  la conseguenza che allo Stato  sarebbe  riservato  solo  «il  potere  di fissare  standards  di   tutela   uniformi   sull'intero   territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore  la  competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con  quelli propriamente ambientali» (sentenza n. 407 del 2002). Successivamente, peraltro, questa  Corte  ha  chiarito  che  alle Regioni non e' consentito apportare  deroghe  in  peius  rispetto  ai parametri di tutela dell'ambiente fissati dalla normativa statale (ex plurimis sentenza n. 300 del 2013,  secondo  cui  «la  giurisprudenza costituzionale   e'   costante   nell'affermare   che   la    "tutela dell'ambiente" rientra nelle competenze legislative  esclusive  dello Stato e che, pertanto, le disposizioni legislative  statali  adottate in tale ambito fungono da limite  alla  disciplina  che  le  Regioni, anche a statuto speciale, dettano nei  settori  di  loro  competenza, essendo ad esse consentito soltanto eventualmente di  incrementare  i livelli della tutela ambientale, senza però compromettere  il  punto di equilibrio tra  esigenze  contrapposte  espressamente  individuato dalla norma dello Stato»).


Intanto la dizione andrebbe chiarita. Per servizi di tutela ambientale si intende l’organizzazione amministrativa della Regione in materia? Se è così il punto di questo obiettivo è coordinarli con la attività della Agenzia in chiave innovativa.
Qui con tutto il rispetto per la buona fede di chi ha scritto questo “obiettivo” occorre rilevare che si è persa una occasione fondamentale per il potenziamento della autonomia non della Regione ma della Agenzia questione centrale per un modello di governo delle politiche ambientali fondato sulla reale terzietà tra controllori e controllati.
Li gli emendamenti presentati da 5stelle sono stati tutti sonoramente bocciati dalla maggioranza senza neppure discuterli seriamente. Questi emendamenti si fondavano sui seguenti principi ineludibili per una riforma adeguata del sistema agenzia anche tenendo conto delle esperienze innovative di altre Regioni:

Questioni da affrontare nella riforma dell'Arpal

La terzietà delle istruttorie che portano ai processi decisionali in particolare quelli strategici (VIA, VAS, AIA)
Terzietà rispetto al livello politico amministrativo che decide la conclusione del procedimento

La distinzione tra funzioni di autorizzazione e controllo
L’inserimento degli aspetti di prevenzione sanitaria nei processi decisionali fin dalla fase della predisposizione dei dati su cui si fondano progetti e piani/programmi. 

Le funzioni di Polizia Giudiziaria  delle ARPA
Si veda il via libera  del Governo alla legge regionale Toscana n.12/2013, con la quale sono state definite le modalità di riconoscimento di tale ruolo per il personale di controllo dell’Agenzia. Il Consiglio dei Ministri, nella sua riunione del 24 maggio,ha deciso di non esprimere rilievi nei confronti della legge regionale Toscana n.12/2013 che ha aggiunto all’art.35 “Disposizioni sul personale addetto alle attività di ispezione e vigilanza” della legge 30/2009 che disciplina il funzionamento dell’Agenzia, il seguente comma: “1 bis. Nell’organizzazione dei compiti di cui al comma 1, il direttore generale, con atto di natura ricognitiva, individua il personale che, nell’ambito delle attività di ispezione e vigilanza di cui all’articolo 7 , dalle quali consegue l’accertamento di illeciti ambientali, svolge funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria ai sensi della normativa statale vigente.
Con questo provvedimento legislativo la Regione Toscana aveva inteso chiarire taluni pareri strumentalizzati, da alcune strutture regionali, che avevano messo in discussione la possibilità per l’Agenzia di riconoscere il ruolo di ufficiali di polizia giudiziaria al proprio personale che svolge attività di controllo ambientale sul territorio. La decisione del Governo ha quindi sancito questa possibilità, dando quindi un importante contributo al rafforzamento del ruolo dell’Agenzia nell’assicurare il rispetto delle normative ambientali

Linee di riorganizzazione delle Arpa
La riorganizzazione dell’Arpal deve rispondere a queste esigenze che nascono da le seguenti necessità:
1. Svolgere istruttorie efficaci per produrre decisioni meno contestabili nel merito
2. Garantire trasparenza e indipendenza nella elaborazione dei dati, analisi che portano alle decisioni. Le Agenzie dovranno inoltre diventare il luogo degli “Osservatori”: dovranno essere in grado di rappresentare i luoghi della conoscenza, ma anche i punti di incontro e confronto delle strategie settoriali, base per l'elaborazione delle politiche settoriali, luoghi di confronto con i portatori di interesse.
3. Migliorare il sistema dei controlli pubblici rendendolo indipendente dal livello sia istruttorio che decisionale
4. Introdurre la prevenzione sanitaria come elemento costitutivo realizzando un reale coordinamento tra strutture Arpal e strutture prevenzione asl.
5. avere reale autonomia finanziaria programmabile sulla lunga scadenza e non sulla base di programmi annuali decisi dal livello politico regionale.  

Fondamento giuridico istituzionale di quanto sopra indicato: nella evoluzione della normativa ambientale di ultima generazione: VIA, VAS, AIA
-  superamento dell’approccio settoriale nella tutela ambientale ;
-  passare all’approccio preventivo ed integrato per tutelare l’ambiente nel suo complesso ;
-  passare dalle autorizzazioni di settore ad un sistema di autorizzazione distinte per categorie di  attività e di sostanze emesse ;
-  introduzione di un legame tra i valori di emissione ex legge la specificità del sito interessato in termine di prescrizioni specifiche derivanti dai dati sul territorio oltre che dal sistema integrato dei controlli

Quindi:  Arpal, proprio per le sue caratteristiche di ente autonomo ed interno alla rete del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente come disciplinato dalla legge 132/2016,  può costituire il soggetto tecnico scientifico a supporto dell’integrazione e unificazione delle autorizzazioni e procedure in sede politico amministrativa.

La sentenza della Corte Costituzionale sulla natura e funzioni delle Arpa
Quanto sopra in coerenza con quanto scritto nella sentenza della Corte Costituzionale n. 132 del 2017 sulla natura delle Arpa e sulla loro necessaria autonomia dal livello politico amministrativo. Afferma la sentenza di cui si riportano i passi essenziali:
il sistema organizzativo  e  funzionale  delineato  dalle  nuove disposizioni sui controlli ambientali e sull'istituzione dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente appare  nel  suo  complesso diretto ad innovare profondamente la disciplina del settore. Il nuovo assetto normativo segue principi che  vedono  enucleate  le  funzioni tecnico-scientifiche, di consulenza e controllo, da  tenere  separate dall'amministrazione attiva e  da  esercitare  ai  distinti  livelli, statale e  provinciale  (o  regionale),  mediante  apposite  agenzie, dotate di autonomia» (sentenza n. 356 del 1994).
Va ricordato che la legge 28 giugno 2016, n. 132 (Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente e disciplina dell'Istituto superiore per la protezione e la  ricerca  ambientale), al  dichiarato  fine  di   «assicurare   omogeneità   ed   efficacia all'esercizio dell'azione conoscitiva e di controllo  pubblico  della qualità dell'ambiente a supporto delle politiche  di  sostenibilità ambientale  e  di  prevenzione  sanitaria  a  tutela   della   salute pubblica», ha istituito il Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, del quale fanno  parte  l'Istituto  superiore  per  la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e le ARPA,  rispetto  alle quali e' stata ribadita la natura tecnica  delle  attività  da  esse svolte.
Dal quadro normativo così  delineato  dal  legislatore  statale, discende che l'autonomia  diviene  un  requisito  qualificante  della singola Agenzia, come del sistema in generale, poiché solo grazie ad esso  può  essere  garantito  il  rispetto  dei  criteri  operativi, puramente tecnico-scientifici, cui il sistema stesso deve attenersi.


Qui occorre dire che già la legge regionale 18/1999 articolo 10 prevede tra gli altri i seguenti compiti della Regione:
a) la concertazione con lo Stato degli indirizzi generali in materia ambientale e la determinazione degli obiettivi di qualità e sicurezza e con l'Unione Europea in relazione alla attuazione delle politiche comunitarie di settore;
i) i provvedimenti di urgenza ai fini di prevenzione del danno ambientale.

L’articolo 23 della legge regionale 18/1999 in materia di rifiuti prevede tra le altre la funzione regionale relativa:  "c) l'emanazione di atti straordinari per sopperire a situazioni di necessità o di urgenza l’articolo 47 della legge regionale 18/1999 prevede poteri sostitutivi e commissari ad acta per i piani rifiuti di ambito". 

Per non parlare, per fare un altro esempio, dei poteri sostitutivi della Regione nei confronti degli enti locali che non ritengono di partecipare agli ATO per i servizi pubblici a rilevanza economica.

Peraltro sul rapporto con enti sub regionali è da tempo dimenticato l’articolo 118 della Costituzione che prevede :” Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.  I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze  “ .    Quindi si afferma una regola generale le funzioni ai Comuni per cui si dovrà ritenere possibile una vera e propria amministrazione statale  solo per le materie di competenza legislativa esclusiva, mentre nelle materie di competenza concorrente e per tutte le altre  individuate con clausola generale residuale a favore di regioni ed enti locali si deve ritenere esistente una vera e propria riserva di amministrazione regionale e locale.  

Non solo ma il fallimento del recente referendum costituzionale ha mantenuto il ruolo delle Province oltre che delle Città Metropolitane e prima ancora di parlare di poteri sostitutivi e di commissari sarebbe il caso affrontare la questione di ridare un ruolo alle Province quale più vicino ai territori ma allo stesso tempo con una visione di area vasta.


La questione va vista alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia : sentenza n. 32 del 2015 (su legge regionale ligure ato idrico), sentenza Corte Costituzionale n°160 del 2016 Obbligo, per gli enti locali, di adesione agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali, istituiti per l'organizzazione dei servizi stessi  Esercizio di poteri sostitutivi da parte del Presidente della Regione in caso di inosservanza. -
  
Infatti vengono toccate materie di competenza esclusiva dello stato: (concorrenza e ambiente) ex articolo 117. I principi espressi dalla corte costituzionali quindi non possono essere derogati neppure dalla procedura di cui all’articolo 116 come già spiegato in precedenza.



 Obiettivo questo assolutamente inaccettabile che se esteso su scala nazionale, sotto il profilo sostanziale, permetterebbe un far west nella gestione del ciclo dei rifiuti con il rischio che di migrazioni di rifiuti nelle Regioni con la normativa più “semplificata” e “favorevole” alla deroga alla normativa sui rifiuti. Il tutto con buona pace di altri principi costituzionali: libera concorrenza, libertà di impresa, eguaglianza di fronte alla legge.
Oltre al dato che nella materia ambiente di competenza esclusiva dello Stato quest’ultimo ha potere di regolamentazione anche tecnica.

Si veda:

Corte Costituzionale sentenza del 2009  N. 249
La disciplina dei rifiuti si colloca, per giurisprudenza di questa Corte,  nell'ambito della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art.117, secondo comma, lettera s), Cost.,  anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di
tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, restando ferma la competenza  delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (ex multis, sentenze n.62 del 2008).
Pertanto, anche nel settore dei rifiuti, accanto ad interessi inerenti in via primaria alla tutela dell'ambiente, possono venire in rilievo interessi  sottostanti ad altre materie, per cui la «competenza statale non esclude la concomitante possibilità per le Regioni di intervenire [...]», ovviamente nel  rispetto dei livelli uniformi di tutela apprestati dallo Stato (sentenza n.62  del 2005, altresì, sentenze n.247 del 2006, n.380 e n.12 del 2007).


Corte Costituzionale 2009 N.233
nella materia della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, lo Stato non si limita a dettare norme di principio, anche   riguardo alle funzioni amministrative, la cui attribuzione può essere disposta in base ai criteri generali dettati dall'art. 118, primo comma, Cost. (sentenze n.88 del 2009 e n.62 del 2005), del resto compatibile con la disciplina dell'ambiente (sentenza n. 401 del 2007).

Altra cosa è quando la legge attribuisce poteri alle Regioni anche nella materia ambiente.
Si veda Corte Costituzionale del 2009  N. 249
18.–  La Regione Calabria propone questione di legittimità costituzionale nei confronti dell’art.205, comma 6, nella parte in cui, prevedendo che le Regioni possano indicare maggiori obiettivi di riciclo e di recupero dei rifiuti  tramite apposita legge, previa intesa con il Ministro dell’ambiente,  produrrebbe un anomalo vincolo amministrativo sulla funzione legislativa regionale, in violazione degli artt. 114 e 117 Cost.
      La questione è fondata.
La sottoposizione a vincoli procedimentali dell’esercizio della competenza  legislativa regionale in tema di individuazione di maggiori obiettivi di riciclo e recupero dei rifiuti, che la stessa norma statale impugnata attribuisce ad  essa, determina evidentemente una lesione della sfera di competenza regionale, posto che questa Corte ha già affermato che l’esercizio dell’attività  legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione (sentenza n.159 del
2008).
Peraltro la normativa nazionale sul punto ha già ampiamente previsto la declassificazione di numerose tipologie di materiali prima considerati rifiuti con problematiche ambientali ma anche penali note. Sia sufficiente pensare alla questione delle terre e rocce di scavo. 












1. Nel rispetto dei criteri di cui al comma 2 e tenuto conto del quadro comune da rispettare di cui all’allegato 3 alla presente parte sesta, il soggetto nei cui confronti il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato le procedure di bonifica e di riparazione del danno ambientale di siti inquinati di interesse nazionale ai sensi dell’articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, dell’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, nonché ai sensi del titolo V della parte quarta e della parte sesta del presente decreto, ovvero ha intrapreso la relativa azione giudiziaria, può formulare una proposta transattiva.
2. La proposta di transazione di cui al comma 1:
a) individua gli interventi di riparazione primaria, complementare e compensativa;
b) ove sia formulata per la riparazione compensativa, tiene conto del tempo necessario per conseguire
l’obiettivo della riparazione primaria o della riparazione primaria e complementare;
c) ove i criteri risorsa-risorsa e servizio-servizio non siano applicabili per la determinazione delle misure complementari e compensative, contiene una liquidazione del danno mediante una valutazione economica;
d) prevede comunque un piano di monitoraggio e controllo qualora all’impossibilità della riparazione primaria corrisponda un inquinamento residuo che comporta un rischio per la salute e per l’ambiente;
e) tiene conto degli interventi di bonifica già approvati e realizzati ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto;
f) in caso di concorso di più soggetti nell’aver causato il danno e negli obblighi di bonifica, può essere formulata anche da alcuni soltanto di essi con riferimento all’intera obbligazione, salvo il regresso nei confronti degli altri concorrenti;
g) contiene l’indicazione di idonee garanzie finanziarie.
3. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con proprio decreto, dichiara ricevibile la proposta di transazione, verificato che ricorrono i requisiti di cui al comma 2, ovvero respinge la proposta per assenza dei medesimi requisiti.
4. Nel caso in cui dichiari ricevibile la proposta di transazione, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare convoca, entro trenta giorni, una conferenza di servizi alla quale partecipano la regione e gli enti locali territorialmente coinvolti, che acquisisce il parere dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e dell’Istituto superiore di sanità. In ogni caso il parere tiene conto della necessità che gli interventi proposti, qualora non conseguano il completo ripristino dello stato dei luoghi, assicurino comunque la funzionalità dei servizi e delle risorse tutelate e colpite dall’evento lesivo. Della conferenza di servizi è data adeguata pubblicità al fine di consentire a tutti i soggetti interessati di formulare osservazioni.
5. La conferenza di servizi, entro centottanta giorni dalla convocazione, approva, respinge o modifica la proposta di transazione. La deliberazione finale è comunicata al proponente per l’accettazione, che deve intervenire nei successivi sessanta giorni. Le determinazioni assunte all’esito della conferenza sostituiscono a tutti gli effetti ogni atto decisorio comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti alla predetta conferenza o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti.
6. Sulla base della deliberazione della conferenza accettata dall’interessato, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare predispone uno schema di transazione sul quale è acquisito il parere dell’Avvocatura generale dello Stato, che lo valuta anche tenendo conto dei presumibili tempi processuali e, ove possibile, dei prevedibili esiti del giudizio pendente o da instaurare.
7. Acquisito il parere di cui al comma 6, lo schema di transazione, sottoscritto per accettazione dal proponente, è adottato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e sottoposto al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20.
8. Nel caso di inadempimento, anche parziale, da parte dei soggetti privati, delle obbligazioni dagli stessi assunte in sede di transazione nei confronti del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, quest’ultimo, previa diffida ad adempiere nel termine di trenta giorni e previa escussione delle garanzie finanziarie prestate, può dichiarare risolto il contratto di transazione. In tal caso, le somme eventualmente già corrisposte dai contraenti sono trattenute dal Ministero in acconto dei maggiori importi definitivamente dovuti per i titoli di cui al comma 1.




ALLEGATO A
Come coinvolgere investitori privati  nella bonifica dei siti inquinati
1. Dal 2005 è in vigore una norma contenuta nel comma 434 della legge finanziaria 2006 che prevede, al fine di consentire nei  siti di bonifica di interesse nazionale (vedi Pitelli) la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza d'emergenza - caratterizzazione - bonifica e ripristino ambientale delle aree inquinate per le quali sono in atto procedure fallimentari, siano sottoscritti accordi di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, la regione, le province, i comuni interessati con i quali sono individuati la destinazione d'uso delle suddette aree, anche in variante allo strumento urbanistico, gli interventi da effettuare, il progetto di valorizzazione dell'area da bonificare, incluso il piano di sviluppo e  di  riconversione delle aree, e il piano economico e finanziario degli interventi, nonché le risorse finanziarie necessarie per ogni area, gli impegni di ciascun soggetto sottoscrittore e le modalità per individuare il soggetto incaricato di sviluppare l'iniziativa.


2. la legge finanziaria 2007 che al comma 996 articolo 1  che ha permesso di effettuare il dragaggio e la bonifica, contemporaneamente, superando la necessità di bonificare le aree più inquinate e la verifica del collegamento tra le diverse aree inquinate del sistema golfo. Ovviamente invece che usare in positivo questa norma a Spezia è stata usata per produrre il disastro che sappiamo ma questo non significa che non si possa farne nel futuro un uso corretto. 

3. Articolo 252 bis al DLgs 152/2006 (c.d. Testo Unico Ambientale) che, in deroga alle procedure di bonifica ordinarie, prevede la individuazione di siti di interesse pubblico ai fini dell'attuazione di programmi ed interventi di riconversione industriale e di sviluppo economico produttivo, contaminati da eventi antecedenti al 30 aprile 2006, praticamente tutti i siti industriali inquinati visto che il 2006 è una data piuttosto vicina al presente. Peraltro questa norma è contenuta nell’articolo 10 della attuale LR 10/2009  che ha sostituito la LR 18/1999 sopra citata. In particolare la norma regionale del 2009 prevede che insieme con il progetto di bonifica sia già definita la destinazione urbanistica dell’area.

4. Legge 13/2009 che, all’articolo 2  prevede una procedura alternativa a quella definita dalla legislazione vigente in materia di copertura di oneri di bonifica e risarcimento danno ambientale nei siti di bonifica di interesse nazionale. Questa norma deve però rispettare nella sua attuazione il principio fondamentale della riduzione in pristino (cioè del riportare l'area da bonificare allo stato precedente all’inquinamento) altrimenti andrebbe in contrasto con la Direttiva sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e e riparazione del dannoambientale.

5. Decreto legge c.d. Salva Italia (comma 5 articolo 40 Decreto Legge 201/2011  ). La norma prevede la possibilità di effettuare la bonifica di siti inquinati di livello regionale (quindi ora anche per il sito di Pitelli declassato a livello locale) in modo che il progetto di bonifica possa essere articolato per fasi progettuali distinte al fine di rendere possibile la realizzazione degli interventi per singole aree o per fasi temporali successive. Inoltre sempre al comma 9 dell’articolo 242 del DLgs 152/2006 viene aggiunta la possibilità di autorizzare interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di messa in sicurezza degli impianti e delle reti  tecnologiche, purché non compromettano la possibilità di effettuare o completare gli  interventi di bonifica che siano condotti adottando appropriate misure di  prevenzione  dei rischi.Concetto  ulteriormente rafforzato con la legge 27/2012 per il dragaggio nei siti di bonifica nazionale proprio come quello di Pitelli: norma finalizzata chiaramente a favorire e semplificare le procedura di autorizzazione dei dragaggi per i porti commerciali.

6. l’articolo 57 del Decreto Legge semplificazioni (convertito con Legge 35/2012) al comma 9 ha previsto che: “9. Nel caso di  attività  di reindustrializzazione  dei  siti  di interesse nazionale, i sistemi di sicurezza operativa  già in atto possono continuare a essere eserciti senza necessità  di  procedere contestualmente alla bonifica, previa autorizzazione del progetto  di riutilizzo delle aree interessate, attestante la non compromissione di  eventuali successivi interventi di bonifica”, quindi non c’è bisogno di bonifica se l’obiettivo è quello della reindustrializzazione del sito inquinato  limitandosi solo a chiedere di garantire un non peggioramento dell’inquinamento. 

7. articolo 4 legge 9/2014:  accordi di programma delle istituzioni pubbliche con uno o più proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati ad attuare progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di riconversione industriale e sviluppo economico in siti di interesse nazionale promuovere il riutilizzo di tali siti in condizioni di sicurezza sanitaria e ambientale, e di preservare le matrici ambientali non contaminate. L’accordo di programma prevederà, tra l’altro, anche l’entità dei contributi pubblici alla bonifica dei siti interessati. L'attuazione da parte dei soggetti interessati degli impegni  di messa in sicurezza, bonifica, monitoraggio, controllo e relativa gestione, e di riparazione, individuati dall'accordo di programma esclude  per tali soggetti ogni altro obbligo di bonifica e riparazione ambientale e fa venir meno l'onere reale per tutti i fatti antecedenti all'accordo medesimo. La revoca dell'onere reale per tutti i fatti antecedenti all'accordo di programma previsto dalle misure volte a favorire la realizzazione delle bonifiche dei siti  di interesse nazionale è subordinata, nel caso di soggetto  interessato responsabile della contaminazione, al rilascio  della certificazione dell'avvenuta bonifica e messa in sicurezza  dei  siti  inquinati  ai sensi dell'articolo  248. Nel caso di soggetto interessato responsabile della contaminazione, i contributi e le misure non potranno riguardare le attività di messa in sicurezza, di bonifica e di riparazione del danno ambientale di competenza dello stesso soggetto, ma esclusivamente l'acquisto  di beni strumentali alla riconversione industriale e allo sviluppo economico dell'area.  

8. comma 9 articolo 13 del Decreto Legge 91/2014 che estende l’utilizzo delle somme stanziate dal fondo previsto dalla legge di stabilità 2014 (combinato disposto commi 6 e 7 articolo 1) non solo ai siti di bonifica di interesse nazionale ma anche a quelli che contengano inquinamento da amianto.

9. Legge 23 dicembre 2014, n. 90  (legge di stabilità 2015) al comma 551 articolo 1 prevede:"Nei siti inquinati, nei quali sono in corso o non sono ancora avviate attività di messa in sicurezza e di bonifica, possono essere realizzati interventi e opere richiesti dalla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, di manutenzione ordinaria e straordinaria di impianti e infrastrutture, compresi adeguamenti alle prescrizioni autorizzative, nonché opere lineari necessarie per l'esercizio di impianti e forniture di servizi e, più in generale, altre opere lineari di pubblico interesse a condizione che detti interventi e opere siano realizzati secondo modalità e tecniche che non pregiudicano ne' interferiscono con il completamento e l'esecuzione della bonifica, né determinano rischi per la salute dei lavoratori e degli altri fruitori dell'area".

10. Decreto direttoriale 18 maggio 2015 che fissa modalità e termini di presentazione delle istanze di concessione del credito d’imposta per le imprese sottoscrittrici di accordi di programma nei Siti inquinati di interesse nazionale. Si veda anche il Comunicato del Ministero dello Sviluppo Economico QUI.

11. Legge 28 dicembre 2015, n. 221 ha introdotto l'articolo 306-bis al DLgs 152/2006 (T.U. ambientale) che disciplina una procedura di transazione tra soggetti impegnati nella bonifica e Ministero dell'Ambiente che: 
a)      individua gli interventi di riparazione primaria, complementare e compensativa;
b)      ove sia formulata per la riparazione compensativa, tiene conto del tempo necessario per conseguire l’obiettivo della riparazione primaria o della riparazione primaria e complementare;
c)      ove i criteri risorsa-risorsa e servizio-servizio non siano applicabili per la determinazione delle misure complementari e compensative, contiene una liquidazione del danno mediante una valutazione economica;
d)      prevede comunque un piano di monitoraggio e controllo qualora all’impossibilità della riparazione primaria corrisponda un inquinamento residuo che comporta un rischio per la salute e per l’ambiente;
e)      tiene conto degli interventi di bonifica già approvati e realizzati ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto;
f)       in caso di concorso di più soggetti nell’aver causato il danno e negli obblighi di bonifica, può essere formulata anche da alcuni soltanto di essi con riferimento all’intera obbligazione, salvo il regresso nei confronti degli altri concorrenti;
g)      contiene l’indicazione di idonee garanzie finanziarie. 







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