lunedì 13 maggio 2024

LE RADICI LEGISLATIVE E POLITICHE DELLA INCHIESTA SUI PORTI LIGURI. RIDOTTI O CANCELLATI I PRESIDI DI LEGALITÀ E TRASPARENZA

Dopo l’apertura della inchiesta che ha coinvolto il Presidente della Regione Liguria operatori portuali ex dirigenti o commissari della Autorità portuale Genovese, leggo in questi giorni commenti dei giornalisti ed esperti, presunti o reali, che usano toni scandalizzati e preoccupati per quello che sta emergendo sulla gestione del porto di Genova.

La responsabilità penale è personale e verrà vagliata dalla magistratura ma nessuno di questi signori coglie uno dei nodi centrali che sta dietro la vicenda giudiziaria

Il nodo riguarda il modo in cui il legislatore ha, in questi anni, disciplinato la gestione delle aree portuale e il loro sviluppo, norme dettate dalle lobby portuale. D’altronde giornalisti che svolgano inchieste preventive autonome e indipendenti ormai si contano sulle dita di una mano almeno in Liguria. I politici invece si limitano a seconda della parte dove sono collocati a fare il tifo contro l’inchiesta oppure a favore della stessa. D'altronde una classe politica di posteggiatori, che ha sempre subito in questi anni le decisioni delle lobby portuali e non solo queste, non poteva e non può  andare oltre il tifo.

In questi anni, complice la stragrande maggioranza della classe politica di maggioranza o di opposizione, grazie alle normative semplificatorie le aree portuali e retroportuali e i rapporti porti città sono state trasformate/i in terra di conquista dei terminalisti (di conseguenza di scambio di favori tra operatori, burocrati e politici vari). 

Il tutto come se invece che aree demaniali statali o addirittura comunali fossero parte di uno stato indipendente controllato da una burocrazia pubblica e operatori portuali fuori da ogni circuito democratico. Non casualmente quindi è stata eliminato il potere di approvazione dei piani regolatori di sistema portuale da parte delle Assemblee elettive delle Regioni, mentre gli amministratori locali e regionali sono diventati poco di più di piazzisti immobilari.


Vediamole queste pseudo riforme (io le definirei colpi di mano) sui porti italiani…


Tagliate le comunità locali: eliminando la applicazione della Valutazione Ambientale Strategica al Documento di Programmazione Strategica di Sistema (DPSS) e quindi le relative forme di partecipazione del pubblico previste dalla normativa che disciplina tale procedura di valutazione, non prevedendo alcuna partecipazione nella istituzione e pianificazione delle zone logistiche semplificate con i Sindaci ridotti a meri uditori degli organi di governo delle ZLS


Deroghe alle norme ambientali: rumore da attività portuale (QUI), valutazioni ambientali, dragaggi (QUI), rischi di incidenti rilevanti nei porti (QUI), pianificazione sostenibile degli spazi marittimi e costieri (si veda il piano del mare che ha nuovamente rinviato tale pianificazione in una logica solo pro container e gnl (QUI).

Semplificate le procedure in deroga ad una pianificazione trasparente: usando la parolina magica dell'adeguamento tecnico funzionale e trasformando i piani regolatori portuali in sommatorie di progetti (finanziati con soldi pubblici) decisi in stanze ristrette, senza alcuna visione strategica sia di economia portuale e dello sviluppo dei territori costieri e delle città che stanno di fronte ai porti. Qui è intervenuta a porre un piccolo argine la Corte Costituzionale ma la logica di fondo della riforma della legge quadro sui porti è rimasta (QUI).



Altri esempi eclatanti di liberalizzazione della pianificazione pubblica dello sviluppo dei porti:

1. Il Regolamento sulle zone logistiche semplificate (QUI) che dimostra come la politica nell’individuare strumento di programmazione e pianificazioni non guardi l’interesse generale ma al massimo come spartirsi le prebende e le Semplificazioni a favore delle lobby per poi venderle sul mercato elettorale: la politica marketing!

2. La violazione perfino delle linee guida per il rilascio delle concessioni nei porti (QUI)

3. le riforme ulteriori del governo Meloni che Mirano alla privatizzazione delle Autorità Portuali (oltre a quella già realizzate di fatto in violazione dei compiti istituzionali che la legge assegnava a questo ente, vedi QUI) dietro la parolina d’ordine della autonomia regionale. Interessante, alla luce della inchiesta attuale, la dichiarazione del Presidente della Regione Liguria di qualche tempo fa sui porti come SpA (QUI). Insomma, un guazzabuglio e una commistione sempre maggiore tra operatori portuali e livelli istituzionali facendo venire meno il ruolo di terzietà che le Autorità Portuali e ancora di più i Comuni e le Regioni dovrebbero avere sulla gestione del rapporto porto/territori. Dietro gli slogan c’è il disegno che va avanti da anni di privatizzare sempre di più non solo la Governance ma addirittura il Government dei porti.



CONCLUSIONI L'OPACITA' AMMINISTRATIVA PRESUPPOSTO DELLA ILLEGALITA'

Qualche tempo fa (gennaio 2022) ho partecipato come relatore ad un seminario on line sul futuro dei porti ligurie non solo, dove ho denunciato (vedi QUI dal minuto  47) la deriva normativa sopra descritta. L’attuale Presidente della Autorità di Sistema Portuale che governa (in teoria) il porto di Spezia iniziando il suo intervento (dal minute 1h e 28 QUI) affermò: “Grondacci hai ragione però…” e giù una serie di giustificazioni (vedi anche QUI) dettate soprattutto dalle esigenze dei soli operatori portuali come se la pianificazione portuale fosse un business plan e non un strumento di governo del territorio, per non parlare della parolina magica usata dai decisionisti compulsivi: c’è la crisi anzi le crisi e bla bla!  

Pensare che secondo un certo ambientalismo spezzino politichese l’attuale Presidente della Autorità di sistema portuale di Spezia e Carrara andrebbe confermato perché ha dimostrato di volere dialogare. Con chi? Non di certo con la città: fatemi un esempio su cui questo signore ha accolto le richieste di quella ampia parte della città che subisce danni ambientali e sociali dal porto e che continua a far credere che la elettrificazione della banchine riguarderà tutto il naviglio che fa scalo nel porto spezzino dimenticando la realtà della problematica delle emissinioni navali, vedi QUI.

Ma al di là delle dichiarazioni di questo signore il problema vero è un altro.

Quello che non si "vuole" capire (anche da parte di quelli che ora fanno gli scandalizzati ex post di fronte alla nuova inchiesta su Toti etc.) è che senza opacità amministrativa non c’è cattiva amministrazione e a sua volta la cattiva amministrazione è il presupposto, il leviatano della illegalità.

Ma cosa intendo per opacità amministrativa?


Fondamentalmente quattro sono i sintomi o i prodromi della opacità amministrativa:

1. Istruttorie non adeguate propedeutiche alle decisioni anche per carenza di formazione di chi le istruttorie le gestisce soprattutto negli enti locali ma non solo purtroppo.

2.Vigilanza superficiale e non pianificata sulle attività autorizzate ed inquinanti.

3. Mancanza di trasparenza non solo sotto il profilo dei principi democratici ma delle stesse norme di legge.

4. leggi speciali che eccedono nella semplificazione delle procedure e dei termini delle istruttorie, tagliando fuori democrazia rappresentativa e comunità locali, nonostante quello che invece dice la Corte Costituzionale QUI.




P.S.

Sergio Bologna in <<Banche e crisi" (2013) scriveva di localizzazione indifferente degli investitori portuali: "un capitale che può non essere localizzato nella regione portuale per la progressiva concentrazione in pochi grandi gruppi internazionali dei principali terminal portuali escludendo così il sistema economico locale del porto da buona parte dei benefici economici". A questa gente abbiamo dato in mano, per legge, la gestione e soprattutto lo sviluppo dei porti!




 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento