Il Consiglio di Stato con ordinanza
n° 5515 del 22 luglio 2021 (QUI) rimette
alla Corte di Giustizia la valutazione sulla compatibilità delle norme
nazionali che prevedono la possibilità da parte dei Comuni di approvare
regolamenti e piani di localizzazione delle antenne di telefonia mobile ponendo
anche divieti e vincoli localizzativi.
LA NORMA NAZIONALE CONTESTATA SUI PIANI COMUNALI ANTENNE
La norma nazionale oggetto
del rinvio (domanda pregiudiziale) alla Corte di Giustizia è il comma 6
articolo 8 legge 36/2001 (QUI) che
recita:
“I comuni possono
adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di
introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio
di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi
tipologia e, in ogni caso, di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti
contingibili e urgenti, sui limiti di
esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori
di attenzione e sugli obiettivi di qualità,
riservati allo Stato
ai sensi dell'articolo 4”
Questo comma è stato recentemente modificato dall’articolo 38 della legge 120/2020. La modifica non ha fatto altro che recepire (come ho spiegato a suo tempo QUI) gli indirizzi del Consiglio di Stato sui limiti di contenuto che detti regolamenti comunali devono avere per essere coerenti con la normativa successiva alla legge 36/2001 più favorevole alla installazione delle antenne alla telefonia mobile.
Come si vede quindi già ora i regolamenti comunali non vincolano in modo assoluto la installazione di antenne di telefonia mobile ma cercano semmai di contemperare (secondo principi costituzionali e diritto comunitario) diritti alla salute pubblica e diritto all’accesso alle reti di comunicazione elettronica.
Su come redigere quindi i regolamenti e/o Piani antenne secondo il suddetto comma 6 articolo 8 e la giurisprudenza ormai univoca in materia del Consiglio di Stato ho già spiegato QUI.
LA NUOVA ORDINANZA DEL CONSIGLIO DI STATO DI RINVIO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA
Il Consiglio di Stato con la nuova ordinanza su istanza di Telecom Italia S.p.A. ritiene che la giurisprudenza comunitaria ad oggi non abbia chiarito fino a che punto questa norma nazionale sia coerente con le Direttive UE direttive in materia di reti e servizi di comunicazione elettronica ed in particolare con la Direttiva 2002/22/CE (relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica).
Quindi formula un quesito
su cui dovrà pronunciarsi la Corte di Giustizia che è il seguente: “se il
diritto dell’Unione europea osti a una normativa nazionale (come quella di cui
all’articolo 8 comma 6 legge 22 febbraio 2001. n. 36) intesa ed applicata nel
senso di consentire alle singole amministrazioni locali criteri localizzativi
degli impianti di telefonia mobile, anche espressi sotto forma di divieto,
quali il divieto di collocare antenne in determinate aree ovvero ad una
determinata distanza da edifici appartenenti ad una data tipologia”.
MA SU UN
QUESITO SIMILE LA CORTE DI GIUSTIZIA SI È GIÀ PRONUNCIATA
In realtà il Consiglio di
Stato con ordinanza n° 2033 del 7 marzo 2019 (QUI) aveva già
formulato lo stesso identico quesito alla Corte di Giustizia, avevo trattato di
questa ordinanza QUI.
La Corte di Giustizia con ordinanza (QUI) del
16 gennaio 2020 (causa C/368-19) la Corte di Giustizia ha
dichiarato manifestamente irricevibile la domanda pregiudiziale avanzata dal
Consiglio di Stato. In particolare secondo la Corte di Giustizia nella
ordinanza del 2020 aveva chiarito che:
1. il comma 6 articolo 8 della legge nazionale 36/2001 si
applica proprio all’installazione di impianti di telefonia mobile, i cui
servizi sono, in via di principio, esclusi dall’ambito di applicazione della
direttiva «servizio universale
2. il Consiglio di Stato non aveva adeguatamente illustrato
i motivi per i quali una decisione resa dalla Corte, riguardante l’interpretazione
degli articoli 3 e 8 della direttiva «servizio universale», sarebbe utile ai
fini della soluzione delle controversie che esso è chiamato a dirimere, in
conformità dell’articolo 267 TFUE (competenze della Corte di Giustizia)
Ora il Consiglio di Stato su istanza di Telecom Italia S.p.A. riformula lo stesso quesito con le stesse motivazioni. Tutto questo nonostante che, con sentenza n° 374 pubblicata l’11 gennaio 2021 (QUI) il Consiglio di Stato sia già intervenuto sulla legittimità del regolamento comunale di Roma che aveva fatto nascere l’ordinanza di rinvio alla Corte di Giustizia del 2019 sopra riportata.
CONCLUSIONI
È chiara la volontà dei
gestori di telefonia mobile di cercare in ogni modo di depotenziare l’unico
vero strumento che è rimasto in mano alle comunità locali per tutela la salute
pubblica contro l’inquinamento elettromagnetico tanto più che è in arrivo il
proliferare delle antenne 5G. Questo
nonostante che con il Codice delle Comunicazioni Elettroniche (QUI) abbia
già fortemente liberalizzato la installazione di queste antenne da ultimo si
veda la legge 108/2021 (QUI)
Se a questo aspetto
aggiungiamo che in sede UE è in atto il tentativo di introdurre una norma
europea che imponga limiti di emissione dei campi elettromagnetici della
antenne da telefonia mobile ben più alti di quelli in vigore da noi, si capisce
bene la partita che si sta giocando sulla pelle della salute dei cittadini.
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