Firmato
e pubblicato ieri il decreto (QUI) del Ministero della Transizione Ecologica che afferma il giudizio positivo di compatibilità ambientale alla nuova centrale a gas di
Fusina. Il nuovo impianto pur riducendo la potenza virtuale installata rispetto alla centrale a carbone esistente avrà un rendimento elettrico superiore
al 60% contro il 39% del vecchio impianto a carbone.
Mi chiedo a questo punto a cosa serva, dal punto di vista della stabilità del
sistema elettrico nazionale, la centrale a gas di oltre 800 MWe proposta a
Spezia. Per questo progetto il decreto di VIA positivo è alla firma del Ministro da settimane.
I
dati di Terna non sono chiari, il deficit di 550 MWe di producibilità elettrica
che oltre un anno fa aveva portato il Ministero dello Sviluppo Economico a prospettare
la proroga della durata della centrale a carbone anche oltre il 2021 (QUI) è stato smentito pochi mesi dopo.
La smentita è però arrivata sulla base
di mere notizie di stampa (dello scorso 17 settembre) mai formalizzate in un
atto di Terna o del Ministero della Transizione Ecologica, in particolare è uscita la
notizia di una revisione dei calcoli di Terna sulle esigenze dell’area nord del
sistema elettrico nazionale per cui i 500 MWe di deficit non esistevano più.
In realtà nel 2021 sono stati
autorizzati per l’area Nord del sistema Italia 2910 MWe come ho spiegato QUI. A
questi ora si vanno ad aggiungere quelli di Fusina (840 MWe con efficienza di
produzione quasi doppia dei 1136 MWe dismessi a carbone).
Quindi se guardiamo questi dati nudi e crudi la logica conseguenza dovrebbe essere: chiudiamo con il carbone nel 2021 e non facciamo la centrale a gas ad oggi presentata solo ed unicamente come una nuova servitù energetica per il territorio spezzino slegata da interessi locali veri non solo ambientali ma anche economici.
Ma ci sono due elementi ancora poco chiari.
Il primo è la avvenuta proroga del sistema di incentivi del
capacity market pensata proprio per i progetti che non hanno ancora avuto la
VIA positiva come quello di Spezia come ho spiegato QUI.
Il secondo è che ad oggi al di la delle notizie di stampa non
sono usciti dati ufficiali di Terna su questi nuovi “calcoli” che
giustificherebbero la chiusura del carbone e comunque anche quelle notizie non
escludevano la autorizzazione del progetto di centrale a gas.
Inoltre non si può rimuovere l’ultima analisi
trimestrale dell’Enea (QUI) sulla
sicurezza del sistema elettrico nazionale che afferma testualmente: “Restano sui
massimi storici i picchi di massima penetrazione oraria delle fonti intermittenti.
In parallelo, con l’aumento della domanda rischiano di ripetersi situazioni di
problemi di adeguatezza, con margini di riserva ridottissimi nei momenti
di scarsa disponibilità di importazioni”.
PERCHÉ NON
BASTA DIRE NO AL PROGETTO DI CENTRALE A GAS
Quanto affermato dall’ultima
analisi trimestrale di ENEA vuol dire che senza centrale a gas potrebbe restare
ancora il carbone oppure che comunque la centrale a gas è necessaria per la
transizione alle fonti rinnovabili nella generazione elettrica?
No perché almeno a breve è dimostrato che non c’è un rischio deficit di generazione elettrica nel compartimento nord Italia. Però per garantire che si chiuda davvero con la ipotesi di progetto di centrale a gas e soprattutto si arrivi al 2025 con la generazione elettrica quasi totalmente prodotta da fonti rinnovabili occorrono tre cose delle quali i Parlamentari spezzini dovrebbero farsi portavoce:
1. rivedere le modalità applicative del meccanismo del capacity market, nella attuale versione, sin dalla prossima asta, attualmente tutto sbilanciato sulle fonti fossili. L’articolo 3 del Decreto Capacity Market chiarisce che la decisione sulla tipologia di impianti a cui assegnare i MW delle aste previste si fonda sull’indicatore di adeguatezza aggiornato da Terna. Questo indicatore dipende molto dalla evoluzione tra le altre delle risorse della domanda e dei sistemi di accumulo nonché dalla evoluzione della generazione da FER, mentre sono ferme al Ministero dell’Ambiente numerosi progetti di impianti FER e da accumulo. D’altronde il Regolamento UE 2019/943 (QUI), che ha previsto detto meccanismo, non vincola la istituzione dei meccanismi di capacità all’uso delle fonti fossili delle generazione termoelettrica e quindi neppure a tetti obbligatori da garantire come si evince dagli articoli 21 (Principi generali per i meccanismi di capacità) e 22 (principi di concezione per i meccanismi di capacità).
2. Rivedere i meccanismi del capacity
market a favore delle fonti rinnovabili. Secondo un recente studio (QUI) dell’Istituto
di Affari Internazionali: la struttura stessa del capacity market contiene
diversi elementi che condurranno probabilmente a un sovra-approvvigionamento
delle risorse, costi eccessivi per i consumatori e un lock-in di risorse
inquinanti. Tali fenomeni si pongono altresì come vere e proprie barriere di
mercato all’utilizzo di risorse più efficienti quali il demand response e gli
accumuli. Il capacity market non dovrebbe minare la transizione energetica
creando incentivi più forti per produttori di combustibili fossili, i quali
risultano non necessari e potenzialmente più dispendiosi di altre soluzioni.
3. Accelerare le procedure di autorizzazione di tutti i
progetti legati alle fonti rinnovabili. Il
disegno del sistema autorizzativo per decarbonizzare e rilanciare gli
investimenti (QUI),
presentato da Elettricità futura – la principale associazione
delle imprese elettriche italiane – realizzato in collaborazione con Althesys,
mostra infatti che ancora oggi un processo autorizzativo per questi impianti “ha
una durata media di 7 anni di cui quasi 6 anni oltre i limiti di legge”.
4. avviare
i tavoli di confronto sulla attuazione del PNIEC coinvolgendo Regioni ed autonomie locali per definire
tipologie e siti di impianti per la transizione alla generazione elettrica da
fonti rinnovabili. Ricordo che l’energia è materia di legislazione concorrente
piaccia o meno ai decisionisti faciloni.
CONCLUSIONI:
SE VOGLIAMO LA TRANSIZIONE ENERGETICA OCCORRE UN METODO PER VALUTARE I PROGETTI
CHE AD OGGI È MANCATO
Nella discussione sul
progetto di centrale a gas almeno a Spezia è sempre mancato un ragionamento
complessivo di come questo progetto si inserisca e quanto nelle esigenze della
transizione energetica anche alla luce delle ultime novità sulle politiche di
neutralità climatica della UE.
Uno degli errori che hanno
fatto i proponenti il progetto ma soprattutto il Governo Nazionale è stato
quello di presentarlo come una mera e rinnovata servitù energetica slegata da
un bilancio ambientale sulla situazione dell’area ex della città e delle sue
diverse fonti inquinanti (porto in primo luogo).
E’ mancato un progetto per
scenari alternativi integrato energia e ambiente territorio supportato da un bilancio
ambientale che desse un peso economico sociale ambientale e sanitario ai
diversi scenari. Mancando questo è giusto che la città si sia schierata
compattamente per il no al progetto di centrale a gas e devo dire i dati
contraddittori di Terna hanno dato l'impressione netta, anche ai non addetti
ai lavori, che il progetto di Enel abbia un senso solo se legato agli incentivi
del capacity market come d’altronde avviene per il proliferare dei biodigestori
in modo slegato dalle esigenze degli ambiti territoriali ma legato solo ed
unicamente agli incentivi del biometano.
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