martedì 21 agosto 2018

La Corte Costituzionale sulla disciplina del rapporto Arpa – ASL nella tutela di salute e ambiente

La Corte Costituzionale con sentenza n°172 del 2018 ( vedi QUIha dichiarato la illegittimità costituzionale di una norma della Regione Sicilia che aveva qualificato la Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa) quale ente del settore sanitario. La questione è ben più complessa della semplice distinzione istituzionale tra Arpa e sistema sanitario soprattutto se vista appunto dal campo delle modalità di autorizzazione, monitoraggio e controllo delle attività inquinanti e dell’impatto di queste sulla salute dei cittadini. In realtà occorre una integrazione tra ruolo delle Arpa e ASL come peraltro la normativa nazionale e regionale riconosce, normativa però spesso non rispettata soprattutto per la incapacità delle ASL di adempiere ai loro compiti in materia di prevenzione nella tutela della salute pubblica.

Nel post che segue esamino prima il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale e successivamente descrivo la normativa nazionale che riconosce la necessaria integrazione tra attività delle Arpa e delle ASL


LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N° 172 del 2018
Secondo la ricorrente Presidenza del Consiglio dei Ministri la norma regionale in questione: “si porrebbe in contrasto sia con l'art. 117, terzo comma, in materia  di tutela della salute e di coordinamento della  finanza  pubblica,  sia con l'art. 81, terzo comma, Cost., in quanto suscettibile di generare oneri a carico del Servizio sanitario nazionale  non  quantificati  e non coperti”.

La Corte Costituzionale nell’accogliere il ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha così motivato:
Le agenzie regionali per la protezione  dell'ambiente  sono state istituite a seguito del referendum del 18 aprile 1993,  che  ha abrogato  alcune  parti  della  legge  23  dicembre  1978,   n.   833 (Istituzione  del  Servizio  sanitario  nazionale),   eliminando  le competenze ambientali della vigilanza e controllo locali del Servizio sanitario nazionale, esercitate  tramite  i  presidi  multizonali  di prevenzione.
Tali competenze, a seguito della legge 21 gennaio 1994, n.61 sono state affidate ad apposite agenzie regionali per la protezione dell'ambiente (ARPA, istituite assieme all'Agenzia   nazionale   per la protezione dell'ambiente  (ANPA),  divenuta  poi  APAT  e  nel 2008 confluita nell'Istituto superiore per la protezione  e  la ricerca  ambientale (ISPRA).
Tanto premesso, l'attribuzione all'ARPA siciliana della natura di ente del settore sanitario da parte della norma impugnata  viola  il principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria, da ritenersi principio di coordinamento della finanza pubblica,  sulla base di quanto già rilevato, in molteplici  occasioni,  da  questa Corte (ex multis, sentenze n. 203 del 2008 e n. 193 del 2007).
Tale conclusione è avvalorata, da un lato, dalla considerazione che le funzioni spettanti all'ARPA sono solo in minima parte riconducibili a funzioni sanitarie stricto sensu e che, anche  alla luce dei principi posti dalla recente legge 28 giugno 2016,  n. 132 (Istituzione del sistema nazionale a rete per la   protezione dell'ambiente e disciplina dell'Istituto superiore per la  protezione e  la  ricerca  ambientale),  il   sistema   di   finanziamento,   di qualificazione  e  di  controllo  delle   agenzie   ambientali   deve considerarsi nettamente distinto da quello  degli  enti  del  settore sanitario; dall'altro, dal fatto che  la  Regione  Siciliana risulta impegnata nel piano di rientro dal disavanzo sanitario e che, quindi, l'inserimento di un ente, estraneo  alle  prestazioni  di  assistenza sanitaria, nel novero degli enti di cui al comma 3 dell'art. 4  della legge reg. Siciliana n. 6 del 2009 e di cui alla legge reg. Siciliana n. 25  del  2008,  implicando  l'assunzione  a  carico  del  bilancio
regionale di oneri aggiuntivi  in  contrasto  con  gli  obiettivi  di risanamento del Piano di rientro, viola il principio di  contenimento della spesa pubblica  sanitaria,  quale  principio  di  coordinamento della finanza pubblica e, in definitiva,  l'art.  117,  terzo  comma, Cost.
Tale conclusione risulta, inoltre, convalidata dalla  circostanza che  la  materia  dell'assistenza  sanitaria   rientra   tra   quelle contemplate dall'art. 17 dello statuto siciliano, rispetto alle quali la Regione può esercitare la propria competenza legislativa solo nei limiti dei principi e degli interessi  generali  cui  si  informa  la legislazione statale.”



IL FONDAMENTO SCIENTIFICO DEL LEGAME TRA PREVENZIONE DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE  TUTELA DELLA SALUTE
Il rapporto inquinamento dell’ambiente e tutela della salute ha assunto ormai un significato strategico per il futuro dell’umanità. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) stima che i fattori di stress per l’ambiente siano responsabili per il 15-20 % delle morti in 53 paesi europei. Secondo l’OCSE entro il 2050, in tutto il mondo, l’inquinamento atmosferico urbano diventerà la prima causa di mortalità legata all’ambiente.
In questo senso è fondamentale che si sviluppino politiche di prevenzione e una organizzazione istituzionale che le applichi. La normativa nazionale prevede queste politiche e questa organizzazione come vedremo nel seguito di questo post ma nel concreto siamo ancora lontani da un adeguato sistema operativo di prevenzione della salute in riferimento agli inquinamenti ambientali.



LA NORMATIVA CHE DISCIPLINA IL RAPPORTO TRA LE ARPA E LE ASL NELLA PREVENZIONE DELLA TUTELA DELLA SALUTE PUBBLICA

La legge nazionale istitutiva delle Arpa
La legge 61/1994 ha dato attuazione nel nostro ordinamento giuridico al trasferimento delle funzioni in materia di controlli ambientali dalle ASL alle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (ARPA).   
In particolare all’articolo 3 detta legge si afferma che la organizzazione delle ARPA è finalizzato tra ad assicurare efficace e indirizzi omogeni, tra l’altro, alla attività di prevenzione sanitaria
Sembrerebbe quindi che le Agenzie Regionali abbiano nella ratio della legge 61 un carattere non solo ambientale ma anche sanitario sia pure solo indiretto o integrato con il sistema ASL come spiega la sentenza della Corte Costituzionale descritta nella prima parte di questo post. E’ esplicitamente previsto che l’Agenzia Regionale debba assicurare il coordinamento con le attività di prevenzione sanitarie (art.03.3). E’ pure previsto che la Regione fissi le modalità non solo di coordinamento ma anche di integrazione necessarie ad evitare sovrapposizioni di funzioni e di attività fra le strutture dell’Agenzia Regionale ed i servizi USL (art. 03.4).

In realtà si tratta di una norma di principio che però non chiarisce il rapporto tra le competenze e le attività in campo di prevenzione sanitaria ed ambientale; non si prevede nè una separazione netta del sistema della prevenzione ambientale da quella sanitaria nè l’unità  dei due settori  in un unico sistema.  Questa ambiguità é conseguenza dei vincoli che il legislatore  ha avuto, dovendo da un lato conservare nel sistema sanitario-aziende USL il Dipartimento di Prevenzione ex art. 7 DLG 502/1992 (come modificato dall’art. 8 DLG 517/1993) e dall’altro scorporare dallo stesso sistema le attività di controllo ambientali ai sensi dell’art. 1 Dpr 177/1993 (normativa di attuazione del referendum abrogativo delle competenze ambientali dell'ASL).  
La legge 61/1994 pur volendo normare solo le competenze ambientali non riesce a tener separati  gli aspetti sanitari . Questa commistione é evidente nella descrizione delle attività tecniche di cui all’art. 01.1 lettere d),h),i),l),m) (vedi QUI); non si può infatti prescindere dalle competenze sanitarie quando si parla di rischi di incidenti rilevanti, protezione della popolazione dalle radiazioni, valutazione di impatto ambientale, definizione di limiti di accettabilità e standard, igiene ambientale. 
La legge 61 fa salve tutte le competenze sanitarie, recita l’art. 01.2 “Restano ferme le attribuzioni tecniche e di controllo e quelle amministrative...spettanti...in materia di igiene degli alimenti, di servizi veterinari, di igiene prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro  e di igiene e sanità pubblica, al Servizio Sanitario Nazionale”; nonché come già detto l’art. 7 DLG 502/1992.  

I Dipartimenti di Prevenzione delle ASL
Peraltro ad ulteriore conferma della necessità di coordinare Arpa e Dipartimenti di Prenzione si veda l’articolo 7-bis del DLgs 502/1992 che al comma 2 prevede che: “il Dipartimento di prevenzione promuove azioni volte a individuare e rimuovere le cause di nocività e malattia di origine ambientale”.  A sua vota l’articolo 7-ter del DLgs 502/1992 prevede che il Dipartimento di Prevenzione garantisca tra le altre la funzione di: “tutela della collettività dai rischi sanitari degli ambienti di vita anche con riferimento agli effetti sanitari degli inquinanti ambientali”.
Non solo ma l’articolo 7-quinquies del DLgs 502/1992 al comma 2 in particolare prevede che: “Le regioni individuano le modalità e i livelli di integrazione fra politiche sanitarie e politiche ambientali, prevedendo la stipulazione di accordi di programma e convenzioni tra le unità sanitarie locali e le aziende ospedaliere e le agenzie regionali per la protezione dell'ambiente per la tutela della popolazione dal rischio ambientale, con particolare riguardo alle attività di sorveglianza epidemiologica e di comunicazione del rischio. Tali accordi devono comunque garantire l'erogazione delle prestazioni richieste dalle unità sanitarie locali per lo svolgimento di funzioni e di compiti istituzionali senza oneri aggiuntivi per il Servizio sanitario nazionale. Le regioni e le unità sanitarie locali, per le attività di laboratorio già svolte dai presidi multizonali di prevenzione come compito di istituto, in base a norme vigenti, nei confronti delle unità sanitarie locali, si avvalgano delle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente.”

La legge 132/2016 che istituisce il Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente e disciplina dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA). 
Questa legge che riordina la disciplina nazionale del sistema delle Arpa  e va quindi coordinata con la precedente legge 61 del 1994 sopra descritta, conferma a livello di indirizzi e principi che gli obiettivi del Sistema delle Arpa insieme con l’Ispra devono essere raggiunti  (articolo 1): “in coordinamento ed integrazione con gli obiettivi nazionali e regionali per la tutela della salute umana”.

Leggi regionali
Molte leggi regionali prevedono il coordinamento delle attività tra le Arpa e le ASL inserendo il ruolo delle prime nei piani sanitari regionali (come ad esempio articolo 7 legge regione Liguria n. 20/2006 che disciplina la organizzazione e le funzioni della Arpa ligure)



GLI INDIRIZZI EUROPEI E  ONU SULLA INTEGRAZIONE DELLA SALUTE NELLE POLITICHE DI PREVENZIONE DALL’INQUINAMENTO

Il programma di azione della Commissione UE
Si tratta del 7° PAA – Programma generale di azione dell’Unione in materia di ambiente fino al 2020 approvato con Decisione N°1386/2013 del Parlamento Europeo (vedi QUI).
Il programma identifica tre aree prioritarie in cui è necessario agire con più decisione per proteggere la natura e rafforzare la resilienza ecologica, promuovere una crescita a basse emissioni di carbonio ed efficiente nell’impiego delle risorse e ridurre le minacce per la salute e il benessere dei cittadini legate all’inquinamento, alle sostanze chimiche e agli effetti dei cambiamenti climatici.
In particolare nel programma si individua un obiettivo essenziale al fine di prevenire i danni alla salute dall’inquinamento e cioè quello di: “migliorare l’integrazione ambientale e la coerenza delle politiche” anche attraverso il miglioramento e l’efficacia applicativa delle valutazioni ex ante dell’impatto ambientale, sociale ed economico.

Agenda 2030 dello sviluppo sostenibile
Si tratta del documento approvato dalla Assemblea generale dell’ONU il 25 settembre 2015: un programma di azione per le persone, il pianeta e la prosperità.  Per il testo vedi QUI.
All’interno del documento c’è anche l’obiettivo della salute, al fine, tra gli altri,  di rafforzare la capacità di tutti i paesi, in particolare i paesi in via di sviluppo, per la prevenzione, la riduzione e la gestione dei rischi per la salute nazionale e globale.



LE CRITICITÀ CHE EMERGONO NEL PIANO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE DEL MINISTERO DELLA SALUTE
Il Piano nazionale prevenzione 2014-2018 ha (vedi QUItra i suoi macro-obiettivi anche quello di “Ridurre le esposizioni ambientali potenzialmente dannose per la salute. Ma il Piano stesso ammette le difficoltà (ad oggi non superate adeguatamente) per raggiungere questo macro  obiettivo dichiarato per ora a parole. Afferma il Piano stesso: “L’Italia oggi presenta numerose carenze normative e applicative rispetto alle raccomandazioni internazionali e alla completa applicazione delle indicazioni europee sulla Valutazione di Impatto sulla Salute (VIS). Inoltre, pur richiedendo una valutazione della componente salute nella Valutazione di Impatto Sanitario (VIA) e nella Valutazione Ambientale Strategica (VAS), a partire dal DPCM 27/12/88 e successivamente nel Dlgs 152/2006, non c’è adeguata chiarezza sulle relative procedure applicative, con la conseguenza che spesso la valutazione della componente salute è disattesa o trattata in modo insufficiente ai fini decisionali.”

Non solo ma nel Documento di indirizzo per l’attuazione delle linee di supporto centrali al piano nazionale della prevenzione 2014-2018 (vedi QUI) si afferma (pagine 2 e 3): "La promozione della salute richiede integrazione delle politiche socio-sanitarie con le politiche relative all’istruzione e alla promozione culturale, allo sviluppo economico, alla tutela dell'ambiente, all'urbanistica ed ai trasporti, all’istruzione, all’industria, al commercio, all’ambiente, all’agricoltura, sia a livello centrale che territoriale. E’ necessario che le pratiche di prevenzione siano giustificate dalla esistenza di prove che dimostrino la loro efficacia: la presenza di procedure, certificazioni o autorizzazioni, prive di documentata efficacia, genera un uso non ottimale delle risorse, una perdita di credibilità del sistema di prevenzione, oltre a una mancanza di impatto sui problemi di salute".



CONCLUSIONI: RENDERE OBBLIGATORIA LA VALUTAZIONE INTEGRATA DI IMPATTO AMBIENTALE E SANITARIO (VIIAS)
Se dovessi valutare la questione dalla mia esperienza, certamente parziale ma credo significativa,di decine  di vertenze ambientali seguite ogni anno ( e da oltre 20 anni) in giro l’Italia direi che quanto affermato nel Piano Nazione della Prevenzione risponde ancora spesso e volentieri alla realtà ed il deficit principale a me pare nel ruolo dell’ASL spesso assente, o comunque con un ruolo sottotono,  nei processi decisionali e nei controlli preventivi sulle attività inquinanti. Questo limite fa  il paio con la altrettanto assenza di protocolli operativi concretamente applicati nella integrazione tra ruolo delle Arpa e le ASL.
Credo che un contributo ad accelerare la soluzione di dette problematiche ma anche a valorizzare  le buone pratiche esistenti, sia quella di rendere obbligatoria la VIIAS (vedi QUI) nei processi decisionali a rilevanza ambientale. Attualmente non lo è se non per alcune limitatissimi categorie di opere (all’interno del solo procedimento di VIA) vedi raffinerie e centrali termoelettriche sopra i 300 MW.  Occorre renderla obbligatoria per
1. tutte le opere sottoposte a VIA ordinaria
2. tutti i piani/programmi sottoposti a VAS ordinaria
3. tutti gli stabilimenti soggetti ad AIA

Inoltre prevedere forme di VIIAS semplificate anche per tutte le decisioni relative alle industrie insalubri come elencate dal decreto ministero sanità del 1994 (per approfondire vedi QUI).




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