Importante
sentenza del Consiglio di Stato (n° 5379 del 7 settembre 2020) che a
prescindere dal caso specifico trattato svolge una articolata ricostruzione
della procedura di verifica di assoggettabilità a Valutazione di Impatto Ambientale
(di seguito screening), chiarendone:
1.
limiti e potenzialità istruttorie
2.
autonomia dalla procedura di VIA ordinaria
3.
oggetto
4.
impugnabilità
5.
livello di discrezionalità della Autorità Competente allo svolgimento della
procedura di screening
Di
seguito riporto i passaggi più significativi della sentenza (per il cui testo
integrale vedi QUI) preceduti da titoli che sintetizzano
i motivi della sentenza per comodità di lettura…
LO SCREENING NON È UN SUBPROCEDIMENTO DELLA VIA ORDINARIA
La
verifica di assoggettabilità, dunque, non può essere considerata una fase
costitutiva ed imprescindibile della V.I.A., perché essa non deve essere
esperita sempre, ma solo rispetto ai progetti appena elencati.
LO SCREENING NON PUÒ FONDARE LE SUE CONCLUSIONI SOLO SUL PARAMENTRO DELLE
SOGLIE DIMENSIONALI DELL’OPERA OGGETTO DI VALUTAZIONE
La
direttiva n. 2011/92/UE che ha armonizzato a livello comunitario la disciplina
della V.I.A., specifica che lo screening può essere realizzato
o mediante un’analisi caso per caso, oppure lasciando agli Stati membri la
possibilità di fissare delle soglie dimensionali rispetto alle quali procedere
o meno alla verifica di assoggettabilità. Suddetta Direttiva è molto chiara
nello specificare che, anche qualora si decidesse di fare riferimento ad un
indicatore dimensionale, data la rilevanza che riveste lo screening (perché
in base al suo esito si decide se procedere o meno ad effettuare la V.I.A.),
occorrerebbe fare riferimento comunque anche a specifici criteri di selezione.
Pertanto non è possibile escludere un progetto solo facendo riferimento alle
sue dimensioni: occorre avere una visione d’insieme.
L’IMPORTANZA NELLO SCREENING DI TUTTI I PARAMETRI DI VERIFICA DI
ASSOGGETTABILITÀ
In
relazione all’oggetto della sentenza qui esaminata, il Consiglio di Stato afferma
che alla conclusione di detto iter procedimentale sono stati
individuati gli impatti sull’ambiente del progetto così determinati: 1) dalle
possibili problematiche di tipo geologico e geomorfologiche; 2) dall’impatto
sulla visuale, in ragione dello stato dei luoghi e delle zone vicine; 3) dalla
necessità di cumulare tale impatto con la presenza di un altro impianto,
siccome previsto espressamente dall’Allegato V al T.U.A..
PROVVEDIMENTO CONCLUSIVO DELLO SCREENING ANTICIPA IN PARTE IL PROCEDIMENTO
DI VIA ORDINARIA MA NON PUÒ SOSTITUIRSI AD ESSO
La
peculiarità dell’autonomia del procedimento di screening, consiste
nel fatto che non si conclude mai con un diniego di V.I.A., bensì con un
giudizio di necessità di sostanziale approfondimento. In altre parole, il
rapporto tra i due procedimenti appare configurabile graficamente in termini di
cerchi concentrici caratterizzati da un nucleo comune rappresentato dalla
valutazione della progettualità proposta in termini di negativa incidenza
sull’ambiente, nel primo caso in via sommaria e, appunto, preliminare, nel
secondo in via definitiva, con conseguente formalizzazione del provvedimento di
avallo o meno della stessa. La “verifica di assoggettabilità”, come
positivamente normata, anticipa sostanzialmente la valutazione di impatto,
delibandone l’opportunità, sulla base della ritenuta sussistenza prima facie dei
relativi presupposti
LO SCREENING NON PUÒ AVERE LO STESSO LIVELLO DI APPROFONDIMENTO DELLA VIA
ORDINARIA
L’assoggettamento
a V.I.A., non può non orientare verso la stessa in tutti i casi in cui si
ritenga necessario un approfondimento progettuale ben più pregnante della mera
integrazione e chiarimento richiedibile in fase di screening. Quindi
nella fase di screening non si deve pretendere lo stesso
approfondimento di potenziale lesività ambientale che connota la V.I.A. vera e
propria, non se ne comprenderebbe la reiterazione in tale fase successiva,
ridotta sostanzialmente ad un inutile duplicato di quanto già preliminarmente
accertato. La sottoposizione a V.I.A., dunque, ben può conseguire ad una scelta
di cautela, seppur adeguatamente motivata in relazione a fattori di oggettiva
pericolosità rivenienti dagli indici di cui all’Allegato V al Codice ambientale,
stante che ciò implica solo il rinvio ad un più approfondito scrutinio della
progettualità proposta, che dalle ragioni dello stesso non risulta comunque in
alcun modo condizionata.
LO SCREENING SE ADEGUAMENTE MOTIVATO PUÒ DECIDERE IL PASSAGGIO ALLA VIA
ORDINARIA ANCHE BASANDOSI SUL RILEVANTE IMPATTO SU UNICO FATTORE AMBIENTALE
La
necessità che si addivenga ad un giudizio di natura complessiva, di
compatibilità ambientale, appunto, all’interno del quale l’impatto sul
paesaggio non esaurisce tutte le possibili sfaccettature, ma non per questo
soltanto si palesa insufficiente a motivare non una valutazione negativa, bensì
la necessità di effettuazione della stessa.
IL RUOLO DEL SINDACATO DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO NON PUÒ SOSTITUIRSI ALLA
DISCREZIONALITÀ ISTRUTTORIA DELLA AUTORITÀ COMPETENTE
Il
sindacato del giudice amministrativo in materia è necessariamente limitato alla
manifesta illogicità ed incongruità, al travisamento dei fatti o a macroscopici
difetti di istruttoria. Discrezionalità, rileva ancora il Collegio, ancor più
rilevante con riferimento alla fase di screening, connotata da una
sostanziale sommarietà, e, conseguentemente, doverosamente ispirata a più
rigorose esigenze di cautela: in pratica, la soglia di negatività ed incisività
dell’impatto può paradossalmente essere ritenuta travalicabile con margini più
ampi in sede di delibazione preliminare, proprio perché di per sé non
preclusiva degli esiti della successiva V.I.A.
IMPUGNABILITÀ DI FRONTE ALLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA DEL PROVVEDIMENTO
CONCLUSIVO DELLO SCREENING: LE IMPUGNAZIONI NON CREANO AGGRAVI PROCEDURALI MA RISPETTANO IL
DIRITTO DEI CITTADINI A CHIEDERE LA TUTELA DEI VALORI AMBIENTALI
Le
procedure di VIA e di screening, pur inserendosi sempre all’interno del più
ampio procedimento di realizzazione di un’opera o di un intervento, sono state
considerate da dottrina e giurisprudenza prevalenti come dotate di autonomia, Questo
è il motivo per il quale anche gli atti conclusivi della procedura di screening,
seppure connotati dal rilevato grado di provvisorietà, nell’accezione meglio
esplicitata, sono stati ritenuti immediatamente impugnabili dai soggetti
interessati alla protezione di quei valori, ovvero dal privato che ritenga
immotivato l’aggravio procedurale impostogli. Con ciò erroneamente connotando
in termini di indebito onere aggiuntivo, ciò che costituisce la regola a tutela
dell’ambiente, nonché evidentemente confondendo la - spesso lamentata -
farraginosità e lunghezza del procedimento di V.I.A. (sul quale, pertanto, il
legislatore è reiteratamente intervenuto con finalità di semplificazione), con
la essenziale finalità di tutela ambientale che ne connota l’avvenuta
introduzione.
LO SCREENING VERIFICA LA RILEVANZA DELL’IMPATTO SIA IN TERMINI QUANTITATIVI
CHE QUALITATIVI
La
riforma del testo unico ambientale del 2010 ha inciso anche sulla più generale
parte definitoria, integrando, ad esempio, l’art. 6, comma 5, del d.lgs. n.
152/2006 con l’introduzione accanto all’aggettivo “significativi” con il
quale erano connotati gli impatti ambientali del progetto esaminando nella
V.I.A. vera e propria, anche quello “negativi”. Tale endiadi che vuole
verificato sia il disvalore dell’intervento in termini qualitativi, sia
l’entità dello stesso in termini quantitativi (la significatività, appunto)
connota dunque tanto lo screening, che la V.I.A. ordinaria. Per cui l’intensità
crescente del giudizio, sostanzialmente identico per contenuto, costituisce il
discrimine, comprensibilmente chiaroscurale, tra possibilità di arresto al
primo step e passaggio doveroso alla fase successiva.
SE LO SCREENING SI CONCLUDE CON LA APPLICAZIONE DELLA VIA ORDINARIA NON
FORNISCE PRESCRIZIONI MA SOLO RILEVANZA DI IMPATTI DA VALUTARE APPUNTO IN SEDE
DI PROCEDIMENTO ORDINARIO
Secondo
il Consiglio di Stato nella sentenza qui esaminata il rilevato impatto sul
paesaggio è descrittivamente enfatizzato indicando i possibili rimedi alla
alterazione della visuale: ciò non ne implica affatto l’imposizione in termini
di modifica progettuale alla parte, rispondendo piuttosto alla logica di
evidenziare le criticità, attraverso la prospettazione dei rimedi, necessari
proprio in ragione della loro ritenuta sussistenza. In sintesi, nessuna
prescrizione è stata concretamente imposta alla parte, per l’evidente ragione
che in sede di screening solo l’esito positivo ne avrebbe
consentito la formulazione, per corroborare la scelta minimalista effettuata.
Il che non si è verificato nel caso di specie.
LO SCREENING
NON CONCLUDENDOSI CON UN NO AL PROGETTO MA SOLO AL MASSIMO CON UN RINVIO ALLA
PROCEDURA DI VIA NON è ASSOGGETTATO ALL’OBBLIGO DI COMUNICARE ANTICIPATAMENTE
AL COMMITTENTE DELL’OPERA LE CONCLUSIONI
Relativamente
al preavviso di diniego ex art. 10 bis della
l. n. 241/1990, il Consiglio di Stato conferma il diverso orientamento in forza
del quale la autonomia dello stesso e la immediata lesività degli interessi di
parte imporrebbe comunque tale garanzia partecipativa, allo scopo di acquisire
elementi potenzialmente utili alla decisione. Coerentemente con quanto sopra
detto, tuttavia, la Sezione ritiene piuttosto di aderire, ampliandola, alla
diversa prospettazione in forza della quale la mancanza di un esito finale
negativo rende il provvedimento impugnato ontologicamente incompatibile con la
necessità del relativo preavviso. Nel giudizio di screening,
infatti, non si addiviene ad un vero e proprio diniego, ma solo alla decisione
di sottoporre a procedimento di valutazione un determinato progetto (cfr. T.A.R.
Calabria, sez. I, 30 marzo 2017, n. 536; T.A.R. Puglia, sez. I, 10 luglio 2012,
n. 1394).
L’omesso
preavviso di rigetto ex art. 10 bis della l.
n. 241 del 1990, non è invocabile non solo per i provvedimenti di carattere
vincolato, ma anche per quelli connotati ex lege da tratti di
assoluta specialità, come pertanto riscontrabile nel caso di specie.
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