venerdì 4 settembre 2020

Contributi ambientali per i Comuni ospitanti impianti rifiuti: sentenza Consiglio di Stato illuminante!


Come è noto in molte Regioni sono state approvate norme regolamentari che prevedono contributi ai Comuni ospitanti impianti rifiuti  al fine di compensazione per i disagi socio ambientali. In alcune situazioni si prevedono accordi in cui gli stessi  Comuni conferenti pagano il contributo al Comune ospitante, in altri casi è il gestore dell’impianto che o di sua iniziativa o all’interno della tariffa rifiuti sostiene detto contributo.
Il Consiglio di Stato con sentenza n° 5254 del 27 agosto 2020 (QUI e QUI) è intervenuto sulla questione di detto contributo. 

Al di la delle specificità del caso trattato nella sentenza, risulta rilevante in generale quanto affermato nella sentenza in relazione alla natura giuridica di detto contributo. Afferma in un passaggio significativo il Consiglio di Stato: “… tra i costi di gestione dell’impianto deve tenersi conto dei costi socio ambientali connessi a tale gestione, da determinarsi sulla base delle quantità di rifiuti conferiti … nonché nella destinazione di tale costo socio-ambientale alla bonifica e riqualificazione dei siti inquinati…  Il CDA non è considerato isolatamente, ma rientra tra i costi di smaltimento ripartiti tra i Comuni che conferiscono rifiuti all’impianto e va ad integrare il quadro dei costi proposto all’atto della richiesta di autorizzazione all’esercizio e, quindi, il quadro dei costi che determina la tariffa di smaltimento… In definitiva, il CDA costituisce un costo per il gestore dell’impianto, da destinarsi alla bonifica e alla riqualificazione dei siti inquinati, che grava sui comuni conferenti mediante la sua inclusione nella tariffa di smaltimento.”

Il principio è chiaro il contributo non deve essere interpretato come una sorta monetizzazione dell’impatto ambientale prodotto dalla presenza di un impianto sul territorio di un Comune. Questa visione del contributo sfalsa i processi decisionali per autorizzare gli impianti perché produce una sorta di “ricatto economico” ai Comuni ospitanti : soldi in cambio di accettazione della presente.
Questa visione del contributo è inaccettabile anche da un punto di vista normativo  perché in contrasto con i criteri della Direttiva sul risarcimento danno ambientale 2004/35/CE.  Mi riferisco quindi ad una norma europea (non ad interpretazioni dottrinali) che è stata recepita in Italia attraverso gli articoli da 299 a 318 del TU ambiente DLgs 152/2006.  In particolare nella citata direttiva 2004/35 le misure di compensazione  del danno ambientale alternative alle misure dirette di ripristino ambientale sono così definite : “La compensazione consiste in ulteriori miglioramenti alle specie e agli habitat naturali protetti o alle acque nel sito danneggiato o in un sito alternativo. Essa non è una compensazione finanziaria al pubblico”.

Invece per fare un esempio ligure la società che ha presentato il progetto di biodigestore a Vezzano Ligure ha proposto un “ristoro ambientale” (lo chiamano così sic!)  per Comune per un totale di 570 mila euro:  390 mila per Spezia; 43 mila per Santo Stefano e Arcola; 32 mila a Vezzano e Bolano, e 27 mila euro per Follo. Il parametro su cui si fondano queste cifre annunciate da Recos è un tot per abitante. Quindi a prescindere da dove viene concretamente collocato l’impianto chi ha più abitanti si beccherà più soldi. Siamo quindi di fronte ad un “ristoro economico” che si configura neppure come una monetizzazione della salute. Infatti Spezia che sarà il Comune che, per le distanze dal sito di Saliceti, avrà sicuramente gli  impatti ambientali sanitarie e socio economico minori, prenderà oltre due terzi del totale mentre Vezzano e Santo Stefano che il biodigestore lo avranno in casa prenderanno le briciole. Insomma una sorta di liberalità che con l’ambiente e la sua tutela anche solo in chiave riparatoria non c’entra un bel nulla! Mi viene in mente un'altra definizione ma lasciamo perdere.
Di certo tutto questo non ha nulla a che fare con il principio affermato dalla sentenza del Consiglio di Stato sopra riportato e tanto meno con la Direttiva sul danno ambientale di quella Unione Europea di cui tutti si riempiono la bocca per poi violare o aggirare le norme da essa approvate! Ma tutto ciò è in contrasto perfino con il regolamento della Regione Liguria (e s.m.i. per il testo coordinato QUI) visto che fa riferimento ad una quota per kg di rifiuto trattato nell’impianto non per numero di abitanti. Ma il Comune di Spezia eccome si è intascato i soldini di Recos figuriamoci!





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