Come è noto in molte
Regioni sono state approvate norme regolamentari che prevedono contributi ai
Comuni ospitanti impianti rifiuti al
fine di compensazione per i disagi socio ambientali. In alcune situazioni si
prevedono accordi in cui gli stessi
Comuni conferenti pagano il contributo al Comune ospitante, in altri
casi è il gestore dell’impianto che o di sua iniziativa o all’interno della
tariffa rifiuti sostiene detto contributo.
Il Consiglio di Stato con
sentenza n° 5254 del 27 agosto 2020 (QUI
e QUI)
è intervenuto sulla questione di detto contributo.
Al di la delle specificità del
caso trattato nella sentenza, risulta rilevante in generale quanto affermato
nella sentenza in relazione alla natura giuridica di detto contributo. Afferma
in un passaggio significativo il Consiglio di Stato: “… tra i costi di gestione dell’impianto deve tenersi conto dei costi socio
ambientali connessi a tale gestione, da determinarsi sulla base delle quantità
di rifiuti conferiti … nonché nella destinazione di tale costo socio-ambientale
alla bonifica e riqualificazione dei siti inquinati… Il CDA non è considerato
isolatamente, ma rientra tra i costi di smaltimento ripartiti tra i Comuni che
conferiscono rifiuti all’impianto e va ad integrare il quadro dei costi
proposto all’atto della richiesta di autorizzazione all’esercizio e, quindi, il
quadro dei costi che determina la tariffa di smaltimento… In definitiva, il CDA
costituisce un costo per il gestore dell’impianto, da destinarsi alla bonifica
e alla riqualificazione dei siti inquinati, che grava sui comuni conferenti
mediante la sua inclusione nella tariffa di smaltimento.”
Il
principio è chiaro il contributo non deve essere interpretato come una sorta
monetizzazione dell’impatto ambientale prodotto dalla presenza di un impianto
sul territorio di un Comune. Questa visione del contributo sfalsa i processi
decisionali per autorizzare gli impianti perché produce una sorta di “ricatto
economico” ai Comuni ospitanti : soldi in cambio di accettazione della
presente.
Questa
visione del contributo è inaccettabile anche da un punto di vista normativo perché in contrasto
con i criteri della Direttiva sul risarcimento danno
ambientale 2004/35/CE. Mi riferisco quindi ad una norma europea (non
ad interpretazioni dottrinali) che è stata recepita in Italia attraverso gli
articoli da 299 a 318 del TU ambiente DLgs 152/2006. In particolare nella
citata direttiva 2004/35 le misure di compensazione del danno ambientale
alternative alle misure dirette di ripristino ambientale sono così definite : “La compensazione consiste in ulteriori
miglioramenti alle specie e agli habitat naturali protetti o alle acque
nel sito danneggiato o in un sito alternativo. Essa non è una compensazione
finanziaria al pubblico”.
Invece per fare un esempio
ligure la società che ha presentato il progetto di biodigestore a Vezzano
Ligure ha proposto un “ristoro ambientale” (lo chiamano così sic!) per Comune per un totale di 570 mila
euro: 390 mila per Spezia; 43 mila per Santo Stefano e Arcola; 32
mila a Vezzano e Bolano, e 27 mila euro per Follo. Il parametro su cui si
fondano queste cifre annunciate da Recos è un tot per abitante. Quindi a
prescindere da dove viene concretamente collocato l’impianto chi ha più
abitanti si beccherà più soldi. Siamo quindi di fronte ad un “ristoro
economico” che si configura neppure come una monetizzazione della salute.
Infatti Spezia che sarà il Comune che, per le distanze dal sito di Saliceti,
avrà sicuramente gli impatti ambientali sanitarie e socio economico
minori, prenderà oltre due terzi del totale mentre Vezzano e Santo Stefano che
il biodigestore lo avranno in casa prenderanno le briciole. Insomma una sorta
di liberalità che con l’ambiente e la sua tutela anche solo in chiave
riparatoria non c’entra un bel nulla! Mi viene in mente un'altra definizione ma
lasciamo perdere.
Di certo tutto questo non
ha nulla a che fare con il principio affermato dalla sentenza del Consiglio di
Stato sopra riportato e tanto meno con la Direttiva sul danno ambientale di
quella Unione Europea di cui tutti si riempiono la bocca per poi violare o
aggirare le norme da essa approvate! Ma tutto ciò è in contrasto perfino con il
regolamento della Regione Liguria (e s.m.i. per il testo coordinato QUI)
visto che fa riferimento ad una quota per kg di rifiuto trattato nell’impianto
non per numero di abitanti. Ma il Comune di Spezia eccome si è intascato i
soldini di Recos figuriamoci!
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