domenica 29 ottobre 2017

Depositi petroliferi: come tutelare la salute dei cittadini

Giovedì sera ho partecipato ad un interessantissimo dibattito al Municipio di Pegli  avente come tema : la  problematica ambientale e sanitaria dell’area di Multedo che da decenni vede la presenza  di depositi petroliferi ad un passo dalle case.  

L’iniziativa era organizzata dal Movimento 5stelle genovese e aveva  due obiettivi:


1. focalizzare la problematica del rischio sanitario in quell’area. Questione affrontata dall’intervento del dott. Federico Valerio (per il testo  guardate le slide QUI) 
2. proporre una ipotesi progettuale di ricollocazione dei depositi: presentata dal Professore Architetto Giovanni Spalla.

All’incontro era presente anche il Sindaco di Genova che ha seguito con attenzione e rispetto il dibattito introdotto da una relazione del consigliere municipale Massimo Currò che ha fatto il quadro inquietante della situazione di questa zone (vedi QUI)

La mia relazione chiamava proprio in causa il ruolo delle Amministrazioni Pubbliche (Città Metropolitana, Municipi, ASL, Arpal e Regione) non solo in relazione al tema di una nuova pianificazione degli usi in quell’area (questione fondamentale ma anche inevitabilmente dislocata in tempi relativamente lunghi)  ma anche agli strumenti  amministrativi che da subito possono essere messi in campo istituzionalmente per prevenire o quanto meno limitare fortemente il rischio sanitario in atto.
Rischio sanitario che emerge non solo dai dati forniti dal dott. Valerio nella sua relazione ma anche dalla esperienza quotidiana che i residenti di quelle zone vivono sulla pelle a cominciare dai continui fenomeni odorigeni  presenti in quell’area.  Fenomeni odorigeni che in se costituiscono una danno potenziale alla salute come afferma un documento ufficiale: ““…la presenza di cattivi odori altera l’equilibrio psicofisico della persona, producendo uno stato di malessere tale da condizionarne il comportamento.” Manuale APAT (ora ISPRA, l’istituto scientifico che supporta il Ministero dell’Ambiente ma anche le Arpa regionali come la nostra Arpal), vedi QUI .

Quella che segue è la mia relazione completa tenuta nel Convegno.


Il punto da cui partire è una domanda: gli amministratori e tecnici pubblici hanno fino ad ora utilizzato tutti gli strumenti a disposizione per tutelare la salute dei cittadini dalle emissioni dei depositi in questione?


I DEPOSITI PETROLIFERI SONO INDUSTRIE INSALUBRI DI PRIMA CLASSE
I depositi di cui stiamo parlando sono industrie insalubri di prima classe come risulta dal
D.M. 5 settembre 1994 (Elenco delle industrie insalubri di cui all'art. 216 del testo unico delle leggi sanitarie). In particolare li troviamo al punto 70 sezione B) Parte I dell’elenco: “70. Idrocarburi - frazionamento, purificazione, lavorazione, deposito (esclusi i servizi stradali di sola distribuzione

Ma la classificazione di una industria insalubre di prima classe è soltanto un atto di ratifica ex lege in rapporto all’elenco ex decreti ministero sanità (da ultimo quello del 1994). Una  volta classificata come tale si deve verificare l’impatto sulla salute ex comma 5 articolo 216 TULS: “Una industria o manifattura la quale sia inserita nella prima classe, può essere permessa nell'abitato, quante volte l'industriale che l'esercita provi che, per l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato.”
Non solo ma  l’ industria che abbia adottato certi accorgimenti tecnici – o speciali cautele – che l’abbiano resa meno inquinante, o meno pericolosa, o meno nociva per l’ambiente esterno ed il vicinato, non perde affatto le «caratteristiche» di industria insalubre.
Quindi occorrerebbe predisporre regolamenti e protocolli che monitorizzino in continuo questi impianti secondo la evoluzione del contesto del sito, della normativa, delle tecnologie e modifiche gestione degli stessi.
Afferma la Circolare del 19 marzo 1982, n. 19, prot. n. 403/8.2/459, Ministero della Sanità - Direzione Generale dei Servizi di Igiene Pubblica Div. III, pag. 2 u.c: “…la classificazione delle lavorazioni insalubri non può e non deve rimanere fine a se stessa esaurendosi in un mero automatismo burocratico” ma occorre: “… un esame specifico e puntuale (il quale) non può essere realisticamente effettuato - in dettaglio - che dall’autorità locale”. Il Ministero prosegue affermando: “E’ evidente che qualora da tale esame risulti che le cause d’insalubrità potenziale, che hanno determinato l’inclusione dell’attività nella Prima classe  dell’elenco, sono state eliminate o quantomeno ridotte in termini accettabili  si applica il caso previsto dal 5° comma dell’art. 216 T.U.LL.SS.”.
Rispetto all’epoca del TULS non solo i cicli produttivi inquinanti si sono complicati e diffusi ma sono migliorati enormemente i metodi per valutare l’impatto sanitario.
Quindi ASL e Comuni dovevano da decenni e devono tutt’ora lavorare insieme per applicare modernamente quanto previsto da questa vecchia ma ancora attuale normativa predisponendo rapporti sul potenziale impatto sanitario delle emissioni dall’impianto e mettendo quindi in condizione il Sindaco di agire motivatamente se necessario.
Qui è un circuito armonico che deve essere messo in atto: il Sindaco sollecita l’ASL, l’ASL produce il rapporto, il Sindaco predispone gli atti amministrativi necessarie per prevenire il rischio sanitario-



PREVENZIONE SANITARIA E ATTI AMMINISTRATIVI A TUTELA DEI CITTADINI
La prevenzione sanitaria propria della disciplina delle industrie insalubri va integrata con strumenti amministrativi:
1.ordinanza
2.regolamentazione e pianificazione presenza industrie insalubri
3. autorizzazioni alle emissioni e relative prescrizioni

Relativamente alle autorizzazioni e prescrizioni
Qui va rimosso un grande equivoco di interpretazione normativa che viene usato, anche per l’area di Multedo ma non solo, per non utilizzare questo strumento e quello delle prescrizioni per limitare le emissioni di depositi.
Si afferma da parte di molte istituzioni che i depositi petroliferi sono esenti da autorizzazioni ambientali specifiche soprattutto quelle alle emissioni che poi è uno dei fattori principali di impatto di questi impianti (rischio incidente a parte ovviamente).
Bene non è così: La norma generale applicabile in termini autorizzatori è l’articolo 269 del DLgs 152/2006:  “Autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti” [NOTA 1]  che al comma 10 recita: “ 10. Non  sono  sottoposti  ad  autorizzazione  gli  impianti  di deposito di oli minerali, compresi i gas liquefatti. I  gestori  sono comunque  tenuti  ad  adottare  apposite  misure  per  contenere   le emissioni  diffuse  ed  a  rispettare   le   ulteriori   prescrizioni eventualmente disposte,  per  le  medesime  finalità,  con  apposito provvedimento dall'autorità competente”

Quale può essere il provvedimento della autorità competente?
Sicuramente la Autorizzazione Unica Ambientale (AUA)proprio per quegli impianti per i quali non sono previste autorizzazioni specifiche (AIA o  autorizzazioni ordinaria ex parti IV o V del DLgs 152/2006)

Il regolamento di disciplina dell’AUA (Dpr  59/2013) al comma 1 articolo 3 elenca le autorizzazioni di settore assorbite dalla procedura di AIA e non si fa alcun riferimento ai poteri del Sindaco come Autorità Sanitaria ai sensi dell’articolo più volte citato sopra.   Quindi restano pienamente i poteri del Sindaco in materia di industrie insalubri anche per impianti assoggettati ad AUA.
Ecco che la valutazione sanitaria ex industrie insalubri insieme con le prescrizioni di AUA e/o quelle previste dal citato comma 10 articolo 269 possono essere strumento potente per prevenire emissioni odorigene o di altro genere.
Ovviamente ci vuole la volontà politica di usarle.

Sto interpretando troppo?  Non direi ad esempio una recente sentenza del TAR Umbria Sez. I n. 523 del 20 luglio 2017 in relazione ad un  impianto di microgenerazione produttivo di emissioni in atmosfera ha affermato che: “Anche un impianto di microgenerazione alimentato a biomasse di potenza inferiore a 50 kw, soggetto da un punto di vista urbanistico - edilizio a mera comunicazione, se produttivo di emissioni in atmosfera, necessita del titolo abilitativo ambientale.”
Quindi se un piccolo impianto che brucia biomasse con emissioni sicuramente limitate ha bisogno di una autorizzazione alle emissioni con prescrizioni, depositi petroliferi enormi no?



QUALI PRESCRIZIONI E QUALE EFFICACIA LEGALE DELLE STESSE
Ma non è finita qui. Una volta date le prescrizioni queste quanto valgono se vengono violate :
- in termini di illecito penale
- in termini di illecito amministrativo

L’articolo 279 del DLgs 152/2006 è quello che stabilisce sanzioni penali nel caso di violazione dei limiti inquinanti di legge e delle prescrizioni previste ex ante negli allegati alla legge. Poi aggiunge o la violazione delle “prescrizioni altrimenti imposte dall'autorità competente”

Sul punto è intervenuto una sentenza della Cassazione penale n.34517/2017 
Secondo la Cassazione con questa norma il legislatore non vuole solo assicurare il rispetto dei valori limiti di emissione previsti dalle leggi ambientali ma anche permettere alla autorità competente di utilizzare ulteriori prescrizioni a che fine?
Afferma la Cassazione:
Tali dispositivi si connotano per l’attribuzione, in capo all’amministrazione deputata alla protezione del bene ambientale e al controllo sulle attività umane che sul medesimo impattano, di poteri discrezionali che si caratterizzano per la possibilità di articolare in maniera assai ampia le prescrizioni da imporre ai destinatari, in modo da poter adeguare le necessità della tutela alla varietà delle situazioni eventualmente incidenti sull’ambiente e alle caratteristiche, anche tecnicamente complesse, delle strutture, produttive e non, che operano in tali contesti”.

Questa norma del 279 è in vigore dal 2006 (11 anni)

Quanto sopra per il penale e per l’amministrativo cioè la legittimità  imporre prescrizioni ulteriori se motivate e se la situazione specifica lo giustifica?
Anche qui soccorre la giurisprudenza del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4588 del 10/9/2014 prende come punto di partenza la condanna definitiva in sede penale da parte della Cassazione (sentenza sezione III penale, n. 37037 del 29 maggio 2012) per superamento dei limiti di tollerabilità  (articolo 844 Codice Civile) da parte della attività in oggetto in relazione alle emissioni odorigene dando così luogo a molestie che integrano il reato di cui all’art. 674 C.P., commesso dai soci amministratori della società proprietaria dell’impianto inquinante

I gestori dell’impianto si difendono affermando: “2. la intollerabilità delle emissioni rileverebbe sol ai fini penale ma non anche ai fini del sindacato di legittimità sul diniego di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale
Il Consiglio di Stato nella sua sentenza afferma al contrario il principio che a prescindere dal rispetto dei limiti inquinanti previsti dalla normativa sulle emissioni atmosferiche, se, sulla base di adeguata documentazione scientifica, si dimostra persistere un probabile rischio sanitario per i cittadini residenti, l’autorità competente può negare l’autorizzazione o revocarla in fase di revisione/adeguamento, o imporre prescrizioni più rigide a tutela della salute.
La cosa interessante è che il Consiglio di Stato riconosce quindi che per imporre nuove prescrizioni l’autorità competente non debba limitarsi a verificare il rispetto formale della legge (limiti dei singoli inquinanti, norme tecniche) ma promuovere azioni specifiche per valutare il rischio sanitario e sulla base di quanto emerge da queste azioni prendere provvedimenti amministrativi.
Afferma il  Consiglio di Stato: “le tesi dei difensore dei gestori dell’impianto finiscono  col disconoscere inammissibilmente, e senza ragione, gli sviluppi della ricerca, degli studi e dei metodi di indagine di natura tecnico–scientifica in materia di salvaguardia e di tutela della salubrità dell’ambiente e della salute pubblica, ammettendone il loro rilievo solo allorquando essi siano recepite in apposite normative, statali o comunitarie….”.

Il Consiglio di Stato per fondare giuridicamente questa affermazione fa riferimento al principio di precauzione già così esplicitato in altra sentenza della stessa sezione del 17 dicembre 2013, n. 6520 e aggiunge tra l’altro che: “b) l’applicazione del principio di precauzione presuppone un coinvolgimento del pubblico e quindi della comunità interessata: percezione sociale del rischio;”

Insomma Magistrature penale e amministrativa ma anche Autorità Pubbliche devono fondare le loro decisioni anche e soprattutto da quanto dichiarato e subito fattualmente  dai cittadini che risiedono nelle zone di impatto dell’impianto in questione.

Invece i signori, ad esempio, della Carmagnani (uno delle aziende che gestiscono i depositi petroliferi nell’area di Multedo) : “A beneficio del dibattito pubblico, si desidera chiarire una volta per tutte che le società Attilio Carmagnani “AC” SpA e Superba SpA NON si possono, nè si devono, definire un  polo petrolchimico. In primis perché l’attività non è di produzione industriale, ma di semplice deposito costiero al pari di qualsiasi altro terminal portuale; in secondo luogo per il fatto che l’attività delle due aziende si svolge su una superficie complessiva di poco più di 50 mila metri quadrati, dimensione appunto da terminal portuale.”
Insomma un chiaro tentativo di minimizzare la natura industriale e comunque inquinante dell’impianto in questione come se fosse un deposito di merci varie.  In realtà questi depositi petroliferi da un punto di vista ambientale sono sicuramente impianti industriali e come tali vanno trattati anche da un punto di vista normativo.



NORMATIVA SULLE INDUSTIE A RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE (SEVESO)  E  TUTELA DELLA SALUTE
I depositi petroliferi dell’area di Multedo sono classificati industrie a rischio di incidente rilevante alle quali si applica una direttiva europea giunta alla terza generazione e recepita in Italia, nell’ultima versione, dal DLgs 105/2015.

Un aspetto totalmente sottovalutato nelle istruttorie relative alle Industrie soggette a questa normativa è quello del rischio sanitario e ambientale prodotto dalla dispersione anche accidentale delle sostanze pericolose presenti in questi impianti. Questo vale per i depositi di MUltedo come per altri impianti presenti nell’area Genovese: Iplom, raffineria di Busalla etc.

Non a caso il sistema Ispra ed Arpa (agenzie per la protezione dell’ambiente) ha elaborato nel 2013 un rapporto specifico sui criteri ed indirizzi tecnico-operativi per la valutazione delle analisi degli incidenti rilevanti con conseguenze per l’ambiente. 
Secondo questo rapporto nei Rapporto di sicurezza di questi impianti: “Non viene, in genere, sviluppata, una descrizione di dettaglio delle metodologie utilizzate per l’intervento, dell’indicazione dei dati fisico-chimici che dovrebbero sottendere l’intervento tecnico, di una qualunque disamina dei processi di diffusione che potrebbero avvenire durante l’emergenza;”

Eppure il DLgs 105/2015 /Seveso III) prevede che nei Rapporto di sicurezza aggiornati
-  nella descrizione dei dispositivi installati nell'impianto per limitare le conseguenze di incidenti rilevanti viene aggiunto: “per la salute umana e per l'ambiente, compresi ad esempio sistemi di rilevazione/protezione, dispositivi tecnici per limitare l'entità di rilasci accidentali, tra cui nebulizzazione dell'acqua, schermi di vapore, contenitori di raccolta di emergenza, valvole di intercettazione, sistemi di neutralizzazione, sistemi di raccolta delle acque antincendio”;

Queste norme e questi indirizzi istruttori tecnici sono stati presi in considerazione per gli impianti di Multedo? Considerate che questi impianti devono adeguarsi alla nuova normativa Seveso e da tempo. Secondo il comma 6 articolo 15 del DLgs 105/2015  per gli stabilimenti preesistenti, deve essere aggiornato entro il 1° giugno 2016 (se è il primo rapporto), altrimenti l’aggiornamento era biennale nel vecchio Dlgs 334/1999 e (comma 4 articolo 7) ed ora dlgs 105/2015 (comma 8 articolo 15)



IL RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE  E LA RIMOZIONE DELLE NORME CHE POSSONO PREVENIRLO  

Secondo l’articolo 9 della Direttiva Seveso III, recepita dal DLgs 105/2015:  il Comitato Tecnico Regionale (organo  principale nella gestione delle istruttorie per questi impianti) accerta lo scambio di informazioni tra i vari gestori e soprattutto individua l’area degli stabilimenti o gruppi di stabilimenti  di  soglia inferiore e di soglia superiore, per i quali la probabilità o  la possibilità o le conseguenze  di  un  incidente  rilevante  possono essere maggiori a causa della posizione geografica,  della  vicinanza degli stabilimenti stessi e dell'inventario delle sostanze pericolose presenti in essi, dandone comunicazione ai gestori degli stabilimenti interessati. È la valutazione del c.d. Effetto Domino.
In questo senso l’allegato E al DLgs 105/2015 (attuazione Direttiva Seveso III) prevede:
La procedura di individuazione dei gruppi domino preliminari e definitivi: due o più stabilimenti, tra gli impianti dei quali si possano verificare effetti domino.
I criteri per individuare l’area ad elevata concentrazione di stabilimento a rischio di incidente rilevante (area RIR) tra i quali è possibili effetto domino
I criteri per la perimetrazione dell’area RIR di interesse per lo studio di sicurezza integrato di area (SSIA)

Dove è anche per Multedo questo studio?  


Il coordinamento tra la normativa sulle infrastrutture critiche e quella sugli impianti Seveso  
Gli oleodotti e i depositi petroliferi sono soggetti alla normativa sulle infrastrutture critiche ma non a quella sulle industrie a rischio di incidente rilevante?
Con DLgs 11 aprile 2011, n. 61 sono state disciplinate (in attuazione della Direttiva 2008/114/CE) le procedure per l'individuazione e la designazione di Infrastrutture  critiche europee (ICE),  nei settori dell'energia e dei trasporti, nonché le modalità di valutazione della sicurezza di tali infrastrutture e le relative prescrizioni minime di protezione dalle minacce di  origine umana, accidentale e volontaria, tecnologica e dalle catastrofi naturali.
Questa normativa si applica anche a oleodotti e relativi depositi di trasferimento (se dichiarati infrastrutture critiche)  e prevede che venga predisposta a cura dell’operatore per ogni infrastruttura come sopra elencata una analisi dei rischi ed un conseguente piano di sicurezza. Questi due documenti vengono coordinati con i documenti previsti dalla normativa sulle industrie a rischio di incidente rilevante (piano di emergenza esterno, rapporto di sicurezza, studio di di sicurezza integrato di area se esiste). 

Questa normativa è stata applicata ai depositi di Multedo?



Rischio incidenti nei porti a carattere sia industriale che commerciale
Recentemente è stata abrogata la  norma (Decreto 293/2001) che disciplinava l’obbligo di redazione, da parte delle Autorità Portuali, del Rapporto di Sicurezza per valutare in termini cumulativi (rispetto a tutte le attività a rischio nei porti) il rischio di incidente industriale. 
Uno studio recentissimo del sistema Agenzie Regionale Protezione dell’Ambiente (ARPA) e Corpo Nazionale Vigili del Fuoco ((per il testo vedi QUI)) così conclude: “Con l'abrogazione del Decreto Ministeriale n°293 del 6 maggio 2001 è venuto meno l'obbligo di redazione del Rapporto Integrato di Sicurezza Portuale si configura una possibile "vacatio legis" che potrebbe portare ad una gestione non ottima di un'eventuale emergenza portuale soprattutto in caso di incidente rilevante proveniente da uno stabilimento Seveso o dalle sostanze pericolose presenti a qualsiasi titolo in ambito portuale tra cui si ricordano anche le condotte attualmente escluse dall’ambito di applicazione della Seveso III.
Il suddetto studio individua gli indirizzi per la redazione di un Piano di Emergenza Portuale (PEP) valido nel caso o meno di presenza di aziende Seveso e dovrà comprendere gli aspetti derivanti dallo stoccaggio, anche temporaneo, ed il trasporto di merci pericolose in ambito portuale. 
Nell’attuale quadro costituzionale la materia dei porti rientra nella legislazione concorrente (Stato – Regioni) e la recente riforma della legge quadro sui porti (legge 84/1994) ha confermato questa impostazione prevedendo in particolare che il Piano regolatore di sistema portuale (PRSP) sia adottato dal Comitato di Gestione della nuova Autorità di sistema portuale di intesa con i Comuni interessati territorialmente dal porto. 

La domanda è Regione Liguria, Comune e Città Metropolitana si sono posti il problema di affrontare questa lacuna in relazione ai depositi di Multedo e non solo ovviamente?



CONCLUSIONI
All’inizio di questo post ho posto una domanda: gli amministratori e tecnici pubblici hanno fino ad ora utilizzato tutti gli strumenti a disposizione per tutelare la salute dei cittadini dalle emissioni dei depositi in questione?
Dall’analisi che ho svolto si ricavano due risposte:
1. Esistono strumenti amministrativi e tecnici per meglio tutelare la salute e la sicurezza dei cittadini
2. Questi strumenti non sono stati utilizzati per niente o non adeguatamente fino ad ora.






[1] Rubrica così modificata dalla lettera a) comma 3 articolo 3 del dlgs 128/2010

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