Giovedì sera ho
partecipato ad un interessantissimo dibattito al Municipio di Pegli avente come tema : la problematica ambientale e sanitaria dell’area di Multedo che da decenni vede la presenza di depositi petroliferi ad un passo dalle
case.
L’iniziativa era organizzata dal
Movimento 5stelle genovese e aveva due
obiettivi:
1. focalizzare la
problematica del rischio sanitario in quell’area. Questione affrontata dall’intervento
del dott. Federico Valerio (per il testo
guardate le slide QUI)
2. proporre una ipotesi
progettuale di ricollocazione dei depositi: presentata dal Professore
Architetto Giovanni Spalla.
All’incontro era presente
anche il Sindaco di Genova che ha seguito con attenzione e rispetto il
dibattito introdotto da una relazione del consigliere municipale Massimo Currò
che ha fatto il quadro inquietante della situazione di questa zone (vedi QUI)
La mia relazione chiamava
proprio in causa il ruolo delle Amministrazioni Pubbliche (Città Metropolitana,
Municipi, ASL, Arpal e Regione) non solo in relazione al tema di una nuova
pianificazione degli usi in quell’area (questione fondamentale ma anche
inevitabilmente dislocata in tempi relativamente lunghi) ma anche agli strumenti amministrativi che da subito possono essere
messi in campo istituzionalmente per prevenire o quanto meno limitare
fortemente il rischio sanitario in atto.
Rischio sanitario che
emerge non solo dai dati forniti dal dott. Valerio nella sua relazione ma anche
dalla esperienza quotidiana che i residenti di quelle zone vivono sulla pelle a
cominciare dai continui fenomeni odorigeni presenti in quell’area. Fenomeni odorigeni che in se costituiscono una
danno potenziale alla salute come afferma un documento ufficiale: ““…la presenza di
cattivi odori altera l’equilibrio psicofisico della persona, producendo uno
stato di malessere tale da condizionarne il comportamento.” Manuale APAT
(ora ISPRA, l’istituto scientifico che supporta il Ministero dell’Ambiente ma
anche le Arpa regionali come la nostra Arpal), vedi QUI .
Quella che segue è la mia
relazione completa tenuta nel Convegno.
Il punto da cui
partire è una domanda: gli amministratori e tecnici pubblici hanno fino ad ora
utilizzato tutti gli strumenti a disposizione per tutelare la salute dei
cittadini dalle emissioni dei depositi in questione?
I DEPOSITI PETROLIFERI SONO INDUSTRIE
INSALUBRI DI PRIMA CLASSE
I depositi di cui stiamo
parlando sono industrie insalubri di prima classe come risulta dal
D.M. 5 settembre 1994 (Elenco
delle industrie insalubri di cui all'art. 216 del testo unico delle leggi
sanitarie). In particolare li troviamo al punto 70 sezione B) Parte I dell’elenco:
“70. Idrocarburi - frazionamento,
purificazione, lavorazione, deposito (esclusi i servizi stradali di sola
distribuzione”
Ma la classificazione di
una industria insalubre di prima classe è soltanto un atto di ratifica ex lege
in rapporto all’elenco ex decreti ministero sanità (da ultimo quello del 1994).
Una volta classificata come tale si deve
verificare l’impatto sulla salute ex comma 5 articolo 216 TULS: “Una industria o manifattura la quale sia
inserita nella prima classe, può essere permessa nell'abitato, quante volte
l'industriale che l'esercita provi che, per l'introduzione di nuovi metodi o
speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato.”
Non solo ma l’ industria
che abbia adottato certi accorgimenti tecnici – o speciali cautele –
che l’abbiano resa meno inquinante, o meno pericolosa, o meno nociva per
l’ambiente esterno ed il vicinato, non
perde affatto le «caratteristiche» di industria insalubre.
Quindi occorrerebbe
predisporre regolamenti e protocolli che monitorizzino in continuo questi
impianti secondo la evoluzione del contesto del sito, della normativa, delle tecnologie
e modifiche gestione degli stessi.
Afferma la Circolare del 19 marzo 1982, n.
19, prot. n. 403/8.2/459, Ministero della Sanità - Direzione Generale dei
Servizi di Igiene Pubblica Div. III, pag. 2 u.c: “…la classificazione delle
lavorazioni insalubri non può e non deve rimanere fine a se stessa esaurendosi
in un mero automatismo burocratico” ma occorre: “… un esame specifico e puntuale (il quale) non può essere realisticamente
effettuato - in dettaglio - che dall’autorità locale”. Il Ministero
prosegue affermando: “E’ evidente che
qualora da tale esame risulti
che le cause d’insalubrità
potenziale, che hanno determinato l’inclusione dell’attività nella Prima
classe dell’elenco, sono state eliminate
o quantomeno ridotte in termini
accettabili si applica il caso previsto dal 5° comma dell’art. 216 T.U.LL.SS.”.
Rispetto
all’epoca del TULS non solo i cicli produttivi inquinanti si sono complicati e
diffusi ma sono migliorati enormemente i metodi per valutare l’impatto
sanitario.
Quindi ASL e
Comuni dovevano da decenni e devono tutt’ora lavorare insieme per applicare
modernamente quanto previsto da questa vecchia ma ancora attuale normativa
predisponendo rapporti sul potenziale
impatto sanitario delle emissioni dall’impianto e mettendo quindi in condizione
il Sindaco di agire motivatamente se necessario.
Qui è un circuito armonico
che deve essere messo in atto: il Sindaco sollecita l’ASL, l’ASL produce il
rapporto, il Sindaco predispone gli atti amministrativi necessarie per
prevenire il rischio sanitario-
PREVENZIONE SANITARIA E ATTI AMMINISTRATIVI
A TUTELA DEI CITTADINI
La prevenzione sanitaria propria della
disciplina delle industrie insalubri va integrata con strumenti amministrativi:
1.ordinanza
2.regolamentazione e pianificazione
presenza industrie insalubri
3. autorizzazioni alle emissioni e
relative prescrizioni
Relativamente
alle autorizzazioni e prescrizioni
Qui va rimosso un grande equivoco di
interpretazione normativa che viene usato, anche per l’area di Multedo ma non
solo, per non utilizzare questo strumento e quello delle prescrizioni per
limitare le emissioni di depositi.
Si afferma da parte di molte istituzioni
che i depositi petroliferi sono esenti da autorizzazioni ambientali specifiche
soprattutto quelle alle emissioni che poi è uno dei fattori principali di
impatto di questi impianti (rischio incidente a parte ovviamente).
Bene non è così: La norma generale applicabile in termini autorizzatori
è l’articolo 269 del DLgs 152/2006: “Autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli
stabilimenti” [NOTA 1] che al comma 10 recita: “ 10. Non sono
sottoposti ad autorizzazione gli
impianti di deposito di oli
minerali, compresi i gas liquefatti. I
gestori sono comunque tenuti
ad adottare apposite
misure per contenere
le emissioni diffuse ed
a rispettare le
ulteriori prescrizioni
eventualmente disposte, per le
medesime finalità, con
apposito provvedimento dall'autorità competente”
Quale può essere il provvedimento della
autorità competente?
Sicuramente la Autorizzazione Unica
Ambientale (AUA)proprio per quegli impianti per i quali non sono previste
autorizzazioni specifiche (AIA o
autorizzazioni ordinaria ex parti IV o V del DLgs 152/2006)
Il regolamento di
disciplina dell’AUA (Dpr 59/2013) al
comma 1 articolo 3 elenca le autorizzazioni di settore assorbite dalla
procedura di AIA e non si fa alcun riferimento ai poteri del Sindaco come
Autorità Sanitaria ai sensi dell’articolo più volte citato sopra.
Quindi restano pienamente i poteri del Sindaco in materia di industrie insalubri
anche per impianti assoggettati ad AUA.
Ecco che la valutazione
sanitaria ex industrie insalubri insieme con le prescrizioni di AUA e/o quelle
previste dal citato comma 10 articolo 269 possono essere strumento potente per
prevenire emissioni odorigene o di altro genere.
Ovviamente ci vuole la
volontà politica di usarle.
Sto interpretando troppo? Non direi ad esempio una recente sentenza del TAR Umbria
Sez. I n. 523 del 20 luglio 2017 in relazione ad un impianto di microgenerazione produttivo di emissioni
in atmosfera ha affermato che: “Anche un impianto di microgenerazione
alimentato a biomasse di potenza inferiore a 50 kw, soggetto da un punto di
vista urbanistico - edilizio a mera comunicazione, se produttivo di emissioni
in atmosfera, necessita del titolo abilitativo ambientale.”
Quindi se un piccolo impianto che brucia biomasse con emissioni
sicuramente limitate ha bisogno di una autorizzazione alle emissioni con
prescrizioni, depositi petroliferi enormi no?
QUALI PRESCRIZIONI E QUALE EFFICACIA LEGALE
DELLE STESSE
Ma non è finita qui. Una
volta date le prescrizioni queste quanto valgono se vengono violate :
- in termini di illecito
penale
- in termini di illecito
amministrativo
L’articolo 279 del DLgs
152/2006 è quello che stabilisce sanzioni penali nel caso di violazione dei
limiti inquinanti di legge e delle prescrizioni previste ex ante negli allegati
alla legge. Poi aggiunge o la violazione delle “prescrizioni altrimenti imposte
dall'autorità competente”
Sul punto è intervenuto una sentenza della Cassazione penale n.34517/2017
Secondo la Cassazione con
questa norma il legislatore non vuole solo assicurare il rispetto dei valori
limiti di emissione previsti dalle leggi ambientali ma anche permettere alla
autorità competente di utilizzare ulteriori prescrizioni a che fine?
Afferma la Cassazione:
“Tali dispositivi si connotano per l’attribuzione, in capo
all’amministrazione deputata alla protezione del bene ambientale e al controllo
sulle attività umane che sul medesimo impattano, di poteri discrezionali che si
caratterizzano per la possibilità
di articolare in maniera assai ampia le prescrizioni da imporre ai destinatari,
in modo da poter adeguare le necessità della tutela alla varietà delle
situazioni eventualmente incidenti sull’ambiente e alle caratteristiche, anche
tecnicamente complesse, delle strutture, produttive e non, che operano in tali
contesti”.
Questa norma del 279 è in vigore dal 2006 (11 anni)
Quanto sopra per il penale
e per l’amministrativo cioè la
legittimità imporre prescrizioni
ulteriori se motivate e se la situazione specifica lo giustifica?
Anche qui soccorre la
giurisprudenza del Consiglio di Stato
Il Consiglio di
Stato con la sentenza n. 4588 del 10/9/2014 prende come punto di
partenza la condanna definitiva in sede penale da parte della Cassazione
(sentenza sezione III penale, n. 37037 del 29 maggio 2012) per superamento dei
limiti di tollerabilità (articolo 844 Codice Civile) da parte della
attività in oggetto in relazione alle emissioni odorigene dando così luogo a
molestie che integrano il reato di cui all’art. 674 C.P., commesso dai soci
amministratori della società proprietaria dell’impianto inquinante
I gestori dell’impianto si difendono affermando: “2. la intollerabilità delle emissioni
rileverebbe sol ai fini penale ma non anche ai fini del sindacato di
legittimità sul diniego di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale”
Il Consiglio di Stato nella sua sentenza afferma al
contrario il principio che a prescindere dal rispetto dei limiti inquinanti
previsti dalla normativa sulle emissioni atmosferiche, se, sulla base di adeguata
documentazione scientifica, si dimostra persistere un probabile rischio
sanitario per i cittadini residenti, l’autorità competente può negare
l’autorizzazione o revocarla in fase di revisione/adeguamento, o imporre
prescrizioni più rigide a tutela della salute.
La cosa interessante è che il Consiglio di Stato
riconosce quindi che per imporre nuove prescrizioni l’autorità competente non
debba limitarsi a verificare il rispetto formale della legge (limiti dei
singoli inquinanti, norme tecniche) ma promuovere azioni specifiche per
valutare il rischio sanitario e sulla base di quanto emerge da queste azioni
prendere provvedimenti amministrativi.
Afferma il Consiglio di Stato: “le tesi dei difensore dei gestori dell’impianto finiscono
col disconoscere inammissibilmente, e senza ragione, gli sviluppi della
ricerca, degli studi e dei metodi di indagine di natura tecnico–scientifica in
materia di salvaguardia e di tutela della salubrità dell’ambiente e della
salute pubblica, ammettendone il loro rilievo solo allorquando essi siano
recepite in apposite normative, statali o comunitarie….”.
Il Consiglio di Stato per fondare giuridicamente
questa affermazione fa riferimento al principio di precauzione già così
esplicitato in altra sentenza della stessa sezione del 17 dicembre 2013,
n. 6520 e aggiunge tra l’altro che: “b) l’applicazione del principio di
precauzione presuppone un coinvolgimento del pubblico e quindi della comunità
interessata: percezione sociale del rischio;”
Insomma Magistrature penale e amministrativa ma anche
Autorità Pubbliche devono fondare le loro decisioni anche e soprattutto da
quanto dichiarato e subito fattualmente
dai cittadini che risiedono nelle zone di impatto dell’impianto in
questione.
Invece i signori, ad
esempio, della Carmagnani (uno delle aziende che gestiscono i depositi
petroliferi nell’area di Multedo) : “A
beneficio del dibattito pubblico, si desidera chiarire una volta per tutte che
le società Attilio Carmagnani “AC” SpA e Superba SpA NON si possono,
nè si devono, definire un polo petrolchimico. In primis perché l’attività
non è di produzione industriale, ma di semplice deposito costiero al pari di
qualsiasi altro terminal portuale; in secondo luogo per il fatto che l’attività
delle due aziende si svolge su una superficie complessiva di poco più di 50
mila metri quadrati, dimensione appunto da terminal portuale.”
Insomma un chiaro tentativo di minimizzare la natura
industriale e comunque inquinante dell’impianto in questione come se fosse un
deposito di merci varie. In realtà
questi depositi petroliferi da un punto di vista ambientale sono sicuramente
impianti industriali e come tali vanno trattati anche da un punto di vista
normativo.
NORMATIVA SULLE INDUSTIE A RISCHIO DI
INCIDENTE RILEVANTE (SEVESO) E TUTELA DELLA SALUTE
I depositi petroliferi
dell’area di Multedo sono classificati industrie a rischio di incidente rilevante
alle quali si applica una direttiva europea giunta alla terza generazione e
recepita in Italia, nell’ultima versione, dal DLgs 105/2015.
Un aspetto totalmente
sottovalutato nelle istruttorie relative alle Industrie soggette a questa
normativa è quello del rischio sanitario e ambientale prodotto dalla
dispersione anche accidentale delle sostanze pericolose presenti in questi
impianti. Questo vale per i depositi di MUltedo come per altri impianti
presenti nell’area Genovese: Iplom, raffineria di Busalla etc.
Non a caso il sistema Ispra ed Arpa (agenzie per la
protezione dell’ambiente) ha elaborato nel 2013 un rapporto specifico sui criteri
ed indirizzi tecnico-operativi per la valutazione delle analisi degli incidenti
rilevanti con conseguenze per l’ambiente.
Secondo questo rapporto
nei Rapporto di sicurezza di questi impianti: “Non viene, in genere, sviluppata, una descrizione di dettaglio delle
metodologie utilizzate per l’intervento, dell’indicazione dei dati
fisico-chimici che dovrebbero sottendere l’intervento tecnico, di una qualunque
disamina dei processi di diffusione che potrebbero avvenire durante l’emergenza;”
Eppure il DLgs 105/2015
/Seveso III) prevede che nei Rapporto di sicurezza aggiornati
- nella descrizione dei dispositivi installati
nell'impianto per limitare le conseguenze di incidenti rilevanti viene
aggiunto: “per la salute umana e per
l'ambiente, compresi ad esempio sistemi di rilevazione/protezione, dispositivi tecnici
per limitare l'entità di rilasci accidentali, tra cui nebulizzazione
dell'acqua, schermi di vapore, contenitori di raccolta di emergenza, valvole di
intercettazione, sistemi di neutralizzazione, sistemi di raccolta delle acque
antincendio”;
Queste norme e questi indirizzi istruttori tecnici sono stati presi in
considerazione per gli impianti di Multedo? Considerate che questi impianti devono adeguarsi alla nuova normativa
Seveso e da tempo. Secondo il comma 6 articolo 15 del DLgs 105/2015 per gli stabilimenti preesistenti, deve
essere aggiornato entro il 1° giugno 2016 (se è il primo rapporto), altrimenti
l’aggiornamento era biennale nel vecchio Dlgs 334/1999 e (comma 4 articolo 7)
ed ora dlgs 105/2015 (comma 8 articolo 15)
IL RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE E LA RIMOZIONE DELLE NORME CHE POSSONO
PREVENIRLO
Secondo l’articolo 9 della Direttiva Seveso III, recepita dal DLgs 105/2015: il Comitato
Tecnico Regionale (organo principale
nella gestione delle istruttorie per questi impianti) accerta lo scambio di
informazioni tra i vari gestori e soprattutto individua l’area degli stabilimenti
o gruppi di stabilimenti di soglia inferiore e di soglia
superiore, per i quali la probabilità o la possibilità o le conseguenze di
un incidente rilevante
possono essere maggiori a causa della posizione geografica, della vicinanza degli stabilimenti stessi e
dell'inventario delle sostanze pericolose
presenti in essi, dandone comunicazione ai gestori
degli stabilimenti interessati. È la valutazione del c.d. Effetto Domino.
In questo senso l’allegato E al
DLgs 105/2015 (attuazione Direttiva Seveso III) prevede:
“La procedura di individuazione dei gruppi domino preliminari e
definitivi: due o più stabilimenti, tra gli impianti dei quali si possano
verificare effetti domino.
I criteri per individuare l’area ad elevata
concentrazione di stabilimento a rischio di incidente rilevante (area RIR) tra
i quali è possibili effetto domino
I criteri per la perimetrazione dell’area RIR di
interesse per lo studio di sicurezza integrato di area
(SSIA)”
Dove è anche per Multedo
questo studio?
Il coordinamento
tra la normativa sulle infrastrutture critiche e quella sugli impianti Seveso
Gli oleodotti e i depositi
petroliferi sono soggetti alla normativa sulle infrastrutture critiche ma non a
quella sulle industrie a rischio di incidente rilevante?
Con DLgs
11 aprile 2011, n. 61 sono state disciplinate (in attuazione della
Direttiva 2008/114/CE) le procedure per l'individuazione e la designazione
di Infrastrutture critiche europee (ICE), nei settori dell'energia
e dei trasporti, nonché le modalità di valutazione della sicurezza di tali
infrastrutture e le relative prescrizioni minime di protezione dalle minacce
di origine umana, accidentale e volontaria, tecnologica e dalle
catastrofi naturali.
Questa normativa si
applica anche a oleodotti e relativi depositi di trasferimento (se dichiarati
infrastrutture critiche) e prevede che venga predisposta a cura
dell’operatore per ogni infrastruttura come sopra elencata una analisi dei
rischi ed un conseguente piano di sicurezza. Questi due documenti vengono
coordinati con i documenti previsti dalla normativa sulle industrie a rischio
di incidente rilevante (piano di emergenza esterno, rapporto di sicurezza,
studio di di sicurezza integrato di area se esiste).
Questa normativa è stata
applicata ai depositi di Multedo?
Rischio incidenti
nei porti a carattere sia industriale che commerciale
Recentemente è stata
abrogata la norma (Decreto 293/2001) che
disciplinava l’obbligo di redazione, da parte delle Autorità Portuali, del
Rapporto di Sicurezza per valutare in termini cumulativi (rispetto a tutte le
attività a rischio nei porti) il rischio di incidente industriale.
Uno studio recentissimo
del sistema Agenzie Regionale Protezione dell’Ambiente (ARPA) e Corpo
Nazionale Vigili del Fuoco ((per il testo vedi QUI))
così conclude: “Con l'abrogazione del
Decreto Ministeriale n°293 del 6 maggio 2001 è venuto meno l'obbligo di
redazione del Rapporto Integrato di Sicurezza Portuale si configura una
possibile "vacatio legis" che potrebbe portare ad una gestione non
ottima di un'eventuale emergenza portuale soprattutto in caso di incidente
rilevante proveniente da uno stabilimento Seveso o dalle sostanze pericolose
presenti a qualsiasi titolo in ambito portuale tra cui si ricordano anche le
condotte attualmente escluse dall’ambito di applicazione della Seveso III.”
Il suddetto studio
individua gli indirizzi per la redazione di un Piano di Emergenza
Portuale (PEP) valido nel caso o meno di presenza di aziende Seveso e
dovrà comprendere gli aspetti derivanti dallo stoccaggio, anche temporaneo, ed
il trasporto di merci pericolose in ambito portuale.
Nell’attuale quadro
costituzionale la materia dei porti rientra nella legislazione concorrente
(Stato – Regioni) e la recente riforma della legge quadro sui porti (legge
84/1994) ha confermato questa impostazione prevedendo in particolare che il
Piano regolatore di sistema portuale (PRSP) sia adottato dal Comitato di
Gestione della nuova Autorità di sistema portuale di intesa con i Comuni
interessati territorialmente dal porto.
La domanda è Regione
Liguria, Comune e Città Metropolitana si sono posti il problema di affrontare
questa lacuna in relazione ai depositi di Multedo e non solo ovviamente?
CONCLUSIONI
All’inizio di questo post
ho posto una domanda: gli amministratori e tecnici pubblici hanno fino ad ora
utilizzato tutti gli strumenti a disposizione per tutelare la salute dei
cittadini dalle emissioni dei depositi in questione?
Dall’analisi che ho svolto
si ricavano due risposte:
1. Esistono strumenti
amministrativi e tecnici per meglio tutelare la salute e la sicurezza dei
cittadini
2. Questi strumenti non
sono stati utilizzati per niente o non adeguatamente fino ad ora.
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