venerdì 27 gennaio 2017

La liberà di mandato: tra diritto costituzionale e rispetto del voto degli elettori

Dopo l’ultima fuoriuscita di consiglieri comunali di 5stelle a Genova dal gruppo originario in cui erano stati eletti si è riaperto, per l'ennesima volta, il dibattito sul c.d.vincolo di mandato.

La questione è semplice da analizzare se lo si fa fuori dalle logiche da tifosi.

Sotto il profilo legale il vincolo di mandato è incostituzionale: è scritto nell’articolo 67 della Costituzione: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.”  Questo articolo affonda le radici in un dibattito antico sul rapporto eletto elettori.

La liberà di mandato è un principio fondante delle democrazie costituzionali come si sono venute a configurare ancora prima della rivoluzione francese come dimostra il discorso di Edmund Burke agli elettori di Bristol nel 1774: “You choose a member, indeed; but when you have chosen him, he is not member of Bristol, but he is a member of Parliament

Quindi è un diritto inalienabile di un eletto cambiare casacca nel corso di una legislatura, sindacatura, consiliatura regionale? Io invece qui dico NO.

La liberà di mandato riguarda il diritto di esprimere le proprie opinioni sulle singole questioni da dibattere nella assemblee elettive, il cambio di "casacca" in corso di legislatura va a ledere un altro diritto costituzionale: la sovranità del popolo o meglio il diritto degli elettori di essere rappresentati sulla base dello schieramento politico che hanno votato.

Ma al di la delle sottili interpretazioni costituzionali per il sottoscritto la questione è di principio: a meno che il movimento/partito in cui sono stato eletto cessi di esistere se esco individualmente da questo movimento/partito è opportuno (non sono e non devo essere costretto come abbiamo visto sopra) che mi dimetta perché gli elettori mi hanno votato per svolgere quel ruolo e non per andarne a ricoprire un altro in un altro soggetto politico.

D'altronde sarei in grado di dimostrare che tutti coloro che hanno permesso la mia elezione, non solo quelli delle preferenze dirette a me ma quelli che hanno fatto scattare il quorum, sono d'accordo con la mia scelta? Impossibile se non in situazioni locali di dimensioni piccole dove esiste ancora un rapporto fisico diretto tra elettori ed eletti.

Ne vale la scusa che ho sentito recentemente: “il movimento in cu sono stato eletto è cambiato rispetto ai suoi intenti originari, quindi non sono io che esco dal movimento è il movimento che ha tradito se stesso”. Anche qui una questione così complessa può essere decisa da un singolo? La costituzione dice che sono gli elettori a votare i propri rappresentanti sulla base di un programma o di un progetto politico e sta quindi agli elettori nella votazione successiva decidere se questo “tradimento” c’è stato oppure no. Quello che può fare il singolo, se ritiene di non condividere la presunta o reale deriva del movimento/partito in cui è eletto, è di dimettersi dalla carica che ricopre al fine di garantire che quel seggio sia comunque coperto da chi rappresenta gli elettori complessivi che hanno permesso di conquistarlo.  È quello che feci io parecchi anni fa quando mi dimisi da consigliere del Partito Comunista Italiano perché ero entrato nei Verdi: a proposito di coerenza tra il dire e il fare!

Ecco che la questione non può essere risolta per legge o regolamento perchè andremmo contro la costituzione. La questione è invece squisitamente politica nel senso alto della politica come attività fondata su principi inalienabili come quello di lealtà verso gli elettori che mi hanno votato perché io rappresentassi quella forza politica e non un'altra e non un altro progetto magari partorito tra due/tre persone in una stanza privata o in un locale davanti ad un bel bicchiere di birra o di vino.

Ma c’è di più.  In questa discussione è in gioco la questione fondamentale oggi per salvare la democrazia rappresentativa: ricostruire un rapporto di fiducia diretto con i cittadini elettori.

Ci sono voluti anni, delusioni, rotture e ricomposizioni difficili ma da qualche anno una cosa ho capito: Il modo migliore per agire collettivamente, tenere insieme gruppi organizzati, soggetti politici o liste elettorali è quello di partire sempre dalla necessità di dare risposte ai cittadini ai loro bisogni e mai a partire dalle proprie idee o visioni politiche giuste o sbagliate valide o meno. E ho capito questo proprio facendo della mia militanza a fianco dei cittadini e dei loro diritti il centro della mia azione politica fuori da ogni logica di schieramento partitico.

Scrivo questo non perché io sia convinto che le visioni e le grandi strategie siano inutili, ci mancherebbe, ma perché oggi ancora più che nel secolo scorso le visioni si costruiscono ma soprattutto si rendono credibili misurandosi con la nostra capacità di stare dentro ai processi materiali della società altrimenti diventano linguaggio politichese, ideologismi astratti.

Ma c'è un altro perché, e forse questa è la verità più semplice che ho compreso dopo tanti anni di cittadinanza attiva: se stai dentro i processi materiali se ti misuri con la necessità di dare risposte ai cittadini se stai a fianco a loro e non sopra o a distanza ebbene:
riesci anche a tenere insieme più facilmente i gruppi e i movimenti organizzati,
contamini di positività di voglia di fare e di agire quelli che ti stanno vicini e quindi non sprechi il tuo lavoro,
unisci e non dividi,
selezioni nuovi militanti e nuovi collaboratori di strada,
e soprattutto fai una operazione decisiva in questa epoca di drammatica crisi della democrazia rappresentativa: fai capire ai cittadini quanto sia utile impegnarsi attivamente non per fare genericamente "politica di parte" non per affermare il tuo progettino politico, non per affermare il tuo gruppo di fans, non per difendere le tue presunte coerenze ideali, ma per difendere i tuoi diritti e quelli degli altri, per far sentire ognuno con cui ti rapporti una persona piena autonoma e non un cervello da conquistare al tuo progettino.

Da qui dobbiamo ripartire tutti per poi ricostruire un senso più generale per la politica come pure le grandi strategie e tutti i bei discorsi assoluti tanto di moda negli anni della mia gioventù ma che oggi nell'epoca della democrazia atomizzata rischiano di essere alberi senza radici pronti a cadere al primo soffio di vento da qualunque parte provenga.

Insomma dobbiamo dimostrare con il nostro modo di agire che la politica non serve per "governare" ma per risolvere i problemi degli uomini. Tutto qui e vi assicuro che non è poco, no non è poco per niente


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