Non pensiate che la normativa che viene descritta in
questo post riguardi solo gli addetti ai lavori del diritto ambientale perché è
stata utilizzata anche a Spezia, recentemente per riutilizzare terre e rocce da
scavo di lavori idraulici di Lagora e Dorgia nella discarica di Ruffino Pitelli.
Il riutilizzo è avvenuto con semplice autocertificazione dei proponenti e un parere dell’Arpal seguendo la procedura prevista per i cantieri
minori quelli che producono meno di 6.000 m3 di materiale scavato e che in
questo post e soprattutto nel Commento complessivo che linko alla fine verrà
analizzata in tutti i suoi passaggi giuridici e tecnici.
In particolare per caratterizzare (capire cioè quanto e
se sono inquinati e inquinanti) i materiali scavati, sono stati presi in
considerazione solo una parte dei limiti inquinanti previsti dalla normativa
sulle bonifiche e cioè quelli che
riguardano i terreni. Non sono stati utilizzati quelli previsti per le acque
sotterranee. Questo è un grosso limite tanto più nel caso specifico sono
stati asportati fanghi da due torrenti.
Quanto sopra, come spiego nel Commento completo che linko
alla fine di questo post (in particolare vedi paragrafo: La problematica della
tutela delle acque sotterranee), è
dovuto proprio ad uno dei limiti della normativa semplificatoria che vado ad
analizzare. Questo limite è stato recentemente solo in parte superato da una
Circolare del Ministero dell’Ambiente (descritta nel suddetto paragrafo del
Commento completo) che ha previsto la necessità di valutare anche i parametri
inquinanti per le acque sotterranee anche se con una interpretazione che
parrebbe rimettere questa possibilità al confronto tra proponente/esecutore
dell’utilizzo del materiale da scavo e l’Agenzia per la Protezione Ambientale
(ARPA) competente per territorio.
Ma vediamo in generale cosa dice e quali sono i rischi di
questa ennesima semplificazione della normativa ambientale in materia di
gestione dei materiali da scavo…..
I MATERIALI DI SCAVO NASCONO COME RIFIUTI SECONDO LA NOSTRA
NORMATIVA
I materiali da scavo secondo la normativa generale sono
considerati tutt’ora rifiuti come afferma l’articolo 184 del DLgs 152/2006
secondo il quale: “ 3. Sono rifiuti speciali:….. b) i
rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti
che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall'articolo 184-bis;”.
L’articolo 184 bis è quello che stabilisce le condizioni in
base alle quali i materiali da scavo non vengano più considerati rifiuti ma sottoprodotti.
I SOTTOPRODOTTI SECONDO LA DIRETTIVA UE 2008/98 E LA LEGGE
NAZIONALE
Per sottoprodotto secondo l’articolo 5 della Direttiva e l’articolo 184bis del DLgs 152/2006 si
intende una sostanza od oggetto che può non essere considerato
rifiuto a condizione tra l’altro che:
1. la sostanza
o l’oggetto può essere utilizzata/o direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
2. l’ulteriore
utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo
specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione
della salute e dell’ambiente e non
porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
I SOTTOPRODOTTI SECONDO LA CORTE DI GIUSTIZIA
Tutte la giurisprudenza comunitaria a cominciare dalla
sentenza della causa C-9/00, ha
stabilito tre condizioni che un residuo di produzione deve soddisfare per
essere considerato un sottoprodotto e quindi non rifiuto , in particolare il
riutilizzo di un materiale :
1. non sia solo
eventuale ma certo,
2. non richieda trasformazione preliminare
3. avvenga nella continuità del processo di
produzione.
Queste condizioni sono cumulative, nel senso che tutt'e
tre devono essere soddisfatte.
Cassazione penale,
sez. III, 17 aprile 2012, n. 17453
“Deve propendersi,
ad avviso del Collegio, per un’interpretazione meno Estensiva dell’ambito di
operatività della disposizione in esame e tale da escludere dal novero della
normale pratica industriale tutti gli interventi manipolativi del residuo
diversi da quelli ordinariamente effettuati nel processo produttivo nel quale
esso viene realizzato.”
LA NUOVA NORMATIVA NAZIONALE SULLA GESTIONE DELLE TERRE E
ROCCE DA SCAVO COME SOTTOPRODOTTI
La attuale normativa sulla gestione delle terre e rocce
di scavo al fine di considerare tali materiali come sottoprodotti e non come
rifiuti si distingue:
1. disciplina per la gestione del materiale da
scavo di opere soggette a VIA (Decreto Ministero Ambiente 161/2012, per il testo completo vedi QUI)
2. disciplina per la gestione del materiale da
scavo da cantieri di ridotte dimensioni: quelli che non producono oltre 6.000
m3 di materiale scavato totale (articolo 41bis legge 98/2013, vedi QUI).
COSA SI INTENDE PER MATERIALE DA SCAVO CONSIDERATO COME SOTTO
PRODOTTO SECONDO LA NUOVA NORMATIVA NAZIONALE
Secondo il Decreto 161/2012, ma anche secondo l’articolo
41bis della legge 98/2013, sopra citati il materiale da scavo riguarda il suolo
o sottosuolo, con eventuali presenze di riporto, derivanti dalla realizzazione
di un'opera varie opere come ad esempio:
1. scavi in
genere (sbancamento, fondazioni, trincee, ecc.);
2. perforazione, trivellazione, palificazione, consolidamento, ecc.;
3. opere
infrastrutturali in generale (galleria,
diga, strada,ecc.);
4. materiali litoidi
in genere e
comunque tutte le
altre plausibili frazioni granulometriche provenienti
da escavazioni effettuate negli
alvei, sia dei corpi idrici superficiali
che del reticolo
idrico scolante, in
zone golenali dei
corsi d'acqua, spiagge, fondali
lacustri e marini;
5. residui di
lavorazione di materiali lapidei (marmi,
graniti, pietre, ecc.) anche non connessi alla realizzazione di un'opera
e non contenenti sostanze pericolose
(quali ad esempio
flocculanti con acrilamide o poliacrilamide).
SECONDO LA NUOVA NORMATIVA NAZIONALE IL MATERIALE DA SCAVO
CONSIDERATO SOTTOPRODOTTO PUÒ CONTENERE MATERIALI INQUINANTI
La cosa da sottolineare è che il materiale scavato può
riguardare anche i riporti e soprattutto può contenere materiale inquinante sia pure entro certi limiti (vedi
QUI), in particolare lettera b) comma 1 articolo 1 Decreto
161/2012). Per i materiale da riporto
l’allegato 9 al Decreto 161/2012 intende i riporti come “per lo
più una miscela eterogenea di terreno
naturale e di materiali
di origine antropica..” quindi possono contenere
anche materiale inquinante non naturale.
Ora l’articolo 185 del DLgs 152/2006 (tutt’ora in vigore),
come pure la lettera c) paragrafo 1 articolo 2 della Direttiva 2008/98, non
considera come rifiuto il suolo non
contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di
attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di
costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato.
Inoltre il comma 4 di detto
articolo 185 afferma che il suolo
escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in
siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, non sono classificati come
rifiuti se qualificati come sottoprodotti o preventivamente trattati.
Quindi risulta con chiarezza come secondo la Direttiva della
UE non si possa escludere dalla definizione di rifiuto il suolo contaminato e/o
materiale artificiale. Il Decreto 161/2012 afferma esattamente il contrario.
DEPOSITO DEL MATERIALE DA SCAVO DA RIUTILIZZARE
Corte di Giustizia 18 dicembre 2007 causa C-194/05 ha condannato l’Italia,
per una normativa precedente ma molto simile a quella del Decreto 161/2012 di
cui stiamo trattando, affermando che
“48. Inoltre non si può escludere, contrariamente a
quanto suggerito, in sostanza, dalla Repubblica italiana, che l’«effettivo
riutilizzo» previsto dalle disposizioni controverse avvenga solo dopo un
periodo di tempo considerevole, se non addirittura indeterminato, rendendo
quindi necessario il deposito a tempo indeterminato dei materiali in questione.”
Il Decreto 161 al comma 4 articolo 10 prevede che: “4. Il deposito del materiale escavato non
può avere durata superiore alla durata del Piano di Utilizzo.” Il Piano di
Utilizzo ha la durata che viene definita al momento della sua approvazione e
soprattutto al comma 6 articolo 5 del
Decreto si afferma che: “Salvo deroghe
espressamente motivate dall'Autorità
competente in ragione delle
opere da
realizzare, l'inizio dei lavori deve avvenire entro due anni dalla
presentazione del Piano di Utilizzo”. E’ chiaro quindi che la durate del
deposito non è assolutamente definita con certezza dalla legge non solo ma
considerato la durata delle opere in Italia, soprattutto quelle a maggiore
impatto ambientale, possiamo capire come la durata potrebbe configurare quel “tempo indeterminato” di cui tratta la
sentenza della Corte di Giustizia.
COME VIENE RIUTILIZZATO IL MATERIALE DA SCAVO NON PIÙ
CONSIDERATO RIFIUTO MA SOTTOPRODOTTO SECONDO IL NUOVO DECRETO 161/2012
Verrà utilizzato per reinterri, riempimenti, rimodellazioni,
rilevati, ripascimenti, interventi a mare, miglioramenti fondiari o viari
oppure altre forme di ripristini e
miglioramenti ambientali, oppure in processi produttivi, in sostituzione di materiali di cava.
Verrà utilizzato un materiale quindi potenzialmente inquinante e
comunque contaminato e verrà utilizzato non come rifiuto con tutte le
autorizzazioni necessaria ma sulla base di un Piano di Utilizzo presentato da chi produce il materiale o lo
riutilizzerà anche in un sito diverso da quello prodotto.
Non solo ma come afferma un Circolare Ministeriale recentissima (vedi QUI) la caratterizzazione del
materiale da scavo e di riporto per capire il livello di inquinamento sarà
oggetto di una trattativa tra proponente/utilizzatore e l’Agenzia Regionale per
l’Ambiente competente per Provincia. Si generalizza il sistema previsto per le
bonifiche a tutti i riutilizzi dei materiali da scavo senza però tutte le garanzie
di normativa tecnica proprie della disciplina delle bonifiche (vedi QUI allegato 1 al Titolo II
Pare IV al DLgs 152/2006: analisi di rischio).
Scaduto il termine di novanta giorni dalla presentazione del
Piano di Utilizzo all'Autorità competente o delle eventuali integrazioni, se
non arriva la autorizzazione, il proponente gestisce il materiale da scavo nel rispetto del Piano di Utilizzo presentato
ma non approvato, fermi restando gli obblighi previsti dalla normativa vigente
per la realizzazione dell'opera. Si applica quindi una sorta di silenzio assenso molto discutibile
soprattutto in una materia delicata come questa.
LA DISCIPLINA DEI MATERIALE DA SCAVO PER I PICCOLI CANTIERI
Si applica:
1. ai cantieri
di piccole dimensioni di cui al comma 7 articolo 266 DLgs 152/2006 cioè ai
cantieri che producono materiale da scavo in quantità non superiori ai 6.000 m3
2. ai materiali da scavo derivanti da attività e opere non sottoponibili a VIA o ad Autorizzazione
Integrata Ambientale
Anche qui il materiale non viene più considerato rifiuto ma
sottoprodotto riutilizzato secondo le pratiche
di cantiere, che non si sa bene cosa siano.
Il materiale verrà riutilizzato con una semplice
dichiarazione del proponente. Non c’è bisogno di autorizzazione specifica al
riutilizzo del materiale ma solo le eventuali autorizzazioni edilizie e al
massimo di un parere ex post dell’Arpa competente territorialmente.
LA NORMATIVA LIGURE
PER LA GESTIONE DEI MATERIALI DA SCAVO COME SOTTOPRODOTTI
La Regione Liguria con DGR 89 del 2013 (vedi QUI) ha disciplinato
autonomamente la gestione del materiale di scavo soprattutto per i piccoli
cantieri (quelli che non producono più di 1.000m3 di materiale)
Secondo la normativa ligure il riutilizzo per i piccoli
cantieri può avvenire con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà al
posto del Piano di Utilizzo. La normativa Ligure come spiego, con apposita
tabella di confronto, nel Commento più approfondito che linko alla fine di
questo post, è ancora più permissiva della legge nazionale.
Per fortuna, almeno su questo punto la norma ligure è
destinata ad essere dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale se la
Regione non la cambierà. Infatti ci sono già state due sentenze della Corte
Costituzionale (vedi QUI e QUI), che hanno chiarito nettamente come queste norme regionali siano incostituzionali perché la disciplina delle terre e rocce di scavo rientra
nella materia ambiente che è di competenza esclusiva dello Stato.
LA STORIA CONTINUA…..
L’articolo 8 del Decreto Legge 12 settembre 2014, n.133 (il
cosiddetto sblocca Italia sic! Vedi QUI) rinvia ad un prossimo Decreto del Presidente
della Repubblica che dovrà disciplinare procedure semplificate per il
riutilizzo anche di quei materiali da scavo che continuano ad essere
classificati come rifiuti e non come sottoprodotti.
Il Decreto pur rispondendo a contestazioni della UE (procedura Eu-Pilot 5554/13/ENVI):
sostanzialmente almeno nel testo fino ad ora discusso peggiora la situazione attuale:
1. elimina l’obbligo di comunicazione preventiva all’autorità competente di ogni trasporto di terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti
2. esclude, dalla nozione di terre e rocce da scavo, i residui della lavorazione dei materiali lapidei novità, consentendo agli operatori di qualificarli come sottoprodotti quindi non più rifiuti. In questo modo viene aggirato il minimo divieto che c'era nel Decreto 161/2012 (esaminato sopra) alla presenza di sostanze pericolose quali: flocculanti con acrilammide o poliacrilammide. Voglio ricordare che l'acrilammide è un cancerogeno e La poliacrilamide è utilizzata come agente flocculante nei limi da lavaggio di inerti.
3. prevista una procedura più rapida per attestare che le terre e le rocce da scavo generate nei cantieri di grandi dimensioni soddisfino i requisiti normativi nazionali e comunitari per essere qualificate sottoprodotti.
Il Decreto pur rispondendo a contestazioni della UE (procedura Eu-Pilot 5554/13/ENVI):
sostanzialmente almeno nel testo fino ad ora discusso peggiora la situazione attuale:
1. elimina l’obbligo di comunicazione preventiva all’autorità competente di ogni trasporto di terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti
2. esclude, dalla nozione di terre e rocce da scavo, i residui della lavorazione dei materiali lapidei novità, consentendo agli operatori di qualificarli come sottoprodotti quindi non più rifiuti. In questo modo viene aggirato il minimo divieto che c'era nel Decreto 161/2012 (esaminato sopra) alla presenza di sostanze pericolose quali: flocculanti con acrilammide o poliacrilammide. Voglio ricordare che l'acrilammide è un cancerogeno e La poliacrilamide è utilizzata come agente flocculante nei limi da lavaggio di inerti.
3. prevista una procedura più rapida per attestare che le terre e le rocce da scavo generate nei cantieri di grandi dimensioni soddisfino i requisiti normativi nazionali e comunitari per essere qualificate sottoprodotti.
4. introdotto un iter più spedito per apportare modifiche sostanziali al piano di utilizzo delle terre e rocce da scavo, con la possibilità di una proroga di un anno della durata del piano per le terre e le rocce da scavo generate nei grandi cantieri.
In questo modo il cerchio si chiude, molto
probabilmente a spese del cittadino inquinato!
Mi chiedo come potrà la Unione Europea accettare una norma simile, ma su questo tornerò a tempo debito.....
Mi chiedo come potrà la Unione Europea accettare una norma simile, ma su questo tornerò a tempo debito.....
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