Il
Consiglio di Stato ha con la sentenza n. 4588 del 10/9/2014 (vedi QUI) ha
affermato un principio di grande rilievo in materia d tutela della salute dei
cittadini da impianti con emissioni odorigene anomale.
La
sentenza si fonda sulla applicazione del principio di precauzione (di
derivazione comunitaria: vedi QUI) alla
autorizzazione di una attività inquinante con significative emissioni
odorigene.
Il
Consiglio di Stato afferma il principio che a prescindere dal rispetto dei
limiti inquinanti previsti dalla normativa sulle emissioni atmosferiche, se,
sulla base di adeguata documentazione scientifica, si dimostra persistere un probabile
rischio sanitario per i cittadini residenti, l’autorità competente può negare l’autorizzazione
o revocarla in fase di revisione/adeguamento.
Ma
vediamo specificamente le motivazioni di questa sentenza.
LA CONDANNA IN
SEDE PENALE PER GETTO DI COSE PERICOLOSE
La
sentenza prende come punto di partenza la condanna definitiva in sede penale da
parte della Cassazione (sentenza sezione III penale,
n. 37037 del 29 maggio 2012)per superamento dei limiti di tollerabilità (articolo 844 Codice Civile) da parte della
attività in oggetto in relazione alle emissioni odorigene dando così luogo a
molestie che integrano il reato di cui all’art. 674 C.P., commesso dai soci
amministratori della società proprietaria dell’impianto inquinante.
E’ interessante la affermazione della Cassazione che, riprendendo e
confermando la sentenza della Corte di Appello di Trieste del 7 marzo 2011,
spiega come possono essere rilevate le
emissioni odorigene intollerabili. In particolare: ““…se manca la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati
strumenti, l’intensità delle emissioni, il giudizio sull’esistenza e sulla
tollerabilità delle emissione stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di
testi, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non
si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi
di natura tecnica, ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente
percepito dagli stessi dichiaranti”. In sede di giustizia
amministrativa questa tesi è sta affermata anche dal TAR Veneto n. 573 del 2014
vedi QUI .
Quanto
alla intollerabilità delle emissioni
questa è dimostrata, secondo la Cassazione citata dal Consiglio di Stato dai seguenti elementi
fattuali: “…a)
il rispetto dei valori limiti fissati per le emissioni inquinanti
in atmosfera e la presenza dell’autorizzazione richiesta dal D.P.R. n. 203 del
1988 (disciplina applicabile ratione temporis) risultano pacifici, ma devono essere ritenuti irrilevanti;
b) l’odore di ammoniaca nell’aria dovuto alle deiezioni degli animali è stato
riconosciuto distintamente da una pluralità di soggetti; c) l’ammoniaca era,
come accertato dall’Agenzia regionale per l’ambiente, presente in più momenti
nell’aria in concentrazioni assai rilevanti; d) i rilievi circa la mancanza di
significative emissioni di streptococchi non sono dirimenti, perché non
escludono le immissioni di odori ampiamente rilevate dalle analisi tecniche
espletate e dai testimoni”.
LE MOTIVAZIONI
DELLA DIFESA DEI GESTORI DELL’IMPIANTO CHE PRODUCEVA LE EMISSIONI ODORIGENE
Nel
chiedere l’annullamento della sentenza del Tar Friuli che confermava la legittimità
del diniego di autorizzazione all’impianto, la
difesa dei gestori affermava le seguenti motivazioni:
1. le emissioni odorigene
pur provenendo dal loro impianto non erano intollerabili.
2. la intollerabilità
delle emissioni rileverebbe sol ai fini penale ma non anche ai fini del
sindacato di legittimità sul diniego di rilascio dell’autorizzazione integrata
ambientale
3. non sono invocabili, ai
fini della dimostrazione della intollerabilità delle emissioni odorigene, i parametri fissati, in particolare per
l’ammoniaca, dall’EPA, Agenzia per l’Ambiente degli Stati Uniti d’America, ente
che non è stato riconosciuto in Italia ed in Europa.
LE
CONCLUSIONI DEL CONSIGLIO DI STATO SU COME MOTIVARE LA INTOLLERABILITÀ DELLE
EMISSIONI ODORIGENE
Il
Consiglio di Stato respinge le tesi della difesa dei gestori dell’impianto in
quanto basata su un concetto meramente formale (rispetto limiti di emissione
dei singoli inquinanti ex lege) di
emissioni intollerabili.
Il
Consiglio di Stato, tenuto conto anche degli elementi fattuali del processo
penale sopra riportato, ritiene che le
tesi dei difensore dei gestori dell’impianto: “finiscono col disconoscere inammissibilmente, e senza
ragione, gli sviluppi della ricerca, degli studi e dei metodi di indagine di
natura tecnico–scientifica in materia di salvaguardia e di tutela della
salubrità dell’ambiente e della salute pubblica, ammettendone il loro rilievo
solo allorquando essi siano recepite in apposite normative, statali o
comunitarie….”.
Il Consiglio di Stato per fondare giuridicamente questa
affermazione fa riferimento al principio di precauzione già così esplicitato in
altra sentenza della stessa sezione del 17
dicembre 2013, n. 6520:
a) spetta alla
autorità pubblica competente dimostrare sulla base di apposita valutazione dei
rischi, che pur nella incertezza scientifica che non può essere esclusa in
assoluto, e sulla base dei risultati più
recenti della ricerca internazionale, la necessità delle misure atte ad evitare
pregiudizi ad ambiente e salute secondo ampi margini di discrezionalità in ordine alla
individuazione delle misure ritenute più efficaci, economiche ed efficienti in
relazione a tutte le circostanze del caso concreto.
b) l’applicazione del
principio di precauzione presuppone un coinvolgimento del pubblico e quindi della
comunità interessata: percezione sociale del rischio;
c) per l’applicazione del
principio di precauzione è sufficiente che si dimostri in modo obiettivo che l’intervento
umano in una determinata area e/o sito lo possa pregiudicare significativamente
;
d) la situazione di
pericolo per la salute e l’ambiente deve essere potenziale o latente e deve
incidere significativamente sull’ambiente e sulla salute dell’uomo.
CONCLUSIONI
La sentenza del Consiglio di Stato parla anche ai numerosi casi del nostro
territorio sia passati (come quello della bonifica dell’area ex IP) sia attuali
(vedi da ultimo le emissioni nauseabonde dell’impianto di trattamento di
Saliceti) e afferma il seguente principio generale: la tutela della salute e
dell’ambiente richiede da parte di amministratori e tecnici degli enti pubblici
competenti una volontà di analizzare nel merito i rischi per la popolazione
delle attività inquinanti a prescindere dal rispetto formale di autorizzazioni
e procedure settoriali.
Non lo dico io, come avete visto sopra, lo dicono la giurisprudenza ormai quasi
univoca sia nazionale che comunitaria.
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