venerdì 23 febbraio 2024

Quando la VIA scaduta comporta la riapertura del procedimento: una sentenza del Consiglio di Stato

Il caso trattato dalla sentenza (QUI) riguarda un progetto di gestione produttiva e recupero in un’area già interessata da precedente attività estrattiva e di discarica, collocata all’interno di un Parco naturale Locale di Interesse Sovracomunale (P.L.I.S.).

In seguito alle pronunce di annullamento degli atti autorizzatori del Tar Lombardia nn.1533 (QUI) e 1535/2021 (QUI) confermata in appello per inammissibilità (QUI), Città Metropolitana decideva di rinnovare i provvedimenti annullati dal giudice amministrativo, senza tuttavia aprire una nuova istruttoria, in quanto si ritenevano sussistenti “i presupposti per l’applicazione del principio di conservazione del provvedimento amministrativo” atteso che  secondo come riportato dalla decisione della Città Metropolitana non serviva motivare il rinnovo del provvedimento per questo avrebbe richiesto solo “una maggiore esplicitazione dei fatti già acquisiti al procedimento ed emergenti dall’istruttoria” in precedenza svolta.

I ricorrenti contestavano in particolare che essendo trascorsi 5 anni dal rilascio della prima VIA, Città Metropolitana avrebbe dovuto reiterare tutte le fasi della procedura VIA, in quanto non risulterebbero effettuate nuove pubblicazioni o consultazioni del pubblico e non sarebbe stata ripetuta la conferenza di servizi. Il Consiglio di Stato ha deciso che il provvedimento di VIA aveva ricevuto da parte della Autorità Competente una durata maggiore e quindi sarebbe scaduto solo nel 2026 per cui il provvedimento poteva essere reiterato senza avviare una nuova VIA.

Ma la normativa nazionale, comunitaria davvero legano la possibilità di mantenere la efficacia di un provvedimento di VIA solo con riferimento alla durata temporale ex lege o decisa dall’atto finale? È questo il punto che voglio trattare prendendo dalla sentenza che invece ha altri aspetti che non rilevano ai fini del post che segue.

 

 

La sentenza ha applicato in modo riduttivo quanto previsto dal comma 5 articolo 25 DLgs 152/2006 (QUI) secondo il quale: “5. Il provvedimento di VIA è immediatamente pubblicato sul sito web dell'autorità competente e ha l'efficacia temporale, comunque non inferiore a cinque anni, definita nel provvedimento stesso,”.

Quindi la interpretazione letterale della norma su cui si fonda la sentenza è che i 5 anni sono la durata minima del provvedimento di VIA a meno che lo stesso non prevede un termine più lungo.

 

È tutto qui come deve essere interpretata la suddetta norma? Intanto leggiamo tutto il comma 5 che dopo avere stabilito il termine minimo di 5 anni aggiunge che il provvedimento conclusivo di VIA può allungare il suddetto termine minimo, ma poi il comma aggiunge: “tenuto conto dei tempi previsti per la realizzazione del progetto, dei procedimenti autorizzatori necessari, nonché dell'eventuale proposta formulata dal proponente e inserita nella documentazione a corredo dell'istanza di VIA.”

Quindi prima di tutto la sentenza avrebbe dovuto verificare se il termine di 10 anni deciso nel caso specifico per la durata della VIA fosse coerente con i tempi di realizzazione del progetto anche nella versione presentata dal proponente.

 

In secondo luogo il comma 5 articolo 25 del DLgs 152/2006 aggiunge: “Decorsa l'efficacia temporale indicata nel provvedimento di VIA senza che il progetto sia stato realizzato, il procedimento di VIA deve essere reiterato, fatta salva la concessione, su istanza del proponente corredata di una relazione esplicativa aggiornata che contenga i pertinenti riscontri in merito al contesto ambientale di riferimento e alle eventuali modifiche, anche progettuali, intervenute, di specifica proroga da parte dell'autorità competente.”

 

Insomma, è chiara la ratio della norma per cui la VIA deve valutare l’impatto ambientale di un progetto rispetto al sito dove deve essere collocato e in modo preventivo ovviamente. Ora la definizione di impatto ex lettera c) articolo 5 del DLg 152/2006 richiede di valutare la interazione degli impatti sui vari fattori ambientali interessati: popolazione salute umana, biodiversità, territorio, suolo aria acqua e clima beni materiali paesaggio, patrimonio culturale.

Quindi devi quanto meno, prima di reiterare un provvedimento scaduto da anni, addirittura fino a 10 anni (in particolare come è avvenuto nel caso specifico trattato dalla sentenza del Consiglio di Stato esaminato in questo post) deve effettuare una verifica per cui la situazione ambientale dell’area interessata non sia cambiata.

Questo aspetto deve essere sottolineato a prescindere dal fatto che nel caso esaminato dalla sentenza del Consiglio di Stato l’annullamento precedente degli atti autorizzatori riguardava solo alcuni aspetti e non tutti gli atti compreso il provvedimento di VIA.

 

Intanto esiste una norma del testo unico ambientale che permette di valutare cosa è successo all’ambiente in rapporto agli impatti potenziali del progetto dopo la sua autorizzazione. Si tratta dell’articolo 28 del DLgs 2152/2006 sulla verifica di ottemperanza alle prescrizioni contenute nella VIA anche solo dopo la autorizzazione e non solo dopo la realizzazione dell’opera.

Peraltro, se il proponente avesse trovato difficoltà a realizzare il progetto la questione non poteva e non può essere ridotta solo in epoca successiva, a distanza di anni dalla autorizzazione con la VIA compresa. Non a caso il punto 6 dell’allegato VII alla Parte II del DLgs 152/2006 chiede che lo studio di impatto ambientale che affianca il progetto debba contenere anche: “informazioni dettagliate sulle difficoltà incontrate nel raccogliere i dati richiesti (quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, carenze tecniche o mancanza di conoscenze) nonché sulle principali incertezze riscontrate.” Senza considerare che sempre detto allegato richiede (periodo finale del punto 5) che nello studio di impatto ambientale siano indicati gli effetti nel lungo periodo degli impatti potenziali del progetto.

 

Allora se addirittura in sede di avvio del procedimento si chiede al proponente di verificare gli impatti di lungo periodo del progetto perché quando addirittura sono passati anni dalla conclusione della VIA senza la realizzazione del progetto, prima di confermare la vecchia VIA non si deve fare (a prescindere dal dato numerico degli anni passati) una valutazione se questi impatti verificati allora sono cambianti perché cambiato è il contesto ambientale in cui è prevista la realizzazione del progetto?

Infatti, tornando all’allegato VII già citato lo studio di impatto ambientale deve contenere anche “3. La descrizione degli aspetti pertinenti dello stato attuale dell'ambiente (scenario di base) e una descrizione generale della sua probabile evoluzione in caso di mancata attuazione del progetto, nella misura in cui i cambiamenti naturali rispetto allo scenario di base possano essere valutati con uno sforzo ragionevole in funzione della disponibilità di informazioni ambientali e conoscenze scientifiche.” Ora se questa valutazione dello stato attuale e della sua evoluzione del sito interessato del progetto deve essere svolta in sede di avvio del procedimento mi si spieghi perché questo non può essere fatto dopo anni della conclusione dello stesso, nascondendosi dietro dei termini temporali meramente numerici.

 

È vero che la norma del comma 5 articolo 25 usare termini temporali ma subito dopo afferma anche la necessità di una verifica delle modifiche nel sito interessato accadute negli anni, verifica che a mio avviso per tutti i motivi sopra esposti deve comunque essere svolta.

 

A conferma di quanto sopra espresso sulla necessità di una preventiva verifica prorogare i termini di realizzazione di un progetto, si veda Corte di Giustizia con sentenza 9 settembre 2020 causa C254-19  (QUI) che ha affermato: “spetta all’autorità competente valutare se una decisione di prorogare il termine inizialmente fissato per la realizzazione di un progetto di costruzione di un terminale di rigassificazione di gas naturale liquefatto, la cui autorizzazione iniziale è divenuta inefficace, debba essere oggetto dell’opportuna valutazione dell’incidenza o valutazione di impatto e, se del caso, se essa debba riguardare l’intero progetto o una parte di esso, tenendo conto, in particolare, sia di una valutazione anteriore eventualmente realizzata, sia dell’evoluzione dei dati ambientali e scientifici rilevanti, ma anche di un’eventuale modifica del progetto o dell’esistenza di altri piani o progetti.

 

 

P.S.

Sul tema degli effetti di una VIA scaduta vedi, in questo blog, i seguenti casi:
GRONDA DI GENOVA: QUI,

TERZO VALICO GENOVA: QUI,

RADDOPPIO FERROVIARIO GENOVA VENTIMIGLIA: QUI,

RIGASSIFICATORE PORTO EMPEDOCLE: QUI.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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