La Corte
Costituzionale (sentenza n°240 depositata il 17 novembre 2020 e pubblicata il
18/11 -QUI) in relazione ad un conflitto di attribuzione
tra lo Stato e la Regione Lazio ne riafferma il significato del principio di
co-pianificazione per i Piani Paesaggistici .
La Corte con la
sentenza di seguito descritta conferma come nella legislazione regionale il
ruolo degli organi ministeriali preposti alla tutela del Paesaggio nell’ambito
della elaborazione e approvazione dei Piani Paesaggistici non possa essere di
mera partecipazione.
In particolare secondo
la Corte Costituzionale seppure
l'obbligo di pianificazione congiunta investa i beni paesaggistici di cui
all'art. 143, comma 1, lettere b), c) e d), del d.lgs. n. 42 del 2004, "non è
ammissibile la generale esclusione o la previsione di una mera
partecipazione degli organi ministeriali in procedimenti che richiedono
la cooperazione congiunta: in tali ipotesi la tutela paesaggistica verrebbe
degradata, da valore unitario prevalente e a concertazione
rigorosamente necessaria, in mera esigenza urbanistica" (Corte
Costituzionale n. 64 del 2015 QUI - n. 66 del 2018 QUI; n. 197 del 2014 QUI).
L'unitarietà del
valore della tutela paesaggistica comporta, dunque, l'impossibilità di scindere
il procedimento di pianificazione paesaggistica in subprocedimenti che vedano
del tutto assente la componente statale.
Nella direzione
anzidetta si è mossa la giurisprudenza precedente della Corte, la quale, ancora di
recente, ha affermato che "la disciplina statale volta a proteggere
l'ambiente e il paesaggio viene [...] 'a funzionare come un limite
alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre
materie di loro competenza'" (Corte Costituzionale n. 66 del 2018).
Essa "richiede una strategia istituzionale ad ampio raggio, che si esplica
in un'attività pianificatoria estesa sull'intero territorio nazionale [...]
affidata congiuntamente allo Stato e alle Regioni" (Corte Costituzionale
n. 66 del 2018). È in questa prospettiva che il codice dei beni culturali e del
paesaggio pone, all'art. 135, un obbligo di elaborazione congiunta del piano
paesaggistico, con riferimento agli immobili e alle aree dichiarati di notevole
interesse pubblico ai sensi dell'art. 136 (le cosiddette "bellezze
naturali"), alle aree tutelate direttamente dalla legge ai sensi dell'art.
142 (le cosiddette "zone Galasso", come territori costieri, fiumi,
torrenti, parchi) e, infine, agli ulteriori immobili ed aree di notevole
interesse pubblico (art. 143, lettera d Codice Beni Culturali e del Paesaggio).
Tale obbligo costituisce un principio inderogabile della legislazione statale,
che è, a sua volta, un riflesso della necessaria "impronta unitaria della
pianificazione paesaggistica" (Corte Costituzionale n. 64 del 2015), e
mira a "garantire, attraverso la partecipazione degli organi ministeriali
ai procedimenti in materia, l'effettiva ed uniforme tutela dell'ambiente"
(Corte Costituzionale n. 210 del 2016 QUI - n. 86
del 2019 QUI , ma già
nello stesso senso n. 178 QUI , n.68 QUI e n. 66
del 2018, n. 210 del 2016, n. 64 del 2015, n. 197 del 2014, n.
211 del 2013 QUI).
Pertanto, l'intervento
della Regione, volto a modificare unilateralmente la disciplina di un'area
protetta, costituisce violazione, non solo degli impegni in ipotesi assunti con
il Ministero in sede procedimentale, "ma soprattutto di quanto prescritto dal
codice dei beni culturali e del paesaggio che, attraverso la partecipazione
degli organi ministeriali ai procedimenti in materia, mira a garantire l'effettiva
ed uniforme tutela dell'ambiente" (Corte Costituzionale n. 210 del
2016), affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (Corte
Costituzionale n. 86 del 2019).
E ancora, «la
circostanza che la Regione sia intervenuta a dettare una deroga ai limiti per
la realizzazione di interventi di ampliamento del patrimonio edilizio
esistente, sia pure con riguardo alle pertinenze, in deroga agli strumenti
urbanistici, senza seguire l'indicata modalità procedurale collaborativa e
senza attendere l'adozione congiunta del piano paesaggistico regionale, delinea
una lesione della sfera di competenza statale in materia di "tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", che si impone al
legislatore regionale, sia nelle Regioni a statuto speciale (Corte Costituzionale
n. 189 del 2016 QUI ) che a
quelle a statuto ordinario come limite all'esercizio di competenze primarie e
concorrenti» (Corte Costituzionale n. 86 del 2019).
Quanto detto non
vanifica le competenze delle regioni e degli enti locali, “ma è l'impronta unitaria
della pianificazione paesaggistica che è assunta a valore imprescindibile, non
derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento
teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di
tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale: il
paesaggio va, cioè, rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo
unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali”
(Corte Costituzionale n. 182 del 2006 QUI ; ma
anche n. 86 del 2019, n. 68 e n. 66 del 2018, n. 64 del 2015 e n. 197 del
2014).
Nessun commento:
Posta un commento