Una analisi su come la tutela
preventiva della salute è considerata nella normativa che disciplina le principali
valutazione e/o autorizzazioni a rilevanza ambientale : in Europa, in Italia, nella
Regione Liguria, letta anche secondo i principi della giurisprudenza nazionale.
In particolare verranno messi
in rilievo i reali poteri dei Sindaci in questa materia che sono ben più rilevanti
di quanto non si voglia far credere ai cittadini disinformati volutamente da chi
detiene il potere anche a livello locale.
LA TUTELA DELLA SALUTE NEI PRINCIPI DEI
TRATTATI DELLA GIURISPRUDENZA UE E
NAZIONALE
La salute e il
Trattato UE
Secondo il paragrafo 1
dell’articolo 168 del Trattato di Funzionamento della UE: “1.
Nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività
dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute
umana. L'azione dell'Unione, che
completa le politiche nazionali, si indirizza al miglioramento della sanità
pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all'eliminazione delle
fonti di pericolo per la salute fisica e mentale.”
È indiscutibile come
l’obiettivo della tutela della salute umana sia elemento imprescindibile di
tutte le politiche della UE e quindi anche delle sue normative ma impegni la UE
e di conseguenza gli stati membri a realizzare questo obiettivo organizzando le
strutture nazionali degli Stati Membri della sanità pubblica in modo adeguato
al suo raggiungimento.
Ambiente e salute
nella giurisprudenza della Corte di Giustizia
Un contributo a chiarire
la questione è sicuramente dalla Corte di Giustizia nelle sue decisioni in
materia di base giuridica delle azioni ambientali della UE. Secondo la Corte è
attribuibile alla nozione di ambiente
tutto ciò che la Comunità esamina, decide e approva sulla base delle
disposizioni contenute dagli art. 191 e seguenti e cioè di tutte quelle norme
ricomprese nel nuovo titolo XX del Trattato (versione precedente titolo XVI):
1. salvaguardia, tutela e
miglioramento della qualità dell'ambiente,
2.
protezione della salute umana,
3. utilizzazione accorta e
razionale delle risorse naturali,
4.
promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi
dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i
cambiamenti climatici.
Quindi la nozione di
ambiente resta così una nozione aperta e mutevole, ma delimitata dagli obiettivi della politica
ambientale della UE.
Non a caso la nuova
direttiva 2003/4 (accesso del pubblico alle informazioni ambientali) che ha sostituito la Direttiva del 1990,
introduce nel concetto di informazioni ambientali accedibili anche quelle
relative allo stato della salute e della
sicurezza umana,compresa la contaminazione della catena alimentare,ove pertinente,
le condizioni della vita umana.
Il
principio di precauzione nelle procedure a rilevanza ambientale
Il TFUE all’articolo 191, prevede
quanto segue: “ La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato
livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie
regioni dell'Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e
dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla
fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina
paga>>”.
In generale
la giurisprudenza UE ha finito per recepire l’interpretazione della Commissione
per cui il principio di precauzione può essere invocato soltanto quando – pur
in assenza di certezze scientifiche – un determinato rischio è individuato[1].
Inoltre poiché la Precauzione rientra tra i principi del diritto comunitario i
giudici non possono farne applicazione diretta, ma devono piuttosto utilizzarla
per l’interpretazione e applicazione degli atti legislativi o esecutivi
adottati nei vari settori. Possiamo quindi dire che il principio di
precauzione è oggi una norma cogente di diritto internazionale consuetudinario
(L. Butti in RGA 6/2006 pag. 822)
il parere del Comitato Economico
Sociale della UE sul principio di precauzione del
12/7/2000 afferma che con riferimento a valori limite legali dei singoli
inquinanti: “ non bisogna idealizzare le cifre , dal momento che la
promozione della valutazione dei rischi deve inserirsi in un dispositivo di
negoziato sociale. Il suo vero ruolo sociale è quello di fornire le basi del dialogo”
(punto 2.14) . Si veda anche Trib UE di I grado 11/9/2002 T13/99 secondo cui la valutazione dei rischi va
completata con l’individuazione del livello di protezione che le istituzioni
comunitarie reputano appropriato per la società e che la legittimazione
scientifica non è sufficiente a giustificare l’esercizio dei pubblici poteri
Con sentenza n. 2495 del 18 maggio 2015
(vedi QUI) il Consiglio di Stato ha riconosciuto la legittimità del giudizio di
Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) di un centrale di raccolta e
trattamento gas estratto e la costruzione di un metanodotto di allacciamento
alla rete.
In
particolare nel riconoscere la suddetta legittimità il Consiglio di Stato ha
riconosciuto la validità della motivazione del giudizio di VIA
negativo fondata sul Principio di Precauzione (per una analisi di questa
sentenza vedi QUI).
TUTELARE LA SALUTE NON VUOL DIRE SOLO FARLA
PESARE NEI PROCESSI PROCEDIMENTI DECISIONALI MA CAMBIARE IL MODELLO DI GOVERNO
DELLE POLITICHE AMBIENTALI APPLICANDO I PRINCIPI DI DIRITTO COMUNITARIO A COMINCIARE DA QUELLI DI INTEGRAZIONE DELLE
POLITICHE AMBIENTALI NELLE ALTRE POLITICHE SETTORIALI NONCHÉ DI PRECAUZIONE E PREVENZIONE
In particolare decisiva è la
sistematizzazione delle procedure autorizzatorie con sistemi di contabilità
ambientale di area
secondo le migliori indicazioni che emergono
dall’attuazione:
• della Convenzione di Aarhus,
• della direttiva sull’accesso alle informazioni
ambientali,
• del Protocollo di Kiev sull’attività di reporting
ambientale di impresa e di area e sui nuovi registri per le
emissioni inquinanti e i loro trasferimenti
(PRTR)
Ciò potrà servire per autorizzare non solo
le attività e gli impianti compatibili con la normativa di settore o
con gli strumenti di pianificazione
territoriale e di programmazione anche sovraordinati, come è avvenuto
con i risultati che sappiamo, ma anche
tenendo conto degli impatti cumulativi e della specificità ambientale
e
sanitaria di un dato territorio
Occorre riprendere, adeguandoli alle diverse
realtà locali, gli indirizzi della Raccomandazione UE 2001/331/CE. Secondo
questa Raccomandazione, la pianificazione dei controlli ambientali (a più
livelli: nazionale, regionale e locale) dovrà svolgersi seguendo i seguenti
criteri di riferimento:
- prescrizioni della normativa comunitaria
- registro degli impianti controllati
nell’area del piano di controllo
- valutazione stato ambiente dell’area del
Piano
- valutazione osservazioni prescrizioni da
parte degli impianti controllati
In tal senso quindi i soggetti pubblici preposti dovranno riordinare il sistema pubblico
dei controlli in modo da
- distinguere i servizi competenti alle
autorizzazioni da quelli di controllo
- pianificare i controlli per ecosistemi o
sistemi ambientali integrati
- pianificare i controlli partendo dalla
registrazione degli impianti e attività presenti in un’area
accompagnati dalla valutazione dei problemi
ambientali dell’area interessata.
- introdurre la prevenzione sanitaria sulle
procedure di controllo anche tenuto conto di adeguate indagini epidemiologiche.
- avviare procedure straordinarie di controllo
per i casi limite come ad es. casi di siti di bonifica nazionale o comunque a
inquinamento diffuso o da fonti diversificate e /osu area vasta. Non a caso la
stessa Raccomandazione della UE distingue tra programmi ordinari e straordinari
di controllo.
VISTI I PRINCIPI GENERALI IN MATERIA DI
PREVENZIONE NELLA AZIONE PUBBLICA DI TUTELA DELL’AMBIENTE E DELLA SALUTE
VEDIAMO LA NORMATIVA SETTORIALE COSA DICE :VIA – VAS – AIA
Salute e normativa UE
nazionale e ligure sulla
Valutazione di Impatto Ambientale (VIA)
La nuova Direttiva
2014/52/UE[2]
modificando l’articolo 3 della Direttiva 2011/92/UE ha ridefinito i fattori che devono essere
presi in considerazione per valutare gli effetti ambientali del progetto
oggetto della VIA. Vengono introdotti rispetto la testo precedente i seguenti
fattori:
1. Territorio
2. Popolazione e salute
umana
3. Biodiversità
L’allegato III alla
Direttiva 2011/92 come modificata dalla Direttiva 2014 nei criteri per verificare la assoggettabilità a
VIA devono essere presi in considerazione i “rischi per la salute umana” dovuti alle
caratteristiche del progetto.
Quindi anche i
potenziali rischi per la salute
determinati dai caratteri del progetto, una volta confermati, verranno in considerazione per verificare
la significatività e quindi anche la dimensione degli impatti del progetto in
rapporto (vedi punto 3 dell’allegato
III):
alla estensione ed
intensità dell’impatto
alla probabilità
dell’impatto
alla insorgenza, durata,
frequenza e reversibilità dell’impatto
al cumulo tra l’impatto
del progetto con altri progetti esistenti e approvati
alla possibilità di
ridurre l’impatto
Invece l’ Allegato V alla Parte II DLgs 152/2006
sui Criteri verifica assoggettabilità a VIA, non fa alcun riferimento alla salute
L’allegato IV alla
Direttiva 2011/92 come modificata
dalla Direttiva 2014 prevede, al punto 4,
che il Rapporto di Valutazione dell’Impatto Ambientale (il SIA nella
precedente versione precedente Direttiva) descriva lo stato della salute umana
nel sito interessato dal progetto in relazione (punto 5) ai potenziali rischi
alla salute umana producibili dallo
stesso.
L’allegato VI alla
Parte II del DLgs 152/2006
relativamente al contenuto che deve avere lo Studio di Impatto Ambientale
afferma che occorre, tra l’altro, “c)una valutazione del tipo e della quantità
dei residui e delle emissioni previsti (inquinamento dell’acqua, dell’aria e
del suolo, rumore, vibrazione, luce, calore, radiazione eccettera) risulta
tanti dall’attività del progetto proposto;”
Quindi….. Il Dlgs
152/2006 non si è ancora adeguato al nuovo testo della Direttiva 2011/92
come modificata da quella del 2014 ma la lettera b) comma 4 articolo 4 del DLgs
152/2006 prevede come principio generale che: ”la valutazione ambientale dei progetti ha la finalità di proteggere la
salute umana,…”.
Molto meglio è il vecchio Dpcm 27/12/1988 (mai abrogato ma solo modificato[3])
che definisce il contenuto degli studi di impatto ambientale che devono
accompagnare il progetto sottoposto a VIA , all’allegato 2 contiene una
sezione F Salute Pubblica[4]. Questo decreto è
applicabile ai progetti ed opere sottoposti a VIA statale (allegato II alla
Parte II del DLgs 152/2006) ma anche,
per quanto non disciplinato a livello regionale, anche ai progetti
sottoposti a VIA di competenza delle Regioni. Questo Dpcm tutt’ora costituisce attuazione con quanto
previsto dall’allegato VII alla Parte II del DLgs 152/2006 (contenuti dello
studio di impatto ambientale).
Tale sezione F è citata
non a caso nelle linee guida per la VIIAS del sistema delle Arpa e Ispra del
2015
Cosa prevede la
normativa ligure su VIA e Salute?
La DGR 1660/2013 sulle norme tecniche sulla VIA ordinaria
Relativamente al contenuto
del SIA fa solo riferimenti indiretti alla salute
Ad esempio,articolo 11,
nel prendere in esame il comparto Aria il SIA deve prevedere, nel caso di emissioni che potenzialmente possano
creare disagi, dei modelli di ricaduta delle emissioni al suolo si pensi ad
esempio agli odori.
Tali modelli devono simulare
i possibili scenari di esposizione della popolazione e degli ecosistemi, ai
fini della valutazione del rischio tossicologico ed ecotossicologico
associabile all’intervento proposto.
Relativamente al comparto
acqua Devono inoltre essere simulati i possibili scenari di esposizione
della popolazione e degli ecosistemi, ai fini della valutazione del rischio
tossicologico ed ecotossicologico associabile all’intervento proposto.
La tabella 1[5] della Delibera regionale sopra citata: sulla situazione
zero (stato attuale del sito senza la realizzazione del progetto da
valutare) non si prevede alcuna documentazione che dimostri lo stato attuale
della salute nell’area interessata dal futuro progetto sottoposto a VIA.
Nella DGR 1661/2013 relativa alle norme tecniche per la verifica di
assoggettabilità a VIA non c’è alcun riferimento diretto alla salute.
La
normativa UE e nazionale sulla Valutazione
Ambientale Strategica (VAS)
L’allegato II alla
Direttiva 2001/42/CE afferma che ai
fini della verifica della assoggettabilità a VAS si dovrà tenere conto
anche gli effetti del Piano/Programma sui rischi per la salute umana.
L’allegato I alla
Direttiva 2001/42/CE afferma che il
Rapporto Ambientale che accompagna il Piano/Programma ai fini della VAS ordinaria deve contenere le informazioni
circa gli effetti significativi sulla salute umana.
L’allegato I alla parte
II del DLgs 152/2006 (che ha recepito
la Direttiva 201/42/CE) prevede tra i criteri per verificare la assoggettabilità
di Piani e Programmi alla VAS ci siano anche i “rischi per la salute” (vedi punto 2) . La lettera f) dell’allegato
VI alla parte II del DLgs 152/2006 prevede che il Rapporto Ambientale, che deve
accompagnare il piano/programma ai fini della VAS, debba contenere anche i
possibili impatti del piano/programma sulla “salute umana”. In questo
caso il quadro di riferimento degli impatti sulla salute umana inciderà:
1. sulla
valutazione delle alternative prese in considerazione nel Rapporto Ambientale (lettera
h allegato VI)
2. sul piano
di monitoraggio per valutare ex post gli impatti (lettera i allegato VI)
Cosa prevede la
normativa Ligure sul rapporto VAS e salute
L’allegato B alla legge
regionale ligure 32/2012 contenuto rapporto ambientale preliminare
"2.2 Accertamento delle
criticità ambientali e del territorio Definizione dello stato, delle tendenze e
criticità delle componenti ambientali e antropiche pertinenti il PP, a
riscontro dei contenuti del quadro conoscitivo di riferimento del PP stesso"
L’allegato c alla legge
regionale 32/2012 relativamente al
contenuto del rapporto ambientale che deve accompagnare il Piano/Programma ai
fini della valutazione del suo impatto prevede che relativamente agli aspetti
pertinenti dello stato attuale dell'ambiente
e quindi allo inquadramento territoriale, socio economico e demografico
e quadro di analisi attraverso l’individuazione di informazioni territoriali di
base e la definizione dello stato quali-quantitativo dei vari comparti/risorse:
anche il riferimento alla salute umana
La normativa UE
e nazionale sulla Autorizzazione
Integrata Ambientale (AIA)
Nella Direttiva
2010/75/UE al punto 2 articolo 3 la
definizione di inquinamento ai fini del rilascio dell’AIA riguarda anche la
possibilità di “nuocere alla salute umana”. A conferma che l’istruttoria che porta al
rilascio dell’AIA riguarda la tutela della salute umana si veda:
1. il
considerando 18 alla Direttiva prevede che tra gli obiettivi della stessa ci
sia anche la necessità di autorizzazione a tutte quelle modifiche delle
installazioni esistenti che possano
avere significativi effetti negativi
sulla salute umana
o sull’ambiente senza
un’autorizzazione concessa conformemente alla presente direttiva
2. le
ispezioni non sono limitate a verificare il rispetto delle prescrizioni della
autorizzazione ma devono anche monitorare l’impatto ambientale e quindi
prevenire il rischio ambientale delle installazione soggette ad AIA. Tutto ciò
si traduce in Piano di Ispezione e quindi di Monitoraggio che devono valutare i
rischi ambientali distinguendo il criterio di rispetto delle condizioni di AIA
da quello degli impatti potenziali e reali delle installazioni autorizzate
sulla salute umana (paragrafo 4 articolo 23)
La
normativa nazionale oltre a confermare i principi normativi sopra
riportati dalla Direttiva comunitaria introduce anche uno strumento
amministrativo rilevante a tutela preventiva della salute dei cittadini
residenti nel sito interessato dalla installazione soggetta ad AIA.
Il
comma 6 dell’articolo 29quater del DLgs 152/2006 (come modificato dal DLgs
46/2014 in attuazione della Direttiva 2010/75) conferma l’obbligo che, in sede
di conferenza dei servizi per il rilascio dell’AIA, sia rilasciato il parere del Sindaco ai sensi
del T.U. leggi sanitarie con le relative prescrizioni, acquisite nel verbale
della Conferenza dei Servizi stessa. Devono essere presentati anche le proposte
dell’ISPRA, per l’AIA di competenza statale, ed inoltre il parere delle Arpa
competenti per l’AIA di competenza regionale.
La
novità sta nelle eliminazione della parte del superato comma 7 che affermava:
“In presenza di
sindaco, qualora lo ritenga
necessario nell'interesse della salute pubblica, può chiedere all'autorità
competente di verificare la
necessità di riesaminare l'autorizzazione rilasciata, ai sensi dell'articolo
29-octies.”
Viene
però introdotto un nuovo comma 7 che recita: “In presenza di circostanze intervenute
successivamente al rilascio dell'autorizzazione di cui al presente
titolo, il sindaco, qualora lo ritenga
necessario nell'interesse della
salute pubblica, può, con proprio
motivato provvedimento, corredato dalla
relativa documentazione
istruttoria e da puntuali proposte
di modifica dell'autorizzazione,
chiedere all'autorità competente di riesaminare l'autorizzazione rilasciata ai
sensi dell'articolo 29-octies.”
Va
in particolare rilevato come a differenza della precedente versione
l’intervento del sindaco assume esplicitamente natura provvedimentale in coerenza
con i poteri sindacali in qualità di massima autorità sanitaria sul territorio
ex articolo 217 del T. U. leggi sanitarie (RD 27 luglio 1934, n. 1265).
Sulla natura giuridica di questo
Parere è intervenuto il TAR Lazio sezione Latina con sentenza n.819 del 2009 che ha precisato:
1. Il Parere Sanitario è Di Competenza del Sindaco e non della Giunta
perché rientra nelle sue Competenze di massima Autorità Sanitaria
e quindi non può essere rilasciato dal Dirigente
2. Il Parere Sanitario non può essere superato e/o sostituito dal Parere
dell’Arpa nella Conferenza dei Servizi propedeutica alla decisione finale
sull’AIA
3. Il Parere Sanitario negativo del
Sindaco, se adeguatamente motivato, può essere di ostacolo al rilascio della AIA
dopo la conclusione della Conferenza dei
Servizi
LA NORMATIVA PIÙ RECENTE IN MATERIA DI DANNO SANITARIO
La Valutazione del Danno Sanitario nell’AIA
delle imprese strategiche: legge 231/2012 e legge n. 89 del 3 agosto 2013
Sono considerate
stabilimenti di interesse strategico (ex art. 1 legge 231/2012) quelli individuati
con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri, quando presso di esso sono
occupati un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al
trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiore a duecento da almeno un
anno, qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell'occupazione e
della produzione
L’articolo
1-bis della legge 231/2012 prevede che in tutte le aree
interessate dagli
stabilimenti dichiarati di
interesse strategico, l'azienda sanitaria locale e l'Agenzia regionale per
la protezione dell'ambiente
competenti per territorio
redigono congiuntamente, con aggiornamento
almeno annuale, un rapporto di
Valutazione del danno sanitario (VDS) anche sulla base del registro tumori
regionale e delle
mappe epidemiologiche sulle principali
malattie di carattere ambientale. Il comma 2 dell’articolo 1-bis rinvia
ad un decreto ministeriali la definizione dei criteri metodologici utili
per la redazione del rapporto di VDS.
Secondo il comma 7 della legge 89/2013 il
rapporto di valutazione del danno sanitario
non può unilateralmente modificare le prescrizioni
dell'AIA in corso di validità, ma legittima la regione
competente a chiedere il riesame della stessa ai sensi del comma 4 articolo
29-octies del DLgs 152/2006[6].
Il
Decreto Ministero Salute 24 aprile 2013[7] costituisce
attuazione di quanto previsto dal comma 2 articolo 1bis del decreto-legge 3
dicembre 2012, n. 207,
convertito, con modificazioni, dalla
legge 24 dicembre
2012, n. 231 (per un commento vedi in questa voce AIA
2013). In particolare il Decreto
risponde alla necessità di mettere a
disposizione dell'amministrazione strumenti tecnici adeguati e uniformi per
poter efficacemente indirizzare le azioni volte a mitigare, attraverso il
riesame delle AIA, il rischio sanitario ed ambientale nelle aree interessate
dagli stabilimenti di preminente interesse pubblico come definiti dalla sopra
citata legge 231/2012 ma anche dalla
legge 89/2013 (vedi in questa voce AIA 2013).
L’allegato
al decreto contiene i criteri metodologici per la redazione del Rapporto di
Valutazione del Danno Sanitario (di seguito VDS).
La Valutazione di Impatto Sanitario nella VIA di alcune categorie di
opere
L’articolo 9[8]
della legge 28 dicembre
2015, n. 221 introduce l’obbligo di svolgere prima del provvedimento
finale di VIA una Valutazione di Impatto
Sanitario su iniziativa del proponente il progetto da sottoporre a VIA.
Questo obbligo però si applica solo ad alcune categorie di
progetti sottoposti a VIA secondo la vigente normativa, in particolare:
1.
Raffinerie di petrolio greggio, impianti di gassificazione e liquefazione di
almeno 500 tonnellate al giorno di carbone o di scisti bituminosi, terminali di
rigassificazione di gas naturale liquefatto (punto 1 allegato II alla Parte II
del DLgs 152/2006)
2. centrali
termiche e altri impianti di combustione con potenza termica superiore a 300
MW (punto 2) allegato II alla Parte II
del DLgs 152/2006).
Riguardo ai contenuti
della Valutazione di Impatto Sanitario l’articolo 9 (introducendo il comma
5-bis all’articolo 26 del DLgs 152/2006) rinvia alle linee guida predisposte
dall'Istituto superiore di sanità. Inoltre per le attività di controllo e di
monitoraggio relative alla valutazione di impatto sanitario l'autorità
competente si avvale dell'Istituto superiore di sanità, che opera con le
risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e,
comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
La norma costituisce una
integrazione a quanto previsto dal Decreto
Ministero Salute 24 aprile 2013 (esaminato al paragrafo 5.3. del presente
Paper) che prevedeva l’introduzione della VIS nelle procedure di AIA ma solo
per le installazioni definite strategiche, quindi per ora applicabile solo al
caso Ilva.
La norma ora introdotta
positivamente estende l’obbligo della VIS a tutti gli impianti che rientrano
nelle due categorie sopra esaminate in caso di applicazione della VIA.
I limiti di
questa norma sono i seguenti:
1. non si
applica a tutte le altre categorie di progetti sottoponibili a VIA ex allegato
II alla Parte II del DLgs 152/2006. Progetti che possono avere impatti sanitari
se non maggiori quanto meno simili a raffinerie, gassificatori, rigassificatori
e centrali termolettriche;
2. non si
applica alle procedure di AIA almeno per le installazioni più impattanti,
considerato che non sempre AIA e VIA avvengano contemporaneamente sullo stesso
impianto e/o progetto;
3. per
definire il contenuto della VIS si faccia rinvio a successive linee guida
dell’Istituto Superiore di Sanità e non si citino quelle già esistenti prodotte
dal sistema delle Agenzie Ambientali e dall’Ispra di cui ho trattato nei
capitolo 7,8 e 9 del presente Paper
4. la
previsione che le risorse da utilizzare per applicare la VIS non debbano
comportare nuovi oneri per la finanza pubblica, il che significa di fatto
l’impossibilità per l’ISS di svolgere i compiti che questa norma gli assegna. Non comprendendo che la VIS prevenendo
l’impatto sanitario ridurrà complessivamente i costi sanitari anche pubblici
per cifre per maggiori di quelle necessarie per il suo funzionamento e
applicazione concreta.
5. la
mancata definizione dei passaggi formali che l’ISS dovrà svolgere per integrare
la attività del valutatore cioè l’Autorità Competente al rilascio del
provvedimento di VIA.
Questi 5 limiti, tutti
insieme, potranno comportare una
sostanziale non applicazione di questo nuovo strumento di valutazione pur
introdotto obbligatoriamente nel nostro ordinamento dalla nuova legge sopra
descritta.
INDUSTRIE INSALUBRI: CONSIGLIO DI STATO
CONFERMA I POTERI DEI SINDACI!
La giurisprudenza
del Consiglio di Stato
Una
recentissima sentenza del Consiglio di Stato 27/5/2014 n. 2751 (vedi QUI) afferma
principi chiarissimi sulla collocazione delle industrie insalubri nelle
vicinanze di aree residenziali.
Si tratta di
una normativa, quella delle industrie insalubri, poco considerata dai nostri
amministratori locali come dimostrano molte vicende anche recenti: impianto di
trattamento rifiuti in località Saliceti od impianto inerti in località
Lagoscuro od ancora la cava Fornace sopra Pegazzano (per questa ultima vedi QUI).
Una
normativa che riconosce un rilevante potere, ai Comuni sotto il profilo della
pianificazione urbanistica e al Sindaco sotto il profilo di ordinanza nella sua
veste di Autorità Sanitaria, per tutelare la salute contro le attività
considerate industrie insalubri.
Ma cosa dice
questa sentenza del Consiglio di Stato? Vediamo riassunti, in termini
generali quindi a prescindere dal fatto giudicato, i principi di regolamentazione
della localizzazione di queste attività:
1. l’opportunità di una diversa ubicazione
dell’impianto in ragione della vicinanza dello stesso agli insediamenti
abitativi, in deroga alla distanza minima di 500
metri prevista nell’ambito
dei non impugnati criteri generali di autorizzabilità per settori omogenei
produttivi approvati dal Comitato Regionale contro l’inquinamento atmosferico
(siamo nella Regione Emilia Romagna) nella seduta del 20.5.1991, e della
conseguente esigenza di tenere nel debito conto gli interessi di matrice
ambientale e sanitaria;
2. se con adeguata motivazione, l’attività
insistente su un sito che dista poche decine di metri dalle abitazioni
più vicine, si dimostra che non avrebbe prodotto benefici occupazionali e infrastrutturali
apprezzabili in via comparativa, soggiungendo che neanche l’importanza, per
l’interesse collettivo, dello smaltimento delle spoglie animali avrebbe
giustificato il potenziale vulnus ai prevalenti interessi di ordine
ambientale riguardanti l’igiene e la salute dei residenti;
3. che le norme tecniche attuative di un
piano urbanistico comunale possono stabilire distanze di sicurezza adeguate (la
sentenza in esame fa riferimento ad esempio a 100
ml) per le industrie insalubri di 1^ classe ispetto ai confini di zone
residenziali o da preesistenti edifici destinati a residenza
4. la fascia di rispetto, dalla
collocazione di dette industrie insalubri, riguarda non solo i confini
delle zone residenziali ma anche “preesistenti edifici destinati a residenza”
5. se le distanze adeguate (stabilite dalle
prescrizioni regionali, dalle autorizzazioni alle emissioni, dalle norme
attuative dei piani urbanistici) non sono rispettate anche gli
ampliamenti/ammodernamento degli insediamenti esistenti sono preclusi,
con deroghe al massimo per le costruzioni residenziali e produttive che
eventualmente dovessero sorgere in terreni confinanti e non per la
localizzazione di un impianto insalubre
6. se è vero che normativa nazionale sulle
industrie insalubri (articolo 216 del T.U. n.1265/1934) non prevede un divieto
assoluto di collocazione di queste negli abitati, non è precluso né illogico
fissare con norme regolamentari parametri più rigorosi di quelli rinvenibili
nell’art.216 del T.U. n.1265/1934 al fine di conseguire una più intensa tutela
della salute pubblica (Cons. Stato, V n.338/1996).
La normativa
sulle industrie insalubri e i relativi poteri del sindaco non sono superati
dalle eventuali autorizzazioni ambientali
Come ho già analizzato in precedenza
l’AIA richiede comunque obbligatoriamente il rilascio del Parere del Sindaco.
Non solo ma occorre aggiungere
che questo ruolo del Sindaco, sia sotto il profilo del parere sanitario ex normativa
sull’AIA che ex normativa sulle industrie insalubri, non può essere superato neppure
dal caso in cui la autorizzazione ambientale costituisca ex lege variante automatica
alla strumentazione urbanistica locale come a esempio gli impianti di gestione rifiuti.
Relativamente
alla eventuale nuova destinazione urbanistica di un impianto inquinante se è
pur vero che la autorizzazione agli impianti di gestione rifiuti costituisce,
ai sensi della legislazione vigente, variante automatica al Piano Urbanistico
Comunale, occorre considerare che: “l’interesse
sotteso alla realizzazione degli impianti di smaltimento sia pure connotato
dall’inerenza ad interessi propri della collettività non è dotato di
assolutezza tale da escluderne il bilanciamento con altri interessi pure di
rilevanza generale quale l’assetto del territorio urbano e le scelte
programmatorie dell’amministrazione.” (TAR
Lazio Sez. II quater, sentenza 7725 del 12.09.2012).
Sul punto è nuovamente
intervenuto il Consiglio di Stato (sentenza n.3119/2015) che ha affermato principi fondamentali anche per gli
impianti esistenti in rapporto alla pianificazione urbanistica comunale e quindi
ai poteri dei Sindaci anche in materia di prevenzione sanitaria:
1. è legittimo un piano urbanistico che ponga un divieto
generalizzato in un area del Comune ai fini di tutela ambientale e del suolo in
particolare
2. la
definizione di impianto nuovo o di ampliamento deve rispettare la finalità di
tutela ambientale del divieto posto nello strumento di pianificazione
urbanistica
3. se
si ampliano i tipi di rifiuti e la quantità di rifiuto trattato siamo di fronte
ad un nuovo impianto
4. i vincoli
ambientali posti dallo strumento di pianificazione legittimano la revoca di un
provvedimento favorevole di VIA
Ma il ragionamento svolto per gli impianti soggetti ad AIA vale anche per
quelli soggetti alla autorizzazione minore la c.d. Autorizzazione Unica Ambientale
(AUA per
il testo del regolamento vedi QUI) . Il regolamento di disciplina
dell’AUA al comma 1 articolo 3 elenca le autorizzazioni di settore assorbite
dalla procedura di AIA e non si fa alcun riferimento ai poteri del Sindaco come
Autorità Sanitaria ai sensi dell’articolo più volte citato sopra. Quindi restano pienamente i poteri del
Sindaco in materia di industrie insalubri ancor più di quanto non sia per
l’impianto di Saliceti.
[1] quando sussistono incertezze riguardo all'esistenza o
alla portata di rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono
adottare misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente
dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi ( CG con sentenza 5/5/1998 C-180/1996 ). Si veda a titolo non cogente ma comunque
indicativo la sentenza della Corte Suprema USA (28-6-1993 n. 92-102) che ha definito una serie di standards di
affidabilità probatoria delle conoscenze scientifiche quali:
la falsificabilità e
controllabilità delle teorie;
la loro sottoposizione al
controllo dei membri della comunità scientifica
la pubblicazione su
riviste specializzate
la relativa percentuale di
errore conosciuta o potenziale
la diffusa accettazione da
parte della comunità scientifica.
[2] Per il testo coordinato tra le due
Direttive vedi a questo LINK
http://www.slideshare.net/MarcoGrondacci/direttiva-2011-92ue-testo-coordinato
[3] “Resta
ferma altresì, nelle more dell'emanazione delle norme tecniche di cui al
presente comma, l'applicazione di quanto previsto dal decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 1988.” Ultima parte comma 1 articolo
34 del DLgs 152/2006
[4] F.
Salute pubblica. Obiettivo della caratterizzazione dello stato di qualità
dell'ambiente, in relazione al benessere ed alla salute umana, è quello di
verificare la compatibilità delle conseguenze dirette ed indirette delle opere
e del loro esercizio con gli standards ed i criteri per la prevenzione dei
rischi riguardanti la salute umana a breve, medio e lungo periodo. Le analisi
sono effettuate attraverso: a) la caratterizzazione dal punto di vista della
salute umana, dell'ambiente e della comunità potenzialmente coinvolti, nella
situazione in cui si presentano prima dell'attuazione del progetto; b)
l'identificazione e la classificazione delle cause significative di rischio per
la salute umana da microrganismi patogeni, da sostanze chimiche e componenti di
natura biologica, qualità di energia, rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti
e non ionizzanti, connesse con l'opera; c) la identificazione dei rischi
eco-tossicologici (acuti e cronici, a carattere reversibile ed irreversibile)
con riferimento alle normative nazionali, comunitarie ed internazionali e la
definizione dei relativi fattori di emissione; d) la descrizione del destino
degli inquinanti considerati, individuati attraverso lo studio del sistema
ambientale in esame, dei processi di dispersione, diffusione, trasformazione e
degradazione e delle catene alimentari; e) l'identificazione delle possibili
condizioni di esposizione delle comunità e delle relative aree coinvolte; f)
l'integrazione dei dati ottenuti nell'ambito delle altre analisi settoriali e
la verifica della compatibilità con la normativa vigente dei livelli di
esposizione previsti; g) la considerazione degli eventuali gruppi di individui
particolarmente sensibili e dell'eventuale esposizione combinata a più fattori
di rischio. Per quanto riguarda le infrastrutture di trasporto, l'indagine
dovrà riguardare la definizione dei livelli di qualità e di sicurezza delle
condizioni di esercizio, anche con riferimento a quanto sopra specificato.
[5] definizione dei contenuti minimi della documentazione
da allegare alla domanda di compatibilità ambientale – elementi base
costitutivi dell’illustrazione di sia e progetto da parte del proponente
[6] http://notedimarcogrondacci.blogspot.it/2015/12/le-scadenze-e-la-revisione-dellaia.html#more
[7]
Decreto
Ministero Salute 24 aprile 2013 “Disposizioni volte a stabilire i criteri
metodologici utili per la redazione del rapporto di valutazione del danno sanitario
(VDS) in attuazione dell'articolo 1-bis, comma 2, del decreto-legge 3 dicembre
2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n.
231.” (13A06975) (GU Serie Generale n.197 del 23-8-2013) http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2013-08-23&atto.codiceRedazionale=13A06975&elenco30giorni=false
[8]
http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2016-01-18&atto.codiceRedazionale=16G00006&elenco30giorni=false
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