Scoppiata nuova discussione in Regione
Liguria sul tentativo della nuova Giunta Regionale di svincolare la
realizzazione di nuovi centri commerciali. Il PD attacca questa decisione.
Lasciando perdere il pregresso, vedi
vari centri commerciali autorizzati sotto il governo Burlando (Le Terrazze,
Outlet Brugnato, Santo Stefano etc.) la domanda sorge spontanea ma intanto
questi del PD perché non usano nei Comuni dove governano i poteri che la stessa
Corte di Giustizia europea e la Corte Costituzionale riconoscono agli enti
pubblici nella pianificazione delle grande strutture di vendita in chiave
urbanistica?
In altri termini si potevano fermare i nuovi grandi centri commerciali arrivati negli anni scorsi e
soprattutto si possono fermare quelli che verranno, oppure i Comuni e le Regioni
devono subire passivamente la distruzione del commercio al dettaglio per colpa
della “liberalizzazione” del commercio?
La risposta sempre rimossa in questi
anni è: si potevano e si possono fermare i centri commerciali è questione di volontà politica
e di buona pratica di amministrazione attiva e quindi di pianificazione nell’uso
del territorio. Vediamo perchè......
Come ha affermato la Corte
di Giustizia della UE (Sentenza 24 marzo 2011
n.C400/08) all'interno degli stati membri, l'apertura dei
grandi centri commerciali non può essere subordinata a valutazioni di carattere
economico. Non si può, cioè, impedire l'insediamento degli ipermercati perché
potrebbero danneggiare il commercio al dettaglio o sulla base del fatto che
l'impresa già detenga una fetta consistente del mercato.
Invece le
amministrazioni interessate , in primo luogo il Comune, potevano e possono
intervenire utilizzando gli strumenti di pianificazione urbanistica, non a caso
a presupposto della procedura di autorizzazione di qualsiasi centro commerciale.
Infatti la Corte di Giustizia nella sentenza sopra riportata
afferma che restrizioni alla libertà di stabilimento di grandi centri
commerciali: “possono essere giustificate da motivi imperativi di
interesse generale, a condizione che siano atte a garantire la
realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vadano oltre quanto necessario al
raggiungimento dello stesso. Fra tali motivi imperativi figurano, tra gli
altri, la protezione dell’ambiente, la razionale
gestione del territorio, nonché la tutela dei consumatori.” .
Nella stessa direzione si veda Corte Costituzionale (sentenza n. 430 del 2007, nel solco di una giurisprudenza più volte
confermata: n. 80 del 2006, n. 242 del 2005): precisa che: ” limitazioni
all’apertura di nuovi esercizi commerciali sono astrattamente possibili purché
non si fondino su quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle
vendite, ossia, in altri termini, sull’apprezzamento autoritativo
dell’adeguatezza dell’offerta alla presunta entità della domanda. I principi
del Trattato e del nostro ordinamento costituzionale impongono che i poteri
pubblici non interferiscano sul libero gioco della concorrenza, astenendosi
dallo stabilire inderogabilmente il numero massimo degli esercenti da
autorizzare in una determinata area.”
Quindi non solo la Regione ma ancora più
semplicemente una Amministrazione Comunale poteva e può, con apposita variante
di indirizzo al PUC, introdurre i criteri di esclusione come
delineati dalla Corte di Giustizia fermando la realizzazione di nuovi
centri commerciali, certo avrebbe dovuto motivare bene questo
provvedimento con apposita istruttoria ma sotto il profilo formale la legge
riconosce questo potere se esercitato nella chiave interpretativa della Corte
di Giustizia.
Relativamente ai poteri comunali in materia di pianificazione urbanistica in rapporto ai diritti dei privati, soccorre anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato (ad esempio sentenza n. 02843/2010 REG.DEC. - N. 11964/2003 REG.RIC.): “In sede di adozione di un nuovo strumento urbanistico, l'Amministrazione pubblica può validamente introdurre innovazioni atte a migliorare e ad aggiornare le vigenti prescrizioni urbanistiche alle nuove esigenze anche quando ciò imponga sacrifici ai proprietari interessati e li differenzi rispetto ad altri che abbiano già proceduto all'utilizzazione edificatoria dell'area secondo la previgente destinazione di zona. I piani regolatori, infine, possono dettare norme a tutela dell'ambiente rientrando nell’ampia discrezionalità del Comune la facoltà di orientare gli insediamenti urbani e produttivi in determinate direzioni, ovvero di salvaguardare determinati equilibri dell'assetto territoriale.”
Si veda anche Consiglio di Stato sentenza n.1202 del 27 febbraio 2013, relativa alla procedura di approvazione di una variante al
piano di fabbricazione finalizzata alla realizzazione di una media struttura di
vendita alimentare-misto, che conferma l’indirizzo giurisprudenziale
sopra riportato. Indirizzo peraltro confermato dalla articolo 31 della stessa
legge di liberalizzazione del commercio (Legge 214/2011) secondo il quale
l’attività commerciale è liberalizzata
ma nel rispetto della tutela
dell’ambiente e dell’ambiente urbano, concetto nel quale è ricompreso anche la
razionale gestione del territorio citata anche dalla giurisprudenza
comunitaria.
In
particolare secondo la sentenza del Consiglio di Stato n. 1202 del 2013
1. il
potere di pianificazione urbanistica si pone su un piano di prevalenza rispetto
agli atti di gestione attinenti la materia commerciale (cfr. Consiglio Stato
sez. V 12 luglio 2004 n. 5057 ). Si
veda anche più recentemente TAR Toscana sentenza n. 1783 del 2012
secondo
cui: “Il principio di contestualità tra procedimento urbanistico-edilizio,
preordinato alla costruzione di medie e grandi strutture di vendita, e
procedimento di rilascio delle connesse autorizzazioni commerciali è
finalizzato ad evitare insediamenti commerciali in contrasto con le previsioni
urbanistiche”.
2. l'art.
6, DLgs. 31 marzo 1998 n. 114 (riforma della disciplina del commercio,
vedi QUI),
è comunque finalizzato ad assicurare l'integrazione tra la pianificazione
territoriale ed urbanistica e la programmazione commerciale, in quanto pone la
stretta correlazione tra titoli edilizi e autorizzazioni all'esercizio, nel
novero dei criteri di programmazione riferiti al settore commerciale (cfr. Consiglio
Stato, sez. IV 08 giugno 2007 n. 3027).
Infatti e non a caso tra i criteri che garantiscono tale integrazione c’è
anche quello di tenere conto dei centri
storici, al fine di salvaguardare e qualificare la presenza delle
attività commerciali e artigianali in grado di svolgere un servizio di
vicinato, di tutelare gli esercizi aventi valore storico e artistico ed evitare
il processo di espulsione delle attività commerciali e artigianali.
3. le
prescrizioni e le disposizioni del piano urbanistico sono sempre prevalenti su
quelle del piano commerciale, in quanto rispondono all'esigenza di assicurare
un ordinato assetto del territorio, e le relative disposizioni possono
legittimamente porre limiti alla libertà di iniziativa economica (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. VI 10 aprile 2012 n. 2060, vedi QUI).
Conclusioni: almeno la smettano di prendere in giro il commercianti con queste finte diatribe
buone per le campagne elettorali ma non certo per tutela il commercio al
dettaglio.
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